Roma, Mourinho come Helenio Herrera: dalla Grande Inter alla 'Magica'

ROMA

Alfredo Corallo

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L'allenatore portoghese sulle orme del 'Mago' argentino, che vinse tutto con la 'Grande Inter' e nel 1968 venne ingaggiato dalla Roma, dove rimase per 5 anni conquistando una Coppa Italia alla prima stagione in giallorosso (gol di Fabio Capello in finale) e un Torneo Anglo-Italiano nel 1972

MOURINHO ALLA ROMA: TUTTI I RETROSCENA

 

 

"Io sono un allenatore, non Harry Potter. Lui è magico, ma nella realtà non esiste la magia. La magia è finzione e io vivo nel calcio, che è reale". Il pareggio con il Maiorca al debutto sulla panchina del Real servì su un piatto d'argento a Mourinho la chance di sfoderare alla stampa spagnola i trucchi del mestiere. Il portoghese bluffava sul suo disinteresse per la scienza occulta: ha studiato da "apprendista stregone" del Mago Herrera, sbirciando nei suoi quaderni, custoditi gelosamente dalla moglie Fiora Gandolfi. "Sì, era un mio racconto su Helenio che gli ho fatto pervenire con piacere - ci rivelò nel 2013 a Milano in occasione di una mostra dedicata a lui e al Paròn Nereo Rocco - perché ha l'intelligenza e la stessa grande passione che aveva mio marito per il lavoro scientifico. Mi ha ringraziato al telefono, in piena notte, devo dire che è stato molto riconoscente". Lo Special One e l'argentino di Buenos Aires avevano in comune l'Inter e ora anche la Roma, che HH allenò dal 1968 al 1973 dopo la conquista di due Coppe dei Campioni, altrettante Coppe Intercontinentali e tre scudetti nell'era di Angelo Moratti, papà di Massimo. Ma nella capitale il numero della Tacalabala non riuscì... 

José Mourinho ed Helenio Herrera
José Mourinho ed Helenio Herrera - ©Getty

 

La storia di Herrera alla Roma

L'ingaggio di Herrera fu l'ultimo regalo di Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti ("Uno per tutti, tutti per Giulio" era il suo motto). Nel 1965 aveva risparmiato alla Roma il fallimento - trasformandola in società per azioni - e dopo un paio di stagioni di assestamento aveva deciso di passare il testimone a Francesco Ranucci - che presto lascerà la patata bollente nelle mani di Alvaro Marchini - per dedicarsi anima e corpo alla Democrazia Cristiana e alla corrente che aveva fondato e chiamato "Primavera", mutuandone il nome dal calcio. Prima, però, il coup de théâtre: portare nella città eterna il migliore allenatore del mondo, il deus ex machina della Grande Inter. L'argentino firma un contratto da 260 milioni di lire - lo stipendio medio di un operaio era di 120mila lire, fate voi - più un appartamento extralusso in dote e premi raddoppiati rispetto ai giocatori. Era la Roma della bandiera Giacomo Losi - presto silurato dal Mago, che non amava avere altri galli nel pollaio - ma anche di Joaquín Peiró (già stella dell'Inter di HH) e dei giovani talenti Luciano Spinosi e Fabio Capello, poi ceduti "sanguinosamente" alla Juventus in cambio di Gianfranco Zigoni e Roberto "Bob" Vieri (babbo di Christian). In 5 anni Herrera vince una Coppa Italia e il Torneo Anglo-Italiano, ma in campionato non va mai sopra il  sesto posto. Esonerato l'8 aprile del 1973, con la squadra a un solo punto dalla retrocessione, salvata nel finale - per differenza reti - da Antonio Trebiciani, tecnico delle giovanili. Per diventare "magica" ci vorrà ancora un decennio e qualcosa di superiore, di "sacro" e brasiliano...

Roma 1968-69

 

Formula 'Magica'

Così, se alla Roma ci penserà il Divino Falcão, da allora - e fino alla scomparsa, nel 1997 - di Herrera si occuperà lady Fiora, romana e giornalista. "A sentire certi colleghi - ci spiegò - quella mattina del '69 avrei dovuto intervistare una specie di pazzo. Presi la mia 500 e andai incuriosita a Grottaferrata, dove la sua Roma si trovava in ritiro. Era diverso dagli altri. Praticava yoga, leggeva libri sul buddismo, cultore della dietetica a livello accademico e quando scoprì l'Orazione Preparatoria di Ignazio di Loyola gli si aprì un mondo. Da lì, per analogia con i ritiri spirituali inventò i ritiri calcistici e portò nei campi di calcio le tecniche della concentrazione profonda. Era trent'anni avanti". E anche un fanatico dei riti, come il giuramento sul pallone prima di ogni partita. "C'è una spiegazione: era figlio di un anarchico di Siviglia, scappato in Argentina un po' perché, dicevano, avesse cercato di ammazzare il Re di Spagna e un po' per fare fortuna, che non arrivò. Tornati in Europa, si spostarono in Marocco, a Casablanca, per avere l'Andalusia più vicina. A casa parlava spagnolo, frequentava la scuola francese, per strada parlottava in arabo. E al mercato rimaneva ipnotizzato dai guaritori che strofinavano le zampe di camaleonte o le pietre preziose su una frattura che, per magia, spariva. Si convinse che credendo veramente in qualcosa niente fosse impossibile. E trasferì questa filosofia nel calcio". E Mourinho saprà spezzare quest'incantesimo in cui sembra essere intrappolato da qualche anno a questa parte? Se la formula fosse davvero #ForzaMagicaRoma?

La cover di Mourinho
Instagram @josemourinho