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Addio a Mino Raiola, icona del calciomercato

IL RICORDO

Luca Marchetti

©Getty

Raiola è stato il procuratore per eccellenza. Mino era quello che faceva diventare ricchi i suoi assistiti, quello a cui rivolgersi per prendere un campione, quello che metteva all'angolo le società. Ha riscritto la storia della sua professione, ed è stata una storia incredibile

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"Se le cose impossibili non esistessero non esisterebbe calciomercato". In questa frase è raccolto tutto Mino Raiola. Nel bene e nel male. E’ la sua storia ad essere impossibile, anzi incredibile. E il fatto che sia stata possibile ha reso la sua figura talmente forte da diventare un’icona del suo mestiere. Raiola è stato il procuratore per eccellenza: nel bene e nel male. Mino era quello che faceva diventare ricchi i suoi assistiti, quello a cui rivolgersi per prendere un campione, quello che metteva all’angolo le società. Quello che diventava ricco.

 

Faceva sembrare semplice quello che in realtà semplice non era. Ma la semplificazione era la sua forza. Esasperava i concetti, difendeva a spada tratta i suoi giocatori. Che rimanevano fedeli a lui non (solo) per i lauti guadagni ma per la sua dedizione alla causa.

Le cose impossibili sono iniziate a Nocera Inferiore, dove è nato (anche se era di Angri), ma da dove si è trasferito sin da piccolissimo per arrivare ad Haarlem, in Olanda. Avevano un ristorante, i Raiola, e Mino ha iniziato lì a lavorare. Lui studia, impara le lingue da autodidatta e gli piace il calcio. E mentre fa esperienza nel settore giovanile dell’Harleem, comincia a frequentare i personaggi del calcio (soprattutto italiano) che gravitano nel suo ristorante. E diventa un referente per l’Italia. Da lì inizia la sua fortunaIl suo primo grande trasferimento fu nel 1992 quello Bryan Roy al Foggia, poi Bergkamp e Jonk all’Inter, l’anno successivo. Da lì comincia l’ascesa di Raiola: da Nedved a Ibrahimovic, Pogba e Donnarumma. Fino a Haaland e De Ligt. Per non parlare di Verratti, Balotelli, Kean, Mkitharyan…

Ha fatto sognare migliaia di tifosi, perché nel calciomercato non c’è nulla di impossibile. E’ stato un’icona letteralmente, un modo di dire. E’ sempre stato diretto nei suoi modi, perfino brusco. Andava sempre all’osso e aveva in testa soltanto una cosa: lavorare negli interessi del giocatore, unicamente del giocatore. E i suoi, naturalmente.

E questo lo si notava anche nel suo abbigliamento. Difficile se non impossibile vederlo in giacca e cravatta. Meglio poco e se possibile bermuda. Non gli interessava la forma, ma la sostanza. Come nei contratti: ambizione e guadagni dovevano andare di pari passo. Ha riscritto la storia della sua professione. Ha lanciato un nuovo modo di farla. Ha fatto parlare di sé, spesso con invidia, alle volte con rancore. Ha continuato a farlo anche in questi ultimi mesi.