Calciomercato, Monchi: "In Italia è difficile. Non sono a Roma per vendere, dovevo sistemare i conti. È ora di vincere"

Calciomercato

Il direttore sportivo della Roma si racconta in esclusiva a Gianluca Di Marzio nello speciale "Il Codice Monchi", in onda su Sky Sport24 oggi alle 13.45, 15.45 e 19.15. Dal mercato giallorosso, al suo metodo di lavoro. E dei tifosi dice: "Hanno sempre ragione, quelli della Roma di più. Ora bisogna vincere qualcosa"

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Ramón Rodríguez Verdejo, noto semplicemente come Monchi (“è un diminutivo, come Beppe per Giuseppe in Italia”) si racconta a Gianluca Di Marzio nello speciale "Il Codice Monchi" in onda martedì 1 gennaio su Sky Sport24 alle 13.45, 15.45 e 19.15. Il direttore sportivo della Roma (che doveva fare l'avvocato) parla del mercato giallorosso, delle prime difficoltà riscontrate alla sua prima esperienza in Italia e del suo metodo di lavoro.  Autocritico, condivide tutto con l’allenatore perché questo vuole la sua filosofia. E dà sempre ragione ai tifosi perché “quando uno tifa una squadra grande come la Roma bisogna vincere qualcosa. È normale".

Ti senti un po' Babbo Natale per i tifosi quando arriva il mercato?

"Beh…Sì, quando arriva il mercato, d’estate o d’inverno, il mondo gira intorno ai direttori sportivi. Tutti aspettano che prenda tre o quattro giocatori e che diventeranno calciatori importanti. Invece per me, normalmente, il mercato di gennaio non cambia tanto una squadra, è solo per cambiare delle piccole cose. Se bisogna fare 4 o 5 acquisti, vuol dire che qualcosa si è sbagliato nel mercato estivo.  

Esiste un metodo Monchi?

Mai prendo un giocatore che non vuole l’allenatore e mai prendo un giocatore che vuole l’allenatore e non voglio io. È una filosofia, il mio modo di lavorare, nessuno dei due deve imporre il proprio punto di vista, tutto deve essere condiviso. Sono 16 le persone che lavorano nel mio ufficio, lavorano e viaggiano tanto, non solo Monchi".

Quante volte vedete un giocatore prima di decidere?

"Tante volte. Noi facciamo una prima parte dell’anno in cui raccogliamo una visione generale, poi cominciamo a segnalare il giocatore, ma lo vediamo tante volte, tra le 6 e le 12 volte".

Non ti è mai capitato di prendere un giocatore che non avevi mai visto?

"No, ma io sono un difensore della tv, perché credo che la prima impressione debba essere così, altrimenti dovresti avere 500 scout. Poi, una volta che capisci che un giocatore potrebbe avere certe caratteristiche, devi sempre andare a vederlo dal vivo. Poi ci sono anche i dati che ti aiutano: per fare la prima scrematura i dati sono fondamentali, ma dopo, naturalmente, devi visionare il giocatore".

Che differenza c'è tra fare mercato in Spagna e in Italia?

"Qui si lavora in una vetrina, esce tutto (le notizie, ndr), è difficile, per me è stato il cambiamento più grande. In Spagna il mercato è importante, ma non diventa una notizia continua. Qui è una notizia non solo ad agosto o a luglio, ma a settembre, ottobre, novembre… insomma, quindi è più difficile".

Cosa non abbiamo ancora capito del tuo modo di lavorare?

"I tifosi della Roma hanno tutti ragione, ma il tifoso ha sempre ragione, solo che quelli della Roma di più, perché è vero che quando uno tifa una squadra come la Roma – che è una squadra grande, non solo in Italia, ma anche in Europa – bisogna vincere qualcosa. È normale, gli ultimi ai quali si può dare una colpa sono i tifosi della Roma perché hanno ragione. Io non posso dire niente, al di là dei media, ho sempre avuto la sensazione che loro siano vicini a me, ma è vero che qualcosa dobbiamo anche dargli. Sono tanti anni che non vincono niente, quindi è normale. Non sono venuto qui per vendere, ma per fare il mio lavoro e il mio lavoro era sistemare i numeri. Piano, piano l’anno scorso abbiamo sistemato più o meno i numeri e abbiamo fatto delle vendite normali, quelle che io ho pensato essere buone per la società. Non ho la bacchetta magica, quello che ho fatto, l’ho fatto sempre nella stesa forma, lavorando con i giovani, ma anche con i giocatori che già sono formati. Credo che alla fine i tifosi, voi (la stampa, ndr), potrete cominciare a capire quale sia la mia idea. So che il tempo nel calcio a volte non arriva mai. Ma sono convinto, perché so come lavoro io e come lavorano quelli che ho intorno, che abbiamo ragione".

Sei autocritico?

"Tanto. Io sono il più esigente di tutti con me stesso. Io dico sempre che il direttore sportivo deve avere 3, 4 caratteristiche. Una di queste è capire quando sbaglia e imparare dai suoi errori. È vero che ho avuto la possibilità di vincere tante cose, ma il giorno dopo sono preoccupato perché non mi fermo mai al successo. Lavoro pensando sempre che domani il successo non arriverà. Quindi ogni giorno provo a dire: dove ha sbagliato Monchi? Io non mi nascondo mai e ci metto sempre la faccia, perché credo sia giusto così. Ho la fortuna, qui a Roma ed a Siviglia, di lavorare con autonomia. Quindi, se sbaglio, sbaglio io. Pallotta mi ha detto: questa è la tua squadra, questa è la tua Roma, tu devi fare questo".

Hai fatto più cose giuste o sbagliate, da quando sei qui?

"È troppo presto per dirlo. Ti faccio l’esempio di Dani Alves. Dopo un mese che è arrivato a Siviglia dicevano: ma da dove è arrivato questo giocatore? E poi è arrivato dove è arrivato. Per me, a Roma il primo anno abbiamo raggiunto un risultato ottimo, per come avevamo iniziato. Quest’anno è ancora presto per sapere come finiremo, perché siamo ancora vivi in tutte le competizioni. Penso che i bilanci si facciano alla fine della stagione, ma qualcosa ho sbagliato, è vero".

Come è nata l’idea Zaniolo?

"Mentre facevamo la trattativa per Nainggolan, avevamo fatto due richieste all’Inter: Radu e Zaniolo. Radu però era già stato dato al Genoa e l’Inter non voleva vendere Zaniolo: mica sono scemi. Ausilio è bravo! Ma la trattativa non era: o Zaniolo, oppure non si fa niente. Però volevano fortemente prendere Radja e quindi dovevano pur cedere su qualcosa. Se mi aspettavo che fosse subito così determinante? No, sinceramente no".

Perché fai il direttore sportivo?

"Non lo so, mai avrei pensato di fare il direttore sportivo. Mi sono laureato per fare l’avvocato, che è quello che mi sarebbe piaciuto fare. Quando ho smesso di giocare, ho fatto un anno il team manager. È stato un anno orribile del Siviglia, quando andò in Serie B. In quel momento nessuno avrebbe voluto fare il direttore sportivo. In quel momento il presidente me lo ha chiesto e io ho risposto: lo faccio. Senza pensare dove sarebbero arrivati, perché era un casino incredibile, la squadra era in Serie B, più vicina al fallimento che ad altre cose. Ho cominciato così e sono arrivato fino a qui".

Capitolo Totti: il suo futuro?

"Piano piano sta imparando, è una persona sveglia. Non so cosa farà nel futuro, ma vedo che le trattative gli piacciono e si sta inserendo sempre di più. E quello che dice ha sempre un senso".

Perché ti chiamano Monchi?

"E' il diminutivo di Ramon, come per voi in Italia Beppe è il diminutivo di Giuseppe. Da noi in Spagna Ramon diventa Monchi. Anche mia mamma mi chiama così, tutti mi conoscono così e dunque tutti mi possono chiamare Monchi!".