Robinho: "Milan? Fu Ibrahimovic a volermi. Non andai al Chelsea per via delle maglie stampate in anticipo"

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L'attaccante brasiliano si racconta ai suoi tifosi e svela qualche retroscena di mercato: "Zlatan consigliò a Galliani di comprarmi. Dopo il Real dovevo andare al Chelsea, ma il club si arrabbiò a causa delle magliette stampate in anticipo dai Blues. Così andai al City"

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I paragoni con Pelé, il sì al Real e non al Barça, il primo acquisto nel City degli sceicchi, lo scudetto al Milan, il ritorno in patria e il presente in Turchia, al Sivasspor. Robinho ne ha di storie da raccontare, corollario di una carriera di alto livello. Un palmares messo per niente male e una serie di bivi offerti dalla vita, ma rimpianti per lui non ce ne sono. Di retroscena, invece, ne è pieno e alcuni li ha rivelati durante una chiacchierata con gli utenti. Una confessione a cuore aperto con i tifosi, a cominciare dai suoi primi anni nelle giovanili del Santos, con l'etichettà di "nuovo Pelè" da sopportare: "I paragoni inizialmente mi hanno reso la vita difficile - dice nell'intervista pubblicata da FourFourTwo -. È impossibile fare un confronto con qualcuno che ha fatto mille gol, giocato quattro Coppe del Mondo ed è considerato il più forte di tutti i tempi. Devo però ringraziare chi è stato al mio fianco nelle prime stagioni. Durante il mio periodo tra i giovani del Santos sono stato guidato molto bene, poi sono entrato in prima squadra e anche lì ho avuto un allenatore, Emerson Leao, che si è preso cura di me".

Nel 2004, però, il brasiliano finì in prima pagina sui giornali per uno scherzo ai danni del compagno di Nazionale, Diego (ex Juventus): "Fu disastroso - spiega l'attaccante -. Solitamente era lui che mi tirava sempre giù i pantaloncini e io non riuscivo mai a vendicarmi. Aspettavo la mia occasione da molto tempo, così arrivò il giorno in cui dovevamo scattare le foto ufficiali per il torneo di qualificazione pre-olimpica in Cile. Mentre stava posando per il cameraman, feci a lui quello che avevo subito così tante volte. Tuttò il Brasile guardò quella scena. Pensammo fosse un episodio divertente, ma quando non riuscimmo a qualificarci molti ce lo rinfacciarono con rabbia. Fu un punto di svolta per noi, perché capimmo che dovevamo lasciarci l'infanzia alle spalle e diventare uomini. Da lì in poi abbiamo capito davvero cosa vuol dire indossare la maglia della Seleçao".

L'epoca blanca

A soli 21 anni poi arrivò la chiamata del Real Madrid che gli concesse subito una pesante investitura, la numero 10. I Blancos vinsero all'epoca la concorrenza del Barcellona: "Per me non è stata una scelta difficile - racconta Robinho -. Avevano mostrato più interesse rispetto ai blaugrana nei miei confronti e in più avevano tanti brasiliani in squadra, oltre all'allenatore Luxemburgo. Perché sarei dovuto andare al Barça?". L'allenatore verdeoro durò pochi mesi, sostituito poi da Lopez Caro e Fabio Capello. Con quest'ultimo le cose per l'esterno del Sivasspor non andarono molto bene: "Sono stato in grado di giocare con tutti i mister a Madrid - aggiunge -. Quando arrivò Capello invece mi mandò in panchina. Non so perché, forse a causa della mia età, ma io accettai la decisione senza lamentarmi". Diverso era invece il rapporto con Beckham: "Ha fatto sempre parte del nostro gruppo. Gli spagnoli erano gelosi perché parlava più portoghese che spagnolo e quindi passava più tempo con noi brasiliani. È una persona davvero umile, non ho mai conosciuto un giocatore con i piedi per terra come lui". A fine estate 2008 arrivò il momento di lasciare Madrid: "Non mi pento di essermene andato, ma rimpiango il modo in cui ci siamo lasciati. Il Real resta il club che mi ha aperto le porte e offerto la possibilità di affermarmi in Europa. Non dimentico i bei ricordi con loro, le buone prestazioni che ho dato con la squadra. Credo di aver giocato bene e averli aiutati a diventare campioni. Ero solo determinato a cambiare aria". La nuova esperienza si tradusse col trasferimento al Manchester City anche se, 24 ore prima, fu a un passo dal Chelsea: "Il mio obiettivo era unirmi ai Blues - racconta il giocatore verdeoro -. Avevo già parlato con Scolari e mi aveva detto che mi voleva in squadra per dare maggior qualità, ma la trattativa con il Real fallì perché i dirigenti si indispettirono quando il Chelsea mise in vendita le magliette stampate con il mio nome. Fu questione di orgoglio per i Blancos. Così cercarono un club che non giocava la Champions e, alla fine, andai al City".

Il passaggio al Milan e il "ruolo" di Ibra

A Manchester, Robinho, visse alcuni momenti di tensione con Bellamy: "Ho litigato con lui una volta - afferma -, ma chi al City non l'ha fatto? Anche altri giocatori hanno avuto problemi con Craig. Una volta giocammo contro l'Arsenal e io non disputai un buon primo tempo, così negli spogliatoi mi iniziò a urlare contro qualcosa in inglese. Io non capivo quasi nulla, ma da quel poco comprendevo che mi stava dicendo cose poco carine. Glauber mi aiutò a spingerlo via e, dopo, si calmò subito. Mi sentivo molto stanco perché avevo compiuto un lungo viaggio in Brasile, poi il giorno dopo venne e mi chiese scusa". Nel gennaio 2010 l'attaccante verdeoro tornò per qualche mese al Santos, prima di affrontare una nuova sfida: il Milan. "Ero circondato da grandi calciatori - ricorda Robinho -. C'erano Thiago Silva, Seedorf, Ibrahimovic, Inzaghi, Ronaldinho, Pirlo, Pato. Arrivai con l'obiettivo di vincere campionato e Champions, ma riuscimmo solo a conquistare lo scudetto. Quei giorni mi mancano ancora oggi. Ho trascorso quattro anni meravigliosi a Milano". Poi il retroscena sul ruolo di Ibrahimovic per il suo passaggio in rossonero: "Fu lui a raccomandarmi a Galliani - conclude -. Gli disse che c'era la possibilità di far venire anche me. «Vai e portalo qui», lo raccomandò, «è un fenomeno, insieme lavoreremo bene e segnerà i gol di cui la squadra ha bisogno». In campo mi ripeteva spesso questa storia".