Lo Special One svela in un'intervista a GQ come è nata la trattativa che ha portato all'accordo con i giallorossi: "La mattina il Tottenham mi ha esonerato e il pomeriggio la Roma mi ha chiamato. I Friedkin mi hanno voluto, mi hanno fatto sentire di nuovo la passione per questo lavoro". Poi confessa di aver commesso degli errori...
Una nuova “missione impossibile”. Così José Mourinho definisce la sua prossima avventura sulla panchina della Roma, intervistato dal mensile portoghese GQ. Rivelando anche dettagli curiosi sulla trattativa-lampo con i Friedkin: “È stata una cosa istantanea o quasi: la mattina il Tottenham mi ha esonerato e il pomeriggio la Roma mi ha chiamato. Loro mi hanno voluto, mi hanno fatto risentire la passione per il calcio che c’è in Italia e che conosco, specialmente a Roma dove non si vince un trofeo da 20 anni".
Passione ritrovata
I Friedkin, nuovi proprietari con un approccio professionale e umile, mi hanno trasmesso il loro entusiasmo per questo nuovo incredibile capitolo professionale della loro vita, sono stati veramente obiettivi, onesti e sinceri con me, mi hanno fatto sentire di nuovo la passione per questo lavoro, hanno riacceso il fuoco in me e mi hanno colpito per come si sono approcciati. Con loro e Pinto c’è stata subito empatia”.
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Anche Mourinho sbaglia
“La gente mi guarda considerandomi in un solo modo: un vincente”, prosegue lo Special One, che però torna anche sulle sue ultime esperienze poco felici (e poco vincenti), spiegandone i motivi: “Ho commesso anche io degli errori e ho sbagliato ad accettare alcuni progetti, a volte mi hanno spinto a scegliere situazioni che non avrei dovuto: sono andato a Manchester in un momento di transizione, poi al Tottenham che non ha una storia di successi. Alla Roma ho impiegato pochissimo a dire di sì e ora mi tufferò in questa missione impossibile”.
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Futuro da Ct
Dal futuro prossimo a quello più a lungo termine, Mou svela anche un sogno che coltiva da tempo: “Se tutto si incastra nel modo giusto, un giorno mi vedo ad allenare la nazionale portoghese più che un club. L’esperienza però mi ha insegnato che nel calcio non si può mai dire ‘mai’. Sembra una parola gigante ma alla fine è piccola piccola”.