Guidare e parlare da pilota Ferrari

La stagione di Lewis Hamilton, fino a questo momento, è da valutarsi al di là delle prestazioni. Le performance in pista del sette volte campione del mondo dipendono dall’interpretazione di ognuno: possono essere viste come normali, negative o come parte del processo, a seconda di quanto peso si dia alla fase di ambientamento con una nuova macchina e un nuovo team. Di certo sia lui che la Ferrari e i suoi tifosi si aspettavano di arrivare alla pausa estiva avendo vissuto più volte l’emozione di un Hamilton a podio. Una situazione, una sensazione, che fino a oggi c’è stata solo una volta, in Cina. Il distacco da Leclerc in queste sue prime 14 gare in rosso è stato mediamente intorno ai tre decimi al giro, soprattutto in qualifica: nulla di incolmabile, certo, soprattutto nei confronti di quello che con tutta probabilità è il miglior pilota di tutto il lotto sul giro secco. Ma non sono nemmeno pochi, per un pilota di quel calibro e di quell’esperienza. Con il senno di poi, ciò che desta un pizzico di stupore, oltre alle prestazioni , è la questione della comunicazione che è ruotata intorno a Lewis fin da prima del suo esordio. In inverno abbiamo assistito a una ‘Hamilton Mania’, euforica e contagiosa: come dimenticare la fotografia, già epica, davanti alla casa di Enzo Ferrari, dove sette finestre erano aperte e una sola chiusa, a lasciar intendere che era arrivato per conquistare in rosso l’ottavo titolo di una carriera incredibile. Oppure le numerose cerimonie pre stagione organizzate per presentarlo ai tifosi e agli sponsor, che hanno ingigantito le aspettative e che, per una volta, hanno tolto attenzioni e responsabilità dalle spalle di Charles Leclerc. Poi è iniziata la stagione. E la pista ha detto altro. Dopo l’acuto della vittoria nella Sprint Race in Cina, l’entusiasmo è andato via via scemando, riportando tutto l’ambiente drasticamente con i piedi per terra. Ricordo a Imola quando Hamilton negò categoricamente che la Ferrari avesse in cantiere una nuova sospensione da portare tra Silverstone e Spa nonostante la notizia fosse già stata abbastanza confermata. Una presa di posizione in contrasto con quanto fatto da Leclerc, che in quel momento – sembrando quasi più ‘navigato’ del compagno – aggirava la domanda, regalando delle risposte evasive e dei mezzi sorrisi che lasciavano sì intendere il nuovo aggiornamento ma senza ammetterlo davanti alla stampa. Con il passare delle settimane è subentrata la fase del negativismo, in concomitanza con l’aumentare dei distacchi nei confronti di Leclerc e di alcune eliminazioni inaspettate in Q2: una strategia comunicativa tendente alla demoralizzazione, culminata in Ungheria con l’ormai nota dichiarazione “sono inutile, la Ferrari dovrebbe valutare di cambiare pilota”. Sono convinto che la grandezza di un pilota stia sì nell’essere onesto con la squadra, ma anche nel saperlo essere all’interno del team, senza esporre all’esterno le problematiche del team. Esprimere un concetto così forte davanti alla stampa ha catalizzato l’attenzione verso di lui, ridimensionando il ‘peso’ – economico, mediatico, anche sociale – di un’operazione come quella di Hamilton. La stagione finora è stata evidentemente più complicata del previsto, ma Lewis dovrebbe a mio giudizio ricordarsi che la Ferrari ha un altro status rispetto alla Mercedes. Perché Ferrari è un’icona, un simbolo, più grande di qualsiasi macchine e di qualsiasi vittoria. Tutto ciò che viene detto in rosso ha una risonanza molte volte maggiore di quanto non sarebbe in ogni altro team. È un aspetto su cui deve ancora lavorare. Tutti amiamo Hamilton. È per distacco uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1 e non vediamo l’ora di vederlo tornare a vincere. E a sorridere. Non deve però dimenticarsi di essere Lewis Hamilton, un sette volte campione del mondo, capace di affrontare a testa alta ogni momento negativo e di superare qualsiasi difficoltà.

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Matteo Bobbi