Napoli, l'alfabeto dello scudetto
B come bebè, i bimbi che porteranno il nome degli eroi del tricolore. C come i corni portafortuna, simboli di scaramanzia abbandonata con largo anticipo. N come Napoli Soccer, perché così si chiamava la prima squadra di De Laurentiis in C1. T come tre, perché da qui, come nel film di Troisi, si ricomincia. Z come Zizì, perché Kvaratskhelia ("lo chiameremo Zizì") era lo sconosciuto impronunciabile che è diventato eroe
di Marco Salami
- Quello spassionato del suo popolo. Perché passeggiando per i vicoli di Napoli ci si imbatte in mille cuori, dediche, messaggi. L'amore di una città con una sola squadra, non divisa tra due club come Milano, Roma o Torino. Dove tutti amano quella squadra, dove città e squadra portano lo stesso nome, con un simbolo diretto e chiaro: la N su sfondo blu, il colore del mare.
- Cioè i bimbi che porteranno il nome degli eroi dello scudetto. Il piccolo Daniele Khvicha è stato il primo, chiamato così da papà Armando, nome a sua volta decisamente non casuale.
- Simbolo di Napoli e di scaramanzia, quella abbandonata con largo anticipo tra bandiere, tatuaggi, striscioni e cartonati "uno a uno" per le vie della città, tutti col numero 3. Perché questo campionato è stato fin troppo dominato per non essere vinto.
- Quello che il Napoli non ha in rosa. Quello che sarà sempre il numero di Maradona. L'uomo a cui è dedicata questa vittoria.
- Perché la bellissima stagione del Napoli non si è limitata al campionato. Prima un girone da favola, dunque i complimenti dei top manager. Guardiola ha detto "Il Napoli forse è la squadra più forte d’Europa quest’anno in termini di gioco". E poi la corsa: i quarti di finale raggiunti sono record di sempre nella storia del club in Champions. La semifinale, quella, è sfumata col Milan.
- Il più bello prodotto da Aurelio De Laurentiis: "Che film sta girando il Napoli in questa stagione? - gli chiesero alla Bild qualche mese fa - Un'epopea colossale". Aveva ragione.
- Tantissimi. In media più di due a partita, come solo le migliori d'Europa: City, Bayern, Real e poche altre. Perché il Napoli ha vinto e convinto. E divertito.
- Cioè i giocatori che hanno fatto tornare grande il Napoli, dopo la retrocessione e il fallimento. Perché, per risalire in vetta all'Italia, il Napoli ha scalato un gradino alla volta, partendo nel 2004 e dalla C1. Marekiaro Hamsik, come i Cannavaro, i Lavezzi, gli Insigne e i Mertens, ne sono stati simbolo di rinascita, crescita e lealtà.
- Meret e Di Lorenzo, il capitano che alza al cielo la coppa. Politano e Raspadori. Uomini azzurri e uomini chiave della stagione azzurra. Proprio Meret e Di Lorenzo sono stati i due giocatori più utilizzati (e con più minuti in assoluto) nel campionato trionfale di Spalletti.
- Perché, anche se l'aritmetica è arrivata dopo, la prima grande festa è stata allo Stadium. La casa dei grandi nemici. Da Torino a Torino: la porta del gol di Koulibaly del 2018 che, però, non valse lo scudetto è la stessa della rete di Raspadori (sempre allo scadere) che ha incorniciato la marcia trionfale.
- Kaliodu Koulibaly, appunto. Cioè quella perdita sul mercato solo all'apparenza "gravissima", poi senza conseguenze. Anzi. Dietro la strana coppia Kosovo-Corea del Sud Rrahmani-Kim ha eretto un muro invalicabile.
- Di gioia, tantissime. Quelle che il popolo napoletano è pronto a far scorrere, come onde del mare.
- Quella di Osimhen, il simbolo della vittoria, il gadget dei supereroi. Con tutto lo straorindario lascito in città tra caffè, torte e interi menù dedicati.
- Cioè il nome del primo Napoli di ADL post fallimento, prima di riacquisire (qualche anno dopo) il vero nome. Il 26 settembre del 2004, in Serie C, quella squadra giocò la sua prima partita in casa: in panchina c’era Ventura, il primo gol del nuovo Napoli fu di Giovanni Ignoffo. E c'erano (quasi) cinquantamila persone.
- Quello fermo al 29 aprile 1990. Trentatré anni. Un orologio che segna lo scorrere del tempo e un mondo profondamente cambiato: per esempio, Kvara arriva dalla Georgia, che quel giorno non esisteva ancora. Così come la Slovacchia di Lobotka o la Macedonia del Nord di Elmas.
- Quello di Luciano Spalletti: da giocatore non era mai andato oltre la terza divisione. Da allenatore esordisce nel 1994 in C1 lottando per salvarsi dalla C2. Massese contro Empoli è la sua ouverture nel mondo della panchina. Poi la B, la A, ancora la B. Sampdoria, Venezia, Ancona, Udinese. L'ascesa: due Coppe Italia e una Supercoppa alla Roma, i campionati vinti in Russia, a Milano riporta l'Inter in Champions. Oggi lo scudetto.
- Un quadro capolavoro, quello dipinto dal Napoli partita dopo partita. Non solo vittorie, ma bel gioco, spettacolo, divertimento.
- Quella del calcio italiano, passando anche per il Napoli. Proprio nell'anno dell'ultimo scudetto azzurro del 1990 il pallone all'italiana viveva un momento magico, col Milan al bis in Coppa dei Campioni, la Juve che vinceva la Coppa Uefa in finale contro la Fiorentina e la Samp che si portava a casa la Coppa delle Coppe. Oggi, un grande flashback: la riscossa con cinque semifinaliste europee e un Napoli di nuovo campione.
- Simboli di Napoli, dell'arte. Ma anche simboli generazionali del tifo di Napoli. Sorrentino di quella che ha visto coi propri occhi Maradona (lui che ne ha raccontato l'epica in È stata la mano di dio, il suo film più autobiografico). Salvatore Esposito - classe 1986 - della generazione troppo giovane (o non ancora nata) che aveva vissuto soltanto i racconti del mito di Diego, delle sue gesta e degli scudetti. Oggi hanno vinto tutti.
- Da dove ricomincia il Napoli e i suo tifosi. Tre perché per molti si parte proprio da qui: è il terzo nella storia ma il primo per un'intera generazione. Ricomincio da tre come il film di Troisi, altro simbolo immortale di Napoli.
- Lo Spalletti pensiero che ha portato fino allo scudetto. Una squadra forte in campo e forte nella testa. Senza mai soffrire di vertigini, fino al tricolore.
- Quello in classifica sulle insegutrici, e che poteva anche essere A come "abissale". Sempre più grande nel corso di un campionato dominato. Il primato assoluto a fine stagione (per ora?) è lo scudetto interista del 2007 a +22 sulla Roma.
- Cioè "lo chiameremo Zizì" - ipse dixit Aurelio De Larentiis in estate su come pronunciare quel Kvaratskhelia che pareva tanto impronunciabile. Cioè il simbolo di un mercato eccezionale: lo sconosciuto (che non si sapeva nemmeno come chiamare) diventato eroe.