Il quinto Lombardia dell'era Pogacar

Rafał Majka era al suo ultimo Lombardia : a 36 anni il corridore polacco dà l’addio al ciclismo. Una carriera spesa, dal 2021 a oggi, a svolgere prima il ruolo di capitano e poi quel lavoro oscuro, faticoso e prezioso del gregario deluxe nella UAE Emirates-XRG. Sfiancante addirittura se il tuo capitano impone ritmi infernali ogni volta che la strada sale. Al tempo stesso però può essere gratificante se il tuo leader si chiama Tadej Pogačar e i tuoi sforzi da nobile scudiero si trasformano in aiuto alle inesorabili e schiaccianti vittorie del Re. Ai -38,2 km dall’arrivo di Bergamo, Majka ha concluso il suo lavoro di giornata e l’ultima fatica della sua carriera. I gregari, anche i più illustri, tirano finché ne hanno, poi si spostano di lato e tocca al successivo, fino al momento in cui il capitano decide di attaccare. E così fa 'Rafa' che, come il compagno Jai Vine un km dopo, scarta a destra e comincia a rallentare. In quel momento, mentre la corsa ancora non è decisa, con il sorprendente Quinn Simmons in fuga dal km zero da andare a riprendere, Tadej Pogačar regala l’ennesimo gesto a sorpresa, uno di quelli che entrano di diritto nel campionario a cui ci ha abituato. Si alza sul sellino, si volta verso Majka e lo onora con il saluto militare. Difficile pensare a un gesto di rispetto e gratitudine più alto, rivolto in mondovisione, visibile perché resti, e diventi simbolo. Un modo di intendere le corse e forse, allargandoci un po’, la vita e i rapporti umani. Per Paul Eluard ci sono parole che fanno vivere, e fra queste ci sono compagno, fratello, gentilezza. Ed è forse proprio quella 'forza gentile' l’aspetto che rende Pogačar un vero 'stupor mundi' contemporaneo. Per qualche giorno, nel finale del Tour de France, avevamo temuto che lo sloveno avesse perso quella spensieratezza, quella gioia di correre, che lo ha contraddistinto in tutti questi anni. Per un attimo il brivido: 'Il Re non si diverte' più. Scuro in volto, affaticato più nella mente che nel corpo e infastidito, quel suo non vedere l’ora che finisse la Grande Boucle. E il suo contare i giorni che mancano alla fine della carriera. Probabilmente, era davvero soltanto la semplice necessità di fare un po’ di vacanza, ritagliarsi qualche giorno di serenità, lontano dai riflettori e vicino all’inseparabile fidanzata e collega Urška Žigart. In fondo, anche lui è solo un ragazzo di 27 anni. Gli serviva una ricarica fisica ed emotiva. E infatti ecco il Mondiale di Kigali, durissimo, dominato alla sua esagerata e meravigliosa maniera. E una settimana dopo, ecco l’Europeo di Valence, anch’esso stradominato. Poi, come fosse un normale allenamento di metà settimana, la Tre Valli Varesine conquistata quasi controvoglia. E con una variazione sul tema, l’attacco stavolta in discesa, presenziando al via per mantenere la promessa fatta nel 2024 quando la corsa lombarda fu annullata per maltempo su decisione dei corridori . Mancava solo il gran finale. L’ultima classica monumento, il Lombardia, corsa ormai consolidatasi nella spola tra Bergamo e Como, ad anni alterni fra andata e ritorno. Quest’anno il traguardo era nella 'Città dei Mille', dopo aver costeggiato le mura patrimonio UNESCO dell’Umanità. Una corsa accesa subito dalla fuga di gente forte, tra cui lo statunitense Quinn Simmons e il nostro Filippo Ganna. Pronti-via, e già dal km zero parte la fuga di giornata. Se ne vanno in 14, via via scesi a 12, poi 10 e infine 4, e il gruppo che controlla, con la UAE Emirates-XRG a mantenere il distacco tra i 2’30’’ e i 3 minuti. Distanza di sicurezza che Simmons ha provato a far saltare. Ai -82 km il 'Capitan America' – campione nazionale USA – della Lidl-Trek saluta i compagni di avventura e tenta l’impresa della vita andando via da solo sulla Zambla Alta. Ma è sul Passo di Ganda che avviene l’inesorabile, inevitabile, incontrastabile. Ai -36,6 km Pogačar, resi gli onori a Majka e imposto il ritmo, decide che il tempo della sua solita azione solitaria è giunto. Non scatto secco ma progressione irresistibile, e in un tempo a noi è sembrato brevissimo eccolo piombare sull’americano in fuga, staccarlo e iniziare l’assolo finale verso il traguardo. C’è l’immagine di un tifoso a bordo strada al momento in cui scatta lo sloveno: braccio in aria in segno di ammirazione, come a chiedersi: "Non è possibile, dai, ma quanto è forte?". Dietro, si ripete il copione delle ultime tre settimane. Remco Evenepoel, alla sua ultima corsa con la Soudal-QuickStep prima di passare alla Red Bull-BORA-hansgrohe, insegue ma al suo passo, si volta indietro per cercare una collaborazione che nessuno può dargli , a tentare anche lui in solitaria una rincorsa impossibile. E, ai-2,6 km, sul Colle Aperto, a rischiare addirittura di tamponare la moto di un fotografo. Terzo secondo posto in 15 giorni, come al Mondiale di Kigali e all’Europeo di Valence, e il secondo consecutivo al Lombardia. Sempre dietro al rivale sloveno, sempre su quel gradino del podio che tanto stretto sta al suo ego e alla sua classe, se non ci fosse quello lì, il marziano, lo stupor mundi. Il bello di Evenepoel è però anche la sua convinzione di poterlo battere, prima o poi, quel rivale. Remco non molla, rilancia, torna sul ring nonostante i KO in serie. Continua a ripetere che gli si sta avvicinando, anche se i distacchi – nelle gare in linea – dicono che invece è sempre lì. Il migliore di tutti gli altri, ma sempre a un minuto e oltre. Il belga in questo resta comunque un esempio. Nel resistere, ribattere, non partire mai sconfitto e risalire in sella con la stessa grinta anche dopo l’ennesimo piazzamento, e un’altra dimostrazione di disarmante superiorità dell’avversario. Terzo a 3’14” il sorprendente Michael Storer, che regala alla Tudor, formazione Professional, un incoraggiante finale di stagione. Da menzionare, ancora, Simmons: per lui un quarto posto da applaudire e ammirare. 'Capitan America' non è solo folcloristico, con quei baffi e i lunghi capelli da cowboy e la maglia, talmente kitsch da essere persino desiderabile, di campione nazionale statunitense. Quinn ha dimostrato di avere il coraggio e le gambe, con un’azione difficile anche solo da immaginare, e il cui esito è già una piccola impresa, se non altro per aver reso la corsa meno scontata di quanto si potesse immaginare alla vigilia. Il quarto non va sul podio, ma in quella sorta di festival del cinema che è il ciclismo di oggi merita la sezione che a Cannes chiamano "Un Certain Regard". Quindi chapeau bas per Quinn. Quinto il messicano Isaac del Toro che nello sprint degli altri inseguitori, a 4’16”, ha regolato il britannico Tom Pidcock, il francese Paul Seixas e il colombiano Egan Bernal. Chiudono la top 10 l’australiano Jay Vine e il belga Cian Uijtdebroeks . Un ordine d’arrivo in cui risalta un dato: nei primi dieci ben tre sono della UAE Emirates-XRG, ormai sempre più squadra dominante con il capitano più dominante. Uno strapotere totale: 93 vittorie in stagione , e del Toro, per esempio, da 15 successi di cui 7 in Italia , oltre a una tappa al Giro d'Italia con secondo posto finale in classifica generale. Numeri che danno l’idea delle forze in campo e che forse meriterebbero una riflessione generale su quanto le superpotenze economiche del ciclismo siano ormai delle fortezze quasi inespugnabili. Nei primi dieci all’arrivo c’è anche Paul Seixas. Il 19enne di Lione dopo il 13° posto nel terribile Mondiale e il bronzo nel durissimo Europeo delle scorse due settimane, ha chiuso settimo l’ultima classica monumento stagionale. Risultati che dimostrano che ha la cilindrata giusta per stare già tra i grandi, c’è grande continuità ai massimi livelli e non più l’effetto-sorpresa. La sua gestione da parte del team, la Decathlon-AG2R La Mondiale, sarà decisiva. Noi italiani aspettiamo Lorenzo Mark Finn, che dopo aver vinto il mondiale Under 23 ha scelto invece di restare un altro anno nella categoria. E guardiamo con speranza a Giulio Pellizzari, più giovane di sempre a terminare in top 10 in due grandi corse a tappe nello stesso anno. E però arrivato a questo Lombardia non al meglio dopo il malanno che gli ha fatto saltare mondiale ed europeo. Intanto sul regno di Tadej Pogačar sembra non tramontare mai il sole. Vittoria numero 108 in carriera, la 20ª in stagione, quinto Giro di Lombardia come Fausto Coppi, ma a differenza del 'Campionissimo' lo sloveno li ha conquistati tutti e 5 di fila . Tre monumento in stagione e mondiale come solo Merckx. Primo alla Strade Bianche, terzo alla Milano-Sanremo, secondo alla Parigi-Roubaix, primo al Fiandre e alla Liegi-Bastogne-Liegi, maglia gialla al Tour de France, campione del mondo per la seconda volta consecutiva, campione europeo, vincitore alla Tre Valli Varesine e al Lombardia. Numeri e successi vertiginosi, che suscitano meraviglia, che lo rendono davvero uno 'stupor mundi'. C’è stato un pre- e ci sarà un dopo-Pogačar, su questo ci sono pochi dubbi ormai. E ora sembra anche aver ritrovato il suo solito e fanciullesco sorriso, ha regalato la consueta borraccia ai tifosi, fatto quel sentito tributo a Majka e l’immancabile esultanza verso la telecamera della moto a pochi metri dall’arrivo, prima dell’abbraccio con il suo team e i fidati agenti. Insomma, il solito spensierato, spietato e vincente Tadej. Ha detto spesso che i record del passato non sono la sua prima preoccupazione, che lui vuole solo essere il migliore della sua epoca. Figuratevi se cominciasse a interessarsene pure, dei record. Ora cala il sipario sulla stagione 2025. Aspettando il prossimo anno dell’ 'Era Pogačar'. Lo stupor mundi del ciclismo contemporaneo.

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Alberto Pontara