Senna, 17 anni dopo. “Ho scoperto un marziano”
Formula 1L’INTERVISTA. Angelo Parrilla ha lanciato nei Kart il pilota brasiliano, scomparso nel 1994. “In cinque giri dimostrò il suo valore. Era malinconico, ma sapeva godersi la vita. Come quella volta che scappò due giorni con una ragazza..." I VIDEO
Tragedie ed eroi: quando lo sport decide di non fermarsi
di CLAUDIO BARBIERI
“Ayrton era una persona educata, non rompeva mai, era calmo nei box ma quando scendeva in pista si trasformava e diventava il marziano che tutti conoscevano”. Chi parla è Angelo Parrilla, 65 anni, fondatore della Dap insieme al fratello Achille e scopritore di Ayrton Senna, tre Mondiali vinti in Formula 1 (1988, 1990 e 1991), tragicamente scomparso a causa di un incidente il 1 maggio di 17 anni fa durante il Gp di Imola. “Mio padre aveva un amico che era emigrato in Brasile – racconta Parrilla -. I suoi figli correvano sui Kart: un giorno questo amico mi chiamò e mi disse che aveva visto un talento incredibile. Io investii su di lui e lo portai in Italia. Quel talento si chiamava Ayrton Senna”.
Il brasiliano sbarcò così nel nostro Paese ad appena 17 anni, ma fece subito capire di che pasta era fatto. “La prima volta che lo vidi era un ragazzino – ricorda Parrilla -. Con noi doveva correre il Mondiale di Le Mans. Lo misi su un Kart e dopo cinque giri faceva già gli stessi tempi del campione del mondo Terry Fullerton. Era un marziano, una palla di fucile”. La scoperta di avere per mano un vero e proprio fenomeno arrivò però nel momento della gara. “Chiaramente sul giro veloce era una scheggia, ma era la mischia il suo elemento naturale. Quando c’era la competizione, si esaltava. In gara faceva ciò che voleva: sorpassi a destra e a sinistra. Per me era un marziano”.
Senna è sempre apparso come una persona riflessiva, pensierosa, quasi al limite della malinconia. “A volte viveva in un incubo – ricorda Parrilla -. Eravamo in viaggio per Le Mans e Ayrton mi disse di sentirsi fortunato, perché aveva i soldi per correre mentre in Brasile tanti bambini morivano di fame. Era il 1978 e questo ragionamento arrivò da un ragazzino di nemmeno 18 anni”. Ma Parrilla, nei suoi anni trascorsi a fianco del campione di San Paolo, ha anche visto un Ayrton sorridente e spensierato: “Eravamo a Fano per il Campionato Junior. Lui non correva, ma bazzicava nel box. Arrivò una ragazza molto bella e dopo qualche ora sparì con Ayrton. Due giorni dopo si presentò a Parma per effettuare dei test. Lo rimandai a casa a dormire perché era completamente distrutto da quelle 48 ore di fuoco”.
Quello tra Parrilla e Senna è stato un rapporto di complicità e amicizia anche dopo l’approdo del sudamericano in Formula 1. “Non passava spesso a Rozzano a causa dei suoi impegni, ma mi telefonava costantemente. L’ultima volta che l’ho sentito fu il giovedì prima di quel maledetto fine settimana a Imola. Mi disse che voleva lasciare la Formula 1, perché non stava bene alla Williams. Voleva che lo aiutassi a tornare in Brasile per correre sui Kart”. Il destino ha invece spento ogni sogno alle 14.17 del 1 maggio 1994, quando il piantone dello sterzo della sua Williams si è rotto, facendolo schiantare contro un muretto della curva Tamburello. “Non credo alla fatalità – ricorda tra il commosso e l’arrabbiato Parrilla -. Non poteva succedere una cosa del genere, perché il piantone dello sterzo non si salda nemmeno sui trattori agricoli. Inoltre la Williams non ritirò la seconda vettura perché doveva prendere i soldi della partenza. Ayrton è morto sul colpo, ma fecero la scenetta di portarlo in ospedale per non annullare il Gp. ‘The show must go on’, come dicono gli americani”.
Un legame, quello tra Senna e l’Italia, che si sarebbe rinforzato al termine di quel 1994, quando il brasiliano si era promesso alla Ferrari. “Sarebbe andato a Maranello, era già tutto definito. La Rossa era un suo desiderio”. Senna lanciato nel mondo della corse da una casa italiana. Senna tragicamente scomparso, ed entrato nel mito dell’automobilismo a soli 34 anni, a Imola. Senna che avrebbe chiuso la sua carriera con la Ferrari. Un filo conduttore che lega in maniera indissolubile all’Italia quello che per molti è stato il pilota più forte e spettacolare di tutti i tempi.
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di CLAUDIO BARBIERI
“Ayrton era una persona educata, non rompeva mai, era calmo nei box ma quando scendeva in pista si trasformava e diventava il marziano che tutti conoscevano”. Chi parla è Angelo Parrilla, 65 anni, fondatore della Dap insieme al fratello Achille e scopritore di Ayrton Senna, tre Mondiali vinti in Formula 1 (1988, 1990 e 1991), tragicamente scomparso a causa di un incidente il 1 maggio di 17 anni fa durante il Gp di Imola. “Mio padre aveva un amico che era emigrato in Brasile – racconta Parrilla -. I suoi figli correvano sui Kart: un giorno questo amico mi chiamò e mi disse che aveva visto un talento incredibile. Io investii su di lui e lo portai in Italia. Quel talento si chiamava Ayrton Senna”.
Il brasiliano sbarcò così nel nostro Paese ad appena 17 anni, ma fece subito capire di che pasta era fatto. “La prima volta che lo vidi era un ragazzino – ricorda Parrilla -. Con noi doveva correre il Mondiale di Le Mans. Lo misi su un Kart e dopo cinque giri faceva già gli stessi tempi del campione del mondo Terry Fullerton. Era un marziano, una palla di fucile”. La scoperta di avere per mano un vero e proprio fenomeno arrivò però nel momento della gara. “Chiaramente sul giro veloce era una scheggia, ma era la mischia il suo elemento naturale. Quando c’era la competizione, si esaltava. In gara faceva ciò che voleva: sorpassi a destra e a sinistra. Per me era un marziano”.
Senna è sempre apparso come una persona riflessiva, pensierosa, quasi al limite della malinconia. “A volte viveva in un incubo – ricorda Parrilla -. Eravamo in viaggio per Le Mans e Ayrton mi disse di sentirsi fortunato, perché aveva i soldi per correre mentre in Brasile tanti bambini morivano di fame. Era il 1978 e questo ragionamento arrivò da un ragazzino di nemmeno 18 anni”. Ma Parrilla, nei suoi anni trascorsi a fianco del campione di San Paolo, ha anche visto un Ayrton sorridente e spensierato: “Eravamo a Fano per il Campionato Junior. Lui non correva, ma bazzicava nel box. Arrivò una ragazza molto bella e dopo qualche ora sparì con Ayrton. Due giorni dopo si presentò a Parma per effettuare dei test. Lo rimandai a casa a dormire perché era completamente distrutto da quelle 48 ore di fuoco”.
Quello tra Parrilla e Senna è stato un rapporto di complicità e amicizia anche dopo l’approdo del sudamericano in Formula 1. “Non passava spesso a Rozzano a causa dei suoi impegni, ma mi telefonava costantemente. L’ultima volta che l’ho sentito fu il giovedì prima di quel maledetto fine settimana a Imola. Mi disse che voleva lasciare la Formula 1, perché non stava bene alla Williams. Voleva che lo aiutassi a tornare in Brasile per correre sui Kart”. Il destino ha invece spento ogni sogno alle 14.17 del 1 maggio 1994, quando il piantone dello sterzo della sua Williams si è rotto, facendolo schiantare contro un muretto della curva Tamburello. “Non credo alla fatalità – ricorda tra il commosso e l’arrabbiato Parrilla -. Non poteva succedere una cosa del genere, perché il piantone dello sterzo non si salda nemmeno sui trattori agricoli. Inoltre la Williams non ritirò la seconda vettura perché doveva prendere i soldi della partenza. Ayrton è morto sul colpo, ma fecero la scenetta di portarlo in ospedale per non annullare il Gp. ‘The show must go on’, come dicono gli americani”.
Un legame, quello tra Senna e l’Italia, che si sarebbe rinforzato al termine di quel 1994, quando il brasiliano si era promesso alla Ferrari. “Sarebbe andato a Maranello, era già tutto definito. La Rossa era un suo desiderio”. Senna lanciato nel mondo della corse da una casa italiana. Senna tragicamente scomparso, ed entrato nel mito dell’automobilismo a soli 34 anni, a Imola. Senna che avrebbe chiuso la sua carriera con la Ferrari. Un filo conduttore che lega in maniera indissolubile all’Italia quello che per molti è stato il pilota più forte e spettacolare di tutti i tempi.
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