Milan, Furlani (Elliott): "Al nostro arrivo il club andava verso la bancarotta"

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Il Portfolio Manager di Elliott e consigliere del club sul progetto rossonero: "Quando siamo arrivati si andava verso la bancarotta, avevamo ricevuto anche un ban da parte dell'Uefa. Siamo intervenuti riducendo i costi e migliorando anche sotto l'aspetto sportivo, con l'arrivo di nuove figure dirigenziali. Bisogna ancora crescere, tra noi e i top club europei c'è un cartellino di Lukaku di differenza all'anno. Stadio? Più a rilento di quanto sperassimo, ma è un aspetto fondamentale"

Per il secondo anno di fila il Milan è ai vertici del campionato di Serie A. Nella scorsa stagione i rossoneri hanno conquistato la qualificazione in Champions League, quest'anno invece sono ancora in corsa per lo scudetto. Risultati importanti, che danno ancor più valore all'opera di risanamento dei conti che la società contemporaneamente sta portando avanti. E che Giorgio Furlani, Portfolio Manager di Elliott e consigliere del club, ha fortemente sottolineato al Business of Football Summit, evento organizzato dal Financial Times: "Abbiamo cominciato come investitori – le sue parole - Il Milan era in una fase di transizione dalla famiglia Berlusconi, proprietaria per circa 30 anni. Subito dopo, entro un anno, il club è caduto in un certo tipo di difficoltà finanziaria. Quindi siamo dovuti entrare, abbiamo assunto la proprietà e così abbiamo stabilizzato la barca. Ciò che abbiamo trovato, di cui siamo entrati in possesso, era una situazione disastrosa. Il club andava verso la bancarotta da un punto di vista della cassa, scarsi ricavi, troppi costi. Quindi la situazione finanziaria era messa così male che l’anno successivo al nostro subentro abbiamo avuto un ban dalla Uefa per giocare nelle competizioni europee: unico club Europeo di successo ad aver ricevuto questo divieto. Non c'era una dirigenza e i risultati sul campo erano scadenti".

"Ecco come abbiamo trasformato il Milan"

"Allora abbiamo sviluppato un piano basato su specifici pilastri per capovolgere la situazione – prosegue Furlani - La prima cosa è stata migliorare la performance sul campo. Poi abbiamo dovuto ridurre i costi e la rosa. Il Milan fino a quel momento aveva vissuto come se fosse ancora negli anni '80. C’erano cose che potevi permetterti a quell’epoca ma che non puoi più permetterti adesso. Ovviamente era difficile fare contemporaneamente le due cose. Così quello che abbiamo fatto è stato portare dentro nuove persone. Abbiamo totalmente cambiato il primo e il secondo livello del management, portato e coinvolto un fantastico CEO, Ivan Gazidis, e con lui abbiamo avviato un percorso per trasformare il Milan, da un "club di calcio" a un "media business". Se guardiamo ai club di vero successo, come il Real Madrid e il Manchester United, questi si sono realmente trasformati in una media company. Inoltre, abbiamo cambiato la leadership sportiva per provare ad andare bene sul campo. Infine, abbiamo proposto il progetto per un nuovo stadio. Il Milan con l’Inter gioca in quello che in Italia chiamano il tempio del calcio. San Siro è uno stadio davvero affascinante, ma non è uno stadio da 2022. Quindi c’è l’esigenza di investire per cambiarlo. È stato un viaggio difficile con il Comune, ma stiamo andando avanti. Nel complesso, in 4 anni di nostra proprietà abbiamo fatto molte cose sbagliate, altre cose giuste, soprattutto all’inizio. Però poi c’è stata l’inversione a U di un club che ha un enorme potenziale per la sua fanbase locale e globale, la sua grande storia e la sua capacità di creare un business al top nel calcio".

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Furlani parla poi della dolorosa perdita di Gigio Donnarumma: "Alcune cose viste dall’esterno sembrano diverse da quando le analizzi dal di dentro. Sul macrolivello nel calcio molte scelte non vengono fatte con sguardo economico e analitico. Noi invece abbiamo provato a fare questo portando nelle scelte anche un punto di vista aziendale. Ad esempio, sarebbe finanziariamente stupido da parte nostra trattenere i nostri asset a qualsiasi costo: se si presentano scelte difficili da fare bisogna anche essere oggettivi e avere piano B. Abbiamo perso senza monetizzare il nostro miglior asset? È la struttura del business, delle regole che dovrebbero essere cambiate per garantire costi onesti e non abnormi. Dobbiamo lavorare con i vincoli di questo settore, avevamo un piano B e siamo contenti del nostro nuovo portiere".

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Quali sono i prossimi passi per il Milan? "Numero uno: investire nel business fino all’ultimo euro – spiega Furlani - Ma dare tutto per i giocatori crea una spirale negativa: bisogna investire anche per aumentare i ricavi. Numero due: sviluppare lo stadio e raggiungere i top club europei. Se si mettono a confronto i ricavi del Milan con quelli dei top club viene fuori un cartellino di Lukaku all’anno. Questi sono i numeri. Numero tre: lavorare con la propria Lega. Gli incassi da stadio sono più o meno sotto il controllo dei club ma quelli commerciali e dai diritti tv dipendono direttamente o sono influenzati dalla propria Lega. Ridurre i costi è comunque parecchio impegnativo: moltissimi club avrebbero rinnovato il contratto del proprio portiere a qualunque costo per la difficoltà di spiegare una scelta come la nostra ai propri tifosi. Superlega? La domanda giusta riguarda la struttura di una industria dove i grandi player perdono soldi non solo per cattiva gestione ma anche perché la struttura non è corretta. Guardando ai settori telco o utilities o alle banche, se il regolatore vedesse che le più grandi società perdono soldi non sarebbe contento e prenderebbe decisioni a riguardo. Le perdite sono un po’ causate dal Covid ma anche dal modo in cui il calcio è strutturato".

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"Stadio? Più a rilento di quanto sperassimo"

Infine, sullo stadio: "È un progetto che va avanti da tempo, da quando abbiamo preso la proprietà del Milan. Quando abbiamo mostrato l’opzione stadio a New York ci dicevano di non preoccuparci perché erano convinti che Milano non fosse una città come Roma: sfortunatamente Milano ha dimostrato di essere un po’ come Roma su questo progetto, più di quanto ci sarebbe piaciuto. Il Covid ci ha rallentato, Milano è stata tra gli epicentri della pandemia. La città ha dovuto pensare a sopravvivere più che agli investimenti. Il progetto ora è in mano al Comune che sta analizzando la situazione con i principali stakeholders. Io andavo a San Siro da ragazzo, è uno stadio che amo ma non è fatto per il mondo attuale, ha come core business solo i club mentre, tra le altre cose, deve diventare un posto di eventi-intrattenimento e serve la giusta struttura per dare ai nostri tifosi la migliore esperienza. Stiamo andando più a rilento di quanto sperassimo. La location è di fianco al Meazza, nel parcheggio. Il progetto è curato da Popolous, si trova su internet. Cosa ci blocca? C’è una spinta politica limitata perché alcuni stakeholders non vogliono andare avanti. La nostalgia è un sentimento molto italiano".

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