Con Pogačar un ciclismo noioso? Perché il dibattito è inutile (e forse dannoso)

Le immagini sono importanti. Partiamo dalla prima grande corsa della stagione, la Strade Bianche: migliaia di persone sul Colle Pinzuto e sul muro di Santa Caterina. Andiamo velocemente in avanti, all’ultima, il Giro di Lombardia: sulla Boccola, alle porte di Bergamo, il muro non era soltanto una salita, ma di folla vera, anche là in migliaia. Una marea umana assiepata a bordo strada dal mattino presto. Scene che ormai siamo abituati a vedere, come nel 2024 al Giro dell’Emilia, con i cori da stadio alla curva delle Orfanelle, sulla salita di San Luca, con una pioggia che invitava al divano, a una coperta, a un tè davanti la tv più che alla strada fradicia e fredda. Le immagini contano. E danno un dato tangibile, visivo appunto, di quanto il ciclismo contemporaneo – alla sua ‘nuova età dell’oro’ – abbia riconquistato appassionati, tifosi, curiosi, che si assiepano su strade, passi di montagna, arrivi, partenze . I dati ‘visivi’ vengono confermati da altri numeri: il digital di Sky Sport segna da almeno tre anni un incremento esponenziale, e continuo, di interesse verso il ciclismo. Ovviamente, le imprese di Tadej Pogačar la fanno da padrone. Ma al tempo stesso trainano tutto il resto, anche le corse in cui lui non è presente. Per questi e altri motivi il dibattito, che serpeggia non solo sui media, sul fatto che lo sloveno abbia reso, o stia rendendo, noioso il ciclismo, può apparire persino lunare. È forse noioso Armand Duplantis? Lo svedese ha chissà quanti altri centimetri di ulteriore, potenziale miglioramento nel suo già epocale palmarès nel salto con l’asta. A ogni meeting, olimpiade, campionati europei o mondiali, migliora di un centimetro ogni record. Forse, e del tutto lecitamente, anche per un attento calcolo per il montepremi. Ma fosse anche per mero fine utilitaristico, quel suo salire di misura, gara dopo gara, diventa un formidabile invito a riempire gli stadi di atletica. E torna utile a tutti: allo stesso ‘Mondo’, per ingaggi e sponsorizzazioni, ma anche agli spettatori, che sanno di poter assistere a un ennesimo pezzettino di storia dello sport. Significa condividere con gli altri un’epica individuale, è un modo per ‘donarsi’. Lo svedese, oggi, è forse il più calzante metro di paragone con lo sloveno, essendo i due gli atleti più dominanti nelle rispettive discipline e, più in generale, nello sport contemporaneo. Ma potremmo dire, guardando al passato: erano forse noiosi i 100 metri di Usain Bolt? O gli slalom di Alberto Tomba, le vittorie di Valentino Rossi, la dinastia dei Chicago Bulls di Michael Jordan? Lo ‘stupor mundi’ del ciclismo macina record su record, vittorie su vittorie, chilometri su chilometri percorsi in solitaria . Certo, sappiamo già prima di una corsa come andrà a finire. Eppure, in tanti godiamo lo stesso: perché in fondo vogliamo vedere sin dove si spingerà, fin quando sarà così dominante. Perché la sua pedalata, il suo modo di correre è classe, potenza, leggerezza e spensieratezza tutte assieme. Perché aspettiamo sempre il momento in cui regalerà la borraccia a un bambino, darà il cinque a un tifoso, scherzerà con la fidanzata Urška Žigart a bordo strada. Soprattutto siamo tutti curiosi di sapere se riuscirà a vincere la adorata e per lui sin qui sfuggente Milano-Sanremo, e la mitica Parigi-Roubaix. Se guardiamo al 2025, proprio quelle due monumento sono state forse le corse più spettacolari. E guarda caso Tadej le ha perse per mano di un altro fenomeno assoluto, Mathieu van der Poel. Ma non sarebbero state le stesse gare se lo sloveno non le avesse infiammate alla sua maniera, correndo all’attacco, un atteggiamento che nell’ ‘Inferno del nord’ gli è costato una caduta persino sorprendente nella sua dinamica. E quando lo sloveno non è al via, le corse sono forse più entusiasmanti? Per il Giro d’Italia 2025 possiamo forse rispondere "nì", perché quanto meno c’è stato – fra il vincitore Simon Yates e la maglia rosa Isaac del Toro – il ribaltone finale sul Colle delle Finestre. Pensando invece alla Vuelta 2025, vinta da Vingegaard in puro stile-ragioneria, dovremmo rispondere con un perentorio "no". Al tempo stesso, senza lo sloveno tante corse di un giorno sono state piacevoli e persino spettacolari: è il ciclismo, bellezza. E infine, altro tema di discussione: Merckx o Pogačar? Il primo a pretendere e ribadire rispetto per il passato è lo stesso sloveno, che ormai crediamo si sia pure stancato di ripetere sempre gli stessi concetti: a lui non interessano i paragoni con i campioni di altre epoche, ma solo essere il migliore della sua. Fine. Il giochino però è stuzzicante, un sano dibattito da 'Bar Sport' di quelli belli, per discutere senza poter avere certezze e anche esagerando bonariamente, magari anche per effetto di qualche bicchierino di troppo. Eddy Merckx ha avuto avversari più forti? Roger De Vlaeminck, Felice Gimondi, Freddie Maertens, Luis Ocaña valevano forse più di Remco Evenepoel, Wout Van Aert, Mathieu van der Poel, Jonas Vingegaard? Possiamo parlarne all’infinito, fin quando l’oste abbassa la serranda. E non ne verremmo mai a capo. Si deve però avere la consapevolezza che di un gioco, appunto, si tratta. Reprimere la parte ludica della discussione sportiva sarebbe un errore, e renderla epistemologia lo sarebbe altrettanto. Troppe le differenze, per tempi, materiali, preparazione, metodologie di allenamento, tecnologia e nutrizione, modo di correre , formazioni, risorse economiche. Il confronto resta però una bellissima suggestione, che rende ancora di più l’idea di quanto il solo dibattere su un’ipotetica noia del ciclismo nell’ 'èra-Pogačar' sia al più una mal posta provocazione, perché indica il dito e non la luna. La Slovenia nel ciclismo non ha solo Pogačar, ma pure Roglič, Matej Mohorič, Jan Tratnik, Luka Mezgec, Domen Novak , il promettente Jakob Omrzel, classe 2006 e vincitore del Giro Next Gen 2025. È una nazione con 2,126 milioni di abitanti e capace di produrre – ai massimi livelli – corridori, sciatori, cestisti , calciatori in percentuali impressionanti rispetto la sua popolazione. Il sistema sportivo di base sloveno è costruito prendendo il meglio dall’impianto allora vigente nella ex Jugoslavia, con la partecipazione statale ai costi per istruttori e tecnici. Le ore di educazione fisica settimanali nelle scuole sono ben otto. Se restiamo al ciclismo, la Slovenia è uno dei Paesi ad avere investito di più sulle ciclabili e sulla formazione dei giovani talenti. Ferran Soriano, attuale CEO del Manchester City ed ex Barcellona, nel suo libro 'Il pallone non entra mai per caso' sostiene che nessuna impresa sportiva è possibile senza visioni né progetti. E qui veniamo al ciclismo italiano. Prendiamo per esempio la Nazionale azzurra che vinse con Maurizio Fondriest il Mondiale di Renaix 1988. Con lui in quella squadra, guidata dal mitico Ct Alfredo Martini, c’erano: Marino Amadori, Moreno Argentin, Franco Ballerini, Guido Bontempi, Gianni Bugno, Davide Cassani, Stefano Colagè, Pierino Gavazzi, Massimo Ghirotto, Bruno Leali e Giuseppe Saronni. Oggi di nomi così ce ne basterebbero un paio per gridare al miracolo. Una squadra di campioni che in carriera hanno vinto grandi giri, classiche monumento, mondiali. E in un’epoca in cui le nostre formazioni erano tra le più importanti al mondo. La luna, quindi, sarebbe riuscire a fare del ciclismo italiano una questione nazionale. Abbiamo, ancora, fra tecnici e maestranze, alcuni tra i migliori professionisti in circolazione. Non abbiamo più, dal 2016 , una squadra World Tour, la 'Super Lega' del ciclismo mondiale. Luca Guercilena, capo della Lidl-Trek, ci ha detto, in un’intervista realizzata con Christian Giordano per Sky Sport Insider, che serve un impegno che coinvolga governo, federazione e grandi gruppi dell’economia per creare un progetto credibile che abbia budget e capacità finanziaria per costruire, nel medio-lungo periodo, una solida realtà di livello mondiale. Non avere un big team italiano significa anche maggiori difficoltà per i nostri talenti giovani. Giulio Pellizzari, per esempio, ha conquistato due sesti posti al Giro e alla Vuelta 2025 , dimostrando di essere più che una semplice speranza azzurra per le corse di tre settimane. L’anno prossimo, nella sua squadra, la Red Bull-BORA-hansgrohe, si troverà come capitani il nuovo acquisto Remco Evenepoel, Florian Lipowitz, Primož Roglič e Jai Hindley. È inevitabile domandarsi quanto e quale spazio potrà riuscire a conquistarsi, pur con la garanzia di avere alle spalle i migliori agenti su piazza che hanno già dimostrato di sapere come far valorizzare i propri assistiti. Lorenzo Mark Finn, intanto, ha saggiamente deciso di rimanere un altro anno in Under 23, categoria in cui ha appena vinto bissato il titolo iridato vinto nel 2024 fra gli junior. La Francia, per esempio, ha uno dei prospetti potenzialmente più entusiasmanti per il futuro. Si chiama Paul Seixas, ha 19 anni e corre per una squadra francese, la Decathlon–AG2R La Mondiale. Una situazione ben diversa e per lui più confortevole per continuare a crescere, mentre proseguirà gli studi alla business school nella sua Lione. C’è poi un tema imprescindibile, nella questione nazionale del ciclismo, che è quello della sicurezza. Non possiamo biasimare i genitori che, lo diciamo con triste ma non rassegnato realismo, continuano ad avere più di qualche remora nell’indirizzare i propri figli al ciclismo. Se pedalate in Spagna, in Francia vi rendete subito conto di come il rispetto per i ciclisti sia assodato, normale e parte di una cultura condivisa. In Italia continuiamo a piangere troppe vittime sulla strada. Ci sono stati addirittura casi di atleti malmenati e minacciati. Non si riesce a far rispettare la regola del metro e mezzo per sorpassare una bici. Sui social ci sono pagine dedicate all’insulto nei confronti di chi pedala. C’è una totale incomunicabilità tra i vari soggetti che occupano la sede stradale. Si pretende, persino, che i corridori si allenino sulle ciclabili anziché sulle strade. Un tema enorme che però è alla base di tutto il resto. I nostri giovani devono potersi allenare in totale sicurezza e sapendo di essere rispettati e non insultati, o peggio. Eppure, siamo anche il Paese che è riuscito a far diventare una corsa relativamente giovane, la Strade Bianche, un’idea talmente riuscita da essere diventata, nei fatti, una sesta monumento. Merito dell’intuizione, dell’organizzazione e di una cosa che in pochi hanno come l’Italia: l’entusiasmante bellezza dei nostri territori. Insomma, discutere se il ciclismo nell’epoca dello 'stupor mundi' Pogačar sia più o meno noioso non solo è inutile, ma persino dannoso. Sarebbe importante, invece, aprire un tavolo di discussione su come rendere il movimento italiano co-protagonista in questa nuova età dell’oro del ciclismo. Lo abbiamo fatto qualche mese fa con Luca Guercilena, proveremo a farlo di nuovo qui, nel nostro spazio di approfondimento su Sky Sport Insider.

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Alberto Pontara