Lautaro Martinez: "Per mesi ho giocato sul dolore, ma l'Inter aveva bisogno"

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L'attaccante dell'Inter si confessa a Star+ e parla dell'infortunio alla caviglia che lo ha tormentato nella scorsa stagione: "Giocavo sul dolore, ma non potevo fermarmi perché l'Inter aveva bisogno di me. Facevo infiltrazioni e anche ai Mondiali ho giocato così. Ho pianto, la mia famiglia mi ha aiutato a superare questo momento difficile"

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E' sempre più il leader incontrastato dell'Inter, nell'anno della sua definitiva consacrazione, Lautaro Martinez ripercorre le tappe che lo hanno portato a questa maturità, un percorso fatto anche di sofferenza e sacrifivi, culminato nel successo del Mondiale in Qatar prima e successivamente nel raggiungimento della finale di Champions con la maglia dell'Inter. Un problema alla caviglia ha accompagnato per mesi il numero 10 dei nerazzurri, che ha perso la maglia da titolare della Seleccion in favore di Julian Alvarez: "Ho giocato i primi mesi in campionato con un problema alla caviglia - ha raccontato a Star+ - Non volevo fermarmi perché in quel periodo all'Inter erano infortunati anche Lukaku e Correa. Restavo solo io come attaccante e ho giocato prendendo pastiglie e facendo infiltrazioni. Ora ho lo stesso problema, dopo i Mondiali e durante le vacanze dopo la finale di Champions non ho fatto nulla. All'Inter sto giocando come facevo primaFino a poco prima della finale di Champions ho preso medicine per poter giocare. Prima del match con gli Emirati Arabi ho parlato con Scaloni e gli ho chiesto di lasciarmi riposare per poter arrivare in buona salute al Mondiale. Con l'Arabia Saudita mi faceva tanto male, avevo fatto un'infiltrazione. Anche col Messico non potevo fare di più".

"Il dolore non mi abbandonava, la mia famiglia mi ha aiutato"

Lautaro continua a raccontare altri dettagli di quel periodo: "Il dolore non mi permetteva di allenarmi, di calciare col collo del piede - spiega - A volte in alcuni movimenti di arresto e ripresa vedevo le stelle. Ma non ho mollato, ho continuato a provarci, ma poi è diventato impossibile. Volevo spingere sempre di più, ma la mia caviglia stava perdendo sensibilità. Era molto difficile giocare in quel modo. Mi sono chiuso in me stesso, ho pianto, ho passato un brutto periodo nella mia stanza". In quel momento è stato determinante l'0aiuto della famiglia: "Ho fatto venire spesso la mia famiglia, mia figlia, perché potessero starmi vicino. Avevo bisogno di felicità e affetto che la famiglia ti regala in quei momenti. Per fortuna le avevo vicino a me. Ho provato a superare quei momenti con loro, è stato difficile perché ero il cannoniere dell'era Scaloni prima del Mondiale".