La rinascita di Michele Padovano

“Papà si è messo a cucinare, eravamo noi tre”. E’ nel vederlo riappropriarsi della libertà attraverso uno dei gesti più semplici che scandisce la quotidianità, che Denis è tornato a respirare la vita sospesa bruscamente dal giorno dell’arresto del padre per traffico internazionale di droga. I suoi occhi che si riempiono di dolcezza, lo riportano ai suoi 13 anni, dicono quanto intensamente avesse desiderato stare ancora tutti insieme, dopo i 10 giorni d’isolamento e i 3 mesi e mezzo di carcere, che avevano tenuto papà lontano da lui. Quel momento rappresentava l’inizio di una rinascita, che però sarebbe passata ancora attraverso un profondo dolore e tante privazioni. Cominciavano così i nove mesi ai domiciliari seguiti da altri 5 con obbligo di firma. In quel periodo, le condizioni di salute del papà di Michele si aggravarono. Si era battuto in prima persona per far capire chi fosse suo figlio, aveva chiamato tutta Italia per spiegare che il suo ragazzo davvero non aveva nulla a che fare con ciò di cui veniva accusato. Ed è convinzione dei suoi familiari che tutto questo lo abbia consumato. Il tumore al polmone che lo ha colpito, lasciandogli solo 6 mesi di vita, ha fatto il resto. Michele avrebbe voluto raggiungerlo, ha implorato più volte il Pm. L’autorizzazione negata, al di là delle motivazioni, gli ha di fatto strappato un bene inestimabile, un tempo che nessuno gli potrà restituire. Almeno, una volta libero di muoversi, ha potuto fare un’ultima promessa al papà: ottenere verità e giustizia. Per arrivarci, Michele ha dovuto passare attraverso la condanna 8,8 anni di reclusione, ridotta poi in appello a 6,8 anni. Prezioso, nei momenti più duri, il ricordo delle parole di Bonny, l’amico di cella, dispensatore di saggezza. Ormai libero da anni, Bonny ha sfidato anche la paura di essere riconosciuto, pur di partecipare al docu-film per Michele, diventato un fratello negli angoli bui delle notti in carcere. Il racconto delle partitelle nel cortile, durante l’ora d’aria, quando Padovano anche rinchiuso tornava libero, calciando le punizioni o i rigori, come in quella finale di Coppa Campioni del 1996, scorre tra il sorriso e l’amarezza. Quello con Bonny è uno dei tanti legami d’amicizia indissolubili che Michele porta con sé, in una sorta di bolla intaccabile. Ne fa parte anche Gian Luca Presicci, sempre con lui, dal Cosenza a oggi, in ogni istante. E’ bastata una chiamata per fissare l’intervista e Gian Luca era già su un treno, all’alba, per raggiungere Milano, per Michele. Chi non può più farlo è Gianluca Vialli, che mai lo ha lasciato solo e che occupa una parte significativa nel documentario, come nella storia della famiglia Padovano. Gli amici stretti e i familiari hanno saputo compensare il senso dell’abbandono, che tornava a bussare ogni qualvolta Michele si preparava con rinnovata speranza per un colloquio di lavoro, che non portava mai a nulla, nemmeno dopo lunghe ore d’attesa. C’è chi è costretto a rinunciare a difendersi per problemi economici. Il calcio vissuto da protagonista, ha permesso a Padovano di persistere, ma disperdendo gran parte del patrimonio, vendendo e reinventandosi, insieme a Denis e alla moglie Adriana. E’ stata lei, la sua forza, la “vera fuoriclasse”, a convincere Michele a cambiare avvocati per il ricorso in Cassazione. Michele Galasso e Giacomo Francini raccontano nel docu-film il primo incontro con Padovano, che di quel “calciatore forte e a volte arrogante” non tratteneva nulla tra le fattezze di un “uomo distrutto”, che “forse senza Adriana non sarebbe neanche arrivato lì”, ma che nonostante tutto, li “convinse della sua innocenza”. Ed ecco che i suoi “angeli custodi” gli hanno restituito la luce. Ecco che da lì è iniziata la partita perfetta e che Michele, dopo una carriera a segnare gol, è diventato “un enorme difensore di se stesso”. Il gioco di squadra cominciava la mattina per proseguire fino a notte fonda, perché occorreva “trovare ciò che 8 magistrati non avevano visto”. Ogni volta che qualcosa non tornava, tra le carte del processo, arrivava una chiamata a Michele, che a qualsiasi ora forniva una spiegazione. La difesa si è composta tessera dopo tessera e con grande lucidità e chiarezza i due legali spiegano come ogni elemento sia stato riletto in una versione alternativa così corposa e consistente, da portare la Cassazione ad annullare la sentenza di condanna e a rimandare alla Corte d’Appello di Torino per un nuovo giudizio. Un evento raro, come spiega anche l’avvocato Gabriele Magno, a capo dell’”Associazione nazionale vittime di errori giudiziari”, che affianca persone ingiustamente condannate, conducendo anche indagini per fornire elementi nuovi, utili a far riaprire casi archiviati. Il 31 gennaio 2023 Michele Galasso, stimato avvocato, si è precipitato fuori dal tribunale di Torino insieme al collega Francini, emozionato come raramente gli era accaduto, ha preso il cellulare e ha chiamato Michele, per comunicargli che era stato assolto definitivamente per non aver commesso il fatto. Dall’altra parte “urla di gioia quasi disumane”. Un urlo che gli è penetrato nella testa. Nella stanza, ad attendere quello squillo senza respirare, c’erano Michele, Adriana e Denis, fusi in un abbraccio libero. Dopo 17 anni. Libero di cucinare, di muoversi, di lavorare, di camminare su un campo da calcio, di nuovo, con un microfono in mano, per Sky Sport.

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