Fattore K, l'oro di Napoli

Il De Bruyne ch’era da scoprire. Il Kevin che conosci vivendolo. E su cui poteva starci eccome anche una certa curiosità: la necessità di aspettare. Il buon senso per capire con che testa sarebbe arrivato. A 34 anni. Con la bacheca così piena che anche spolverare è un problema. Potenzialmente pieno di tutto: di soldi, gloria ed emozioni. E invece il top, anche qui. Professionista serio, totale. Garbato e gentile. Immediatamente calato in una dimensione nuova, differente. Che magari aveva anche un po’ previsto e che s’era fatto raccontare come meglio non poteva dagli amici Lukaku e Mertens. Ma che poi è sempre tutta un’altra cosa. E lui c’è. È dentro. E dall’inizio, dal primo giorno. Da quando in albergo a Rivisondoli è salito sulla sedia e si è sottoposto al rito di iniziazione. Ha cantato Robbie Williams. E anche lì ha preso gli applausi. Di incoraggiamento, dicono. Perché la voce non è proprio come il piede. Quello sì che canta. Il De Bruyne che il ds Manna ha voluto e convinto. Con il progetto. Onesto e coinvolgente. E che Antonio Conte ha fatto poi suo. In fretta. Di corsa. Facendolo correre come mai aveva fatto in carriera durante l’estate. Tanto pallone. Tanta tattica. Ma tanti di più i chilometri. De Bruyne ha sbuffato e faticato. Mai si è fermato. Mai ha saltato una seduta di allenamento. Mai si è lamentato. Mai ha fatto abuso del suo status. Si è messo a disposizione. Sì è messo in tiro. Si è messo alla prova. Forte come è, pretenzioso anche con se stesso. Come solo i grandi campioni sanno essere. Di quelli che se sbagliano un appoggio o arrivano un attimo tardi, scaraventano via il pallone rabbioso. E magari entrano decisi se l’avversario esagera. È accaduto anche quello. Un mese abbondante di De Bruyne. L’operazione forse più cool dell’era De Laurentiis. La bellezza di vederlo. La qualità delle giocate. Sapere che c’è e trovarlo sempre. La visione totale, con il fuso di chi sta avanti. Perché così ha voluto la natura. Perché così è cresciuto alla corte di Guardiola. Con il Girona due gol e un assist in 23 minuti. Lui che dei passaggi vincenti è il re: ben 154 in 13 campionati, poco meno di 12 di media a stagione. Ma anche dei gol da fuori. E a Napoli, intanto, già re delle maglie vendute, e dell’attesa che è passione. Napoli è città che conosceva, ma che ha scelto per giocare a calcio. Per trascinarla in Champions. Per attaccare un altro scudetto. Non per fare il turista: quello l’ha fatto quando venne per sposarsi. E fu glamour. Anzi, ora cerca quiete e riservatezza familiare a Posillipo. De Bruyne è il fattore nuovo. L’uomo in più. Il divo che non fa il fenomeno, eccetto che in campo, quando serve. Scortato, guardato a vista e protetto da un centrocampo che è fisicità e talento, possesso e intensità, equilibri vecchi e consolidati ma anche nuovi e intriganti. McTominay dalla sua parte è connessione e fatica che si distribuisce, è Manchester United nella City di Napoli. Lobotka accanto è palleggio. Con Anguissa partono paralleli. Poi però lui si alza, vaga, vede e fa cose che sono alla De Bruyne. Il valore in più. L’oro di Napoli.

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Fattore K, l'oro di Napoli

Francesco Modugno