Nel 2015 giocava nella quarta serie del calcio tedesco. Con la sua famiglia scappò dalla guerra in Kosovo, rifugiandosi nei boschi e dormendo fra i sacchi di grano per fuggire dalle bombe. Ora i granata lo hanno strappato all'Atalanta: alla scoperta del terzino kosovaro
Vederlo sorridere non è facile. Quando scende in campo, Mërgim Vojvoda ha una faccia che parla chiaro, soprattutto in Nazionale: "In ogni partita con il Kosovo mi immagino di essere di nuovo in guerra. Divento un soldato che deve difendere il suo paese". Da ora in poi proteggerà anche il Torino, che lo ha strappato all'Atalanta. Cairo ha fatto di tutto per prenderlo: 5.5 milioni più bonus allo Standard Liegi, quanto basta per battere la concorrenza. Sarà in città già martedì, magari un sorriso ai fotografi lo farà. A febbraio ha compiuto 25 anni, ma alle spalle ha tutta una storia da raccontare. Che, purtroppo, va oltre il calcio.
La guerra e la povertà
I suoi genitori sono fuggiti dalla guerra del Kosovo, rifugiandosi in Germania. Lì è nato Mërgim, prima che il governo li rimandasse tutti a casa: "Abbiamo vissuto nei boschi per diversi mesi per sfuggire alle bombe. Abbiamo viaggiato sui trattori, ci siamo nascosti tra i sacchi di grano. Abbiamo dormito sotto le stelle, lottando contro fame e sete", racconterà. Poi l'arrivo in Repubblica Ceca, dove la polizia mette in prigione padre, fratello e sorella. Mërgim è costretto a stare lontano da loro per sei mesi. Una volta insieme, l'ennesima fuga, questa volta dalle zie che vivevano in Belgio. Qui scopre il calcio. I primi approcci in alcuni piccoli club nei pressi di Liegi, poi lo Standard all'età di 16 anni. Le prime lacrime di gioia cadono tre anni dopo, quando nel giorno del suo 18esimo compleanno firma il contratto da professionista. Preludio di un esordio in prima squadra, che però non arriva. Si deve accontentare di due settimane di allenamento nel ritiro estivo, niente di più. Anzi, comincia la girandola di prestiti: il primo al Sint-Truiden nella Serie B belga: "Quando tornerai, farai parte della prima squadra", gli dicono. Un anno dopo, però, non cambia niente.
L'incubo quarta serie
Nel 2015 Roland Duchâtelet, businessman e politico belga oltre che propietario dello Standard Liegi, decide così di mandarlo nel club di sua proprietà in Germania, cioè il Carl Zeiss Iena. Vuol dire quarta serie del calcio tedesco, ma è lì che cresce come uomo: "Dovevo contare i centesimi nel portafoglio a fine mese - spiegherà - abitavo in un hotel fatiscente, in condizioni che nessun altro calciatore avrebbe mai accettato. Ma era importante, a quel punto, uscire dalla mia comfort zone e scoprire che il calcio è giocato prima di tutto da uomini". Disputerà 27 partite in una stagione storica per la squadra, che in Coppa di Germania eliminerà perfino l'Amburgo prima di arrendersi allo Stoccarda. Torna allo Standard Liegi, che però continua a non credere in lui tanto da parcheggiarlo al Mouscron (finalmente in Jupiler Pro League) senza chiedere nulla in cambio. Solo una piccola percentuale sulla futura rivendita. Lì Mërgim fa innamorare tutti fin dai primi test, dove si dimostra una freccia. Gioca tre stagioni da protagonista, prima 31, poi 33 e infine 39 partite. Lo Standard Liegi, a quel punto, si convince: il ragazzo merita fiducia. Quello che succede dopo è storia recente, perchè Vojvoda nella stagione 2019/20 gioca 30 volte e attira l'interesse della Serie A. Nel 2015 era precipitato nella quarta serie del calcio tedesco, da martedì sarà il sostituto perfetto di De Silvestri.
L'amore per il Kosovo
Di ruolo terzino destro, Vojvoda può giocare anche a sinistra o come centrale. 25 anni, ma già tanta esperienza (nella scorsa stagione anche tre presenze in Europa League, dove ha affrontato l'Arsenal). In Kosovo è una star: "Sono un po' come Hazard in Belgio", ama ripetere. Lo adorano perché prima giocava per l'Albania U21, poi la scelta di cambiare. Eppure il 2016 è un anno benedetto per il calcio albanese. La Nazionale partecipa all'Europeo in Francia, un traguardo storico. Vojvoda avrebbe potuto realizzare un sogno, ma decide con il cuore. E, non appena la FIFA riconosce il Kosovo come paese mebro, lui non ha esitazioni e cambia. Non ama la Serbia, anzi. Per tornare in Kosovo, piuttosto che attraversarla in macchina, preferisce passare per la Croazia e il Montenegro, anche se la deviazione gli costa otto ore di viaggio in più. Non ha fretta, non l'ha mai avuta in carriera. L'importante è arrivare alla metà. La sua l'ha raggiunta: il Torino.