Inzaghi sempre dalla parte dei giocatori: così li ha trasformati in campioni

l'editoriale
Paolo Condò

Paolo Condò

E’ uno dei segreti del successo di questa stagione: il rapporto simbiotico costruito da Simne Inzaghi con la sua squadra. Dallo stare in mezzo ai suoi giocatori, sempre dalla loro parte, sono nate idee tattiche e cambi di ruolo che hanno fatto la fortuna dell’Inter. Trasformando anche Inzaghi, da conservatore in rivoluzionario...

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La natura conservatrice di Simone Inzaghi emerse chiara il giorno in cui ci prendemmo un caffè - era un mattino di inizio autunno - per discutere informalmente di come fosse cambiata l’Inter rispetto a pochi mesi prima. "Siete tutti convinti che siamo più forti dell’anno scorso, io non ne sono ancora certo": quel ‘tutti’ era riferito alla larga maggioranza dei commentatori che, dopo la rumorosa vittoria nel derby di metà settembre, si erano spinti a ipotizzare che la squadra finalista dell’ultima Champions avrebbe vinto il campionato da lontano e si sarebbe ripetuta in Europa. Inzaghi è un allenatore che ha molto rispetto dei risultati, e la fase discendente della scorsa stagione ne aveva portati di ottimi. Per questo motivo frenava sul valore della partenza stagionale, o meglio attendeva conferme prima di mollare certi ormeggi che non erano solo dialettici. 

Il segreto di Inzaghi

Due cose lo infastidivano, all’epoca: la nuova formula della Supercoppa, che da gara secca si trasformava in final four (ne aveva già vinte quattro, logico fosse restio al cambio: invece sarebbe arrivata la quinta), e la cessione di Brozovic, la cui importanza sulla scacchiera - in qualità di pezzo esperto - gli era carissima. Poi, per non sembrare il brontolone che non è, aveva aggiunto che Asllani sarebbe cresciuto molto, perché quel che gli mancava erano i minuti di gioco, non altro, e quest’anno li avrebbe avuti. Infine, la partenza subito convincente di Thuram gli aveva tolto - se mai c’erano - i residui rimpianti sull’addio di Lukaku. Non lo nominò nemmeno, felice dell’investimento sull’attaccante francese, su Pavard, su Frattesi, su una rosa che in effetti "a ben guardare sulla carta si è allargata rispetto all’anno scorso". Sì, Simone. È così. "Pago io i caffè, è ora di andare ad Appiano. La cosa più bella, quella che mi dà più fiducia, è il desiderio quotidiano di vedere i ragazzi. Di stare in mezzo a loro. Il mio segreto è quello di essere sempre dalla loro parte".

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Da conservatore a rivoluzionario

Lo scudetto della seconda stella nasce da questo rapporto simbiotico fra lo spogliatoio e un allenatore che nel tempo ha abbandonato i panni del conservatore per agire da rivoluzionario: Inzaghi ha chiesto ai suoi uomini sempre di più, ottenendo quasi sempre più di quanto preventivato. Succede a chi migliora i giocatori, caratteristica che non tutti i tecnici possiedono. Anzi. Se non abbiamo mai sentito una critica di Inzaghi alla sua rosa - in una stagione dove parecchi dei suoi colleghi si sono lamentati pubblicamente dei limiti del materiale a loro disposizione - è perché l’Inter possiede dei valori assoluti, e Simone è in grado di costruirli su basi in apparenza meno competitive. Il cambio di ruolo di Calhanoglu è esemplare, perché ha trasformato una buona mezzala in un eccellente regista basso: un upgrade a costo zero, lì dove altri allenatori avrebbero reclamato un nuovo investimento sul mercato. Cambiare ruolo ai giocatori è la pagina più difficile del manuale delle panchine, ma quando riesce è quella che dà le maggiori soddisfazioni.

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Lo scudetto e la Champions

Si è detto e scritto molte volte che la storia tra Inzaghi e l’Inter - oggi felicissima - un anno fa fosse arrivata a un millimetro dal punto di rottura: se non avesse eliminato il Benfica nei quarti di Champions, la dirigenza non gli avrebbe perdonato le 11 sconfitte in campionato (il riferimento è al k.o. casalingo col Monza del 15 aprile, da lì in poi l’Inter si guadagnò la finale di Champions, portò a casa la coppa Italia e vinse sette gare di campionato su otto). I tempi coincidono col racconto, e la spiegazione non è così difficile. L’anno scorso la tirata iniziale del Napoli, arrivato alla lunga pausa mondiale già con 8 punti di vantaggio, dissuase la concorrenza dal tentare la rimonta: non a caso, con la testa libera dal campionato, fecero tutte molto bene nelle coppe. Le 12 sconfitte finali non furono certo un dato da Inter, ma l’Europa riscattò l’Italia. Quest’anno Inzaghi ha impostato la modalità opposta: scudetto deciso al più presto, per la Champions poi si vede. Va da sé che la sfida per la prossima stagione - fare grandi cose da una parte e dall’altra - sia già lanciata.