Leao: "Con Pioli all'inizio no sintonia, Ibra mi ha detto che sono il futuro del Milan"

L'AUTOBIOGRAFIA

Il numero 10 rossonero nella sua autobiografia 'Smile': "Con Pioli c'è voluto tempo, sono uno dei calciatori che è stato più tempo nel suo ufficio. Mi ha reso quello che sono oggi. Giampaolo? Non c'era alcun rapporto. Maldini mi disse che giocavo solo per il mio Instagram, Ibra mi ha spinto a dare di più". Poi tanti aneddoti e il tema razzismo

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"Sorrido perché Dio mi ha dato un dono incredibile e fino a questo momento il lavoro che ho fatto – perché ho fatto tantissimo lavoro – è stato ripagato da questo successo". Lo scrive sorridendo Rafa Leao, come il sorriso - Smile - è anche il titolo della sua prima autobiografia. Parla di Pioli e di Giampaolo, del Milan e della Champions, del razzismo, di Ibra e di Maldini. E dei suoi sogni, due: "Il primo è vincere il Mondiale con il Portogallo, il secondo vincere la Champions League".

"All’inizio con Pioli non eravamo in sintonia, poi…"

Tante le parole dedicate a Pioli ("l’allenatore che ha trasformato il mio modo di giocare, che mi ha reso quello che sono oggi"). Un rapporto iniziato non in modo idilliaco: "All’inizio con Pioli non eravamo in sintonia - scrive Rafa -, ricordo una sua conferenza stampa che mi aveva infastidito, in cui aveva detto cose che secondo me non doveva dire, di cui doveva discutere prima davanti alla squadra. C’è voluto tempo prima che capissimo come relazionarci, lui intanto ha avuto la bravura di trovare il miglior modo per far giocare me e la squadra. Il segreto è stato trovare un modo chiaro e diretto di parlarci". Tutto diverso oggi: "Abbiamo un buon rapporto e il motivo sta nel fatto che io mi fido di lui e lui si fida di me". Attraverso un colloquio costante: "Sono uno dei calciatori che è stato più tempo nel suo ufficio ma anche quello che ha giocato più minuti in ognuna delle ultime stagioni. Credo che le due cose siano collegate".

 

"Con Giampaolo nessun rapporto"

Storia diversa con Giampaolo: "Nella mia carriera al Milan ho avuto due allenatori, o forse solo uno. Tra me e mister Giampaolo non c’era praticamente alcun tipo di rapporto, non ci parlavamo (…) il mister non aveva capito come inserirmi in campo e con lui avevo un rapporto freddo; saluti formali ad allenamento e nient’altro, la difficoltà a comunicare che si aggiungeva a quelle della squadra in campo. Giocavamo male, io poco".

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Maldini e Ibra

Dopo Giampaolo l'arrivo di Pioli, e la crescita di Leao, fino all'MVP del campionato dello scudetto. Attraverso due figure fondamentali, Maldini e Ibra: "Il primo approccio con Maldini non è stato dei più semplici: appena arrivato mi prese da parte e mi disse: «Tu giochi per il tuo Instagram, questa cosa deve cambiare, altrimenti continuerai sempre a fare due gol a stagione» (…) Aveva ragione e faceva bene a parlarmi in quel modo". Poche parole invece sull'addio: "La verità è che non so cosa sia successo, so che da un giorno all’altro è andato via e tutti noi siamo rimasti spiazzati". Più aneddoti su Ibra: "La prima cosa che ha cambiato nello spogliatoio è stata ricordarci che la storia straordinaria del Milan non era merito nostro. La seconda cosa in cui mi ha aiutato non è tecnica ma mentale. Ibra è stato quel compagno di squadra che in campo cercava di farmi vedere che potevo sempre fare di più, sempre di più e di più (…) Dopo aver vinto lo scudetto, sul pullman di ritorno da Sassuolo, Ibra ha preso il microfono e ha fatto un commento su ciascun giocatore: di me ha detto che ero il presente e il futuro del Milan". 

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Razzismo

Infine, tra altri aneddoti sui sogni da ragazzino ("Il primo ricordo che ho della Champions League però non lo posso dimenticare ed è indelebile nella mia testa: la finale Milan-Liverpool di Atene") e sul Milan-Spezia del non-gol di Messias ("con Calabria, Theo, Ibra e Florenzi ci siamo trovati a consolare l’arbitro in lacrime negli spogliatoi, una situazione surreale"), Leao tocca anche il delicato tema del razzismo: "Non credo che l’Italia sia un Paese razzista, in questa nazione sono diventato un uomo, un grande calciatore e un professionista. Ma credo che le istituzioni sportive siano ancora molto indietro, e questo accade anche in tutto il resto dell’Europa. Spostare continuamente la responsabilità sul soggetto, chiedersi: «Lui cosa ha fatto per provocare?» è il miglior assist possibile che si possa fare a un razzista. È successo al mio amico Mike (Maignan, ndr) e a Moise, prima ancora a Balotelli e continuerà a succedere fino a quando non sapremo cosa fare per fermarli".