Mourinho: "Mia carriera ancora lunga, ma voglio essere solo l'allenatore. La Roma..."

al 'telegraph'

Il portoghese torna a parlare attraverso un'intervista al Telegraph: "La mia carriera è ancora lunga - dice -. Sogno di fare l'allenatore, a volte sfortunatamente ho avuto a che fare con situazioni in cui dovevo essere più di questo. Credete che dopo la finale di Budapest fui felice di essere il volto della squadra in conferenza stampa? Non cerco solo club fatti per vincere, la Roma non aveva una storia di vittorie"

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"Ho 61 anni e non voglio fermarmi a 65, assolutamente no. La mia carriera è ancora lunga”. José Mourinho non ha alcuna intenzione di fermarsi e lo conferma in un'intervista al Telegraph, riepilogando alcuni passaggi della sua carriera e tracciando la strada su quello che potrebbe essere il suo futuro. "Qualche club ha paura di fare il nome come opzione per la panchina? È un peccato che non possano parlare con Peter Kenyon, Massimo Moratti, Florentino Perez, Pinto da Costa". Il nastro si riavvolge poi al suo periodo al Porto, alla vittoria della prima Champions e alla sua iconica esultanza a Old Trafford: "Quella corsa probabilmente ha cambiato la direzione della mia carriera - spiega -. L'altro giorno mi sono imbattuto in un ragazzo per strada che chiedeva: 'Quando lo avremo di nuovo in Portogallo così?'. Gli ho risposto che possiamo vincere gli Europei perché abbiamo una nazionale incredibile, la migliore di sempre, ma quando un club portoghese vincerà ancora la Champions League? Vediamo se lo faremo nei prossimi 20 anni. Dopo il trionfo in Coppa Uefa del 2003, iniziai ad avere alcuni club stranieri interessati a me, ma non i big e non della Premier League, allora pensai: "Adoro questo posto. Ho una buona squadra, un ottimo presidente, una grande struttura. Vincerò di nuovo il campionato portoghese. Godiamoci la Champions League e vediamo dove va". Avevo la sensazione che avrei potuto lasciare il Portogallo quando volevo, ma allora ancora non per un grande club".

"Lo United ha ancora due giocatori che io non volevo 5-6 anni fa" 

Nel 2004 iniziò la sua avventura in Premier, al Chelsea: “Sapevo che dal punto di vista metodologico avrei potuto fare subito la differenza perché il mio modo di allenarmi era abbastanza lontano da quello tradizionale - racconta -. Quindi non ho commesso errori fondamentali. Si è dimostrata subita una squadra piena di aggressività e piena di potere. Gli scettici dicevano 'A Natale il Chelsea morirà'. Poi arrivò Pasqua, infine le ultime due o tre partite ma noi stavamo già festeggiando”. Diverso il discorso al Manchester United: "Il mio rapporto con Ed Woodward è buono dal punto di vista personale, ma dal punto di vista professionale non fu il massimo. Quando arrivai avevo un background diverso da quello di Ten Hag e io non avevo quel livello di supporto e fiducia. Quindi me ne sono andato triste, perché sentivo di essere all'inizio di un processo: se si fossero fidati di me e avessero creduto nella mia esperienza, le cose sarebbero potute andare diversamente. Ci sono ancora oggi un paio di giocatori che non volevo cinque o sei anni fa: penso che rappresentino un po' quello che considero non il miglior livello professionale per un club di una certa dimensione. Ma lì ho fatto il mio lavoro, il tempo dice sempre la verità".

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"La storia della Roma era di un club senza vittorie"

"Sono l'unico allenatore europeo ad aver giocato due finali negli ultimi due anni - aggiunge Mou -. Allora parliamo del mio presente. Non sono colpevole di aver vinto la Champions League 20 anni fa. Ma se vai dal 90% degli allenatori e chiedi 'Vorresti giocare due finali di Coppa dei Campioni in due anni consecutivi?', la maggior parte di loro risponderà 'Sì'. Non è che io abbia paura di lavorare con non fatti per vincere, il mio lavoro è cercare di trasformare in club 'fatti per vincere' o per raggiungere degli obiettivi. La Roma era un club con una 'storia senza vittorie'. Questo è il mio sogno: essere l'allenatore. Concentrarsi sullo sviluppo dei giocatori, sulla preparazione delle partite. Fortunatamente ho avuto questo nella mia carriera ma, sfortunatamente, ho anche avuto altre situazioni in cui dovevo essere molto più di questo. Quando sei molto di più, non sei un allenatore bravo come potresti essere. Il club ti mette in una posizione in cui non vorresti essere. Pensate che dopo la finale di Europa League che abbiamo perso, nelle circostanze in cui abbiamo perso, fossi felice con tutta l'emozione che ho provato? Credete che fossi felice di essere il volto del club che è andato in conferenza stampa per parlare di quegli avvenimenti? No, odiai andarci. Se la gente teme qualcosa su di me, non deve farlo. Datemi solo una struttura professionale in cui io sia solo l'allenatore, perché questo è ciò in cui sono bravo. La gente dice che sono bravo a comunicare ma molte volte dici le cose sbagliate, soprattutto quando comunichi tre o quattro volte a settimana. La struttura di un club mi spinge nella direzione sbagliata". Infine una battuta sul calcio moderno: "Guardate City e Arsenal, giusto per fare due esempi. Quanti difensori centrali hanno in squadra? A volte ne hanno sei, per una questione di principio, ma poi giocano in altre posizioni. Perché? Perché hanno bisogno di stabilità difensiva. Il mio modo di vedere è che la differenza tra il Manchester City che ha avuto successo in Champions e quello che non l'ha avuto è dettata dalla fisicità. Tutto ciò conta ancora".

Inter Milan s Marcus Thuram jubilates with his teammates after scoring goal of 1 to 0 during the Italian serie A soccer match between Fc Inter  and Cagliari  at  Giuseppe Meazza stadium in Milan, 14 April 2024.
ANSA / MATTEO BAZZI

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