Doriane Pin ora può abbattere l'ultimo pregiudizio del mondo dei motori

Nella Francia di mezzo secolo fa, all’età di 21 anni si poteva al massimo diventare maggiorenni. Oggi ti siedi in macchina, abbassi il piede quando si spegne il semaforo e diventi campione del mondo della Formula 1. Anzi: campionessa. La terza campionessa del mondo dopo la nascita dell’Academy, la serie femminile lanciata nel 2023. Doriane Pin ha una compostezza da veterana e quella luce negli occhi che possiedono solo le persone convinte di trovarsi nel posto in cui devono essere. Le ragazze francesi sono autorizzate a 14 anni a viaggiare da sole e possono rifiutare l’ora di religione senza la firma dei genitori, a 15 possono trattare i loro dati digitali e avere rapporti sessuali consenzienti, dal 2024 hanno visto il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza inserito nella Costituzione. Doriane Pin è la figlia del suo tempo. Il punto allora non è la coppa che le hanno dato a Las Vegas dopo l’ultimo Gran Premio, decisivo per battere la ferrarista olandese Maya Weug. Il punto vero è che questo successo arriva in un’epoca in cui le eccezioni non bastano. Una donna non siede su una monoposto della Formula 1 da trentatré anni. E la storia sembra dirle: prova tu Doriane, prova a riaprire quella porta. Pin è la figlia di un organizzatore di gare di kart, una ragazza che ha frequentato la scuola a distanza per essere libera di correre in macchina, che ha pianto di sollievo quando Iron Dames l’ha presa sotto la sua ala perché una carriera senza soldi rischiava di spegnersi prima di cominciare. Ha corso a Spa, a Le Mans, ha battuto uomini e donne senza differenza, e poi è entrata nel Junior Team della Mercedes come un investimento a lungo termine. Non sgomita, non recita, lei lavora. Il titolo in F1 Academy è il punto più visibile di un percorso costruito per accumulo. Due stagioni, otto podi, quattro vittorie, una regolarità che racconta quale sia la stoffa del suo talento. Pin viene descritta come una pilota metodica e lucida, cresciuta in un ambiente che l’ha trattata da atleta prima che da fenomeno. Lewis Hamilton e George Russell le hanno fatto da mentori, Toto Wolff la considera un progetto tecnico e umano, attorno a lei esiste la percezione che si tratti di una figura da accompagnare, non da esibire. La F1 Academy è un trampolino, non un traguardo. Nasce per dare alle donne dei minuti di pista, dei chilometri, lasciarle la libertà di sbagliare e di formarsi nell’errore, quello che storicamente è mancato, perché quando arrivi al vertice a 16 anni i tuoi coetanei maschi hanno già il doppio dell’esperienza. Un campionato che a molti è apparso una nicchia, un ghetto, ma si tratta di una risposta a un vuoto enorme. Nel 1992 Giovanna Amati è stata l’ultima donna a tentare una qualifica in F1. Prima di lei Lella Lombardi aveva guadagnato mezzo punto nel Mondiale del ’75, e prima ancora Maria Teresa de Filippis fu la pioniera di un’epoca in cui le donne correvano con caschi di cuoio e contro direttori di gara che suggerivano loro di andare dal parrucchiere. Ogni nome è stato un’eccezione, a nessuna di loro è stata concessa l’occasione di lasciare una traccia. La Formula 1 di oggi ha cancellato il folklore delle grid girl, ma per decenni ha trattato le donne con un misto di pregiudizio culturale e tecnico. La meritocrazia è stata teorica. Ha sempre avuto un confine sottile, lo stesso che segna la vita delle donne nella società. I soldi. Il karting costa, le categorie junior di più, senza sponsor nessuno arriva da nessuna parte. Che la rappresentanza femminile sia stata a lungo vicina allo zero non è una coincidenza. Eppure qualcosa sta cambiando e il titolo di Pin cade dentro questo cambiamento. La F1 ha capito di non poter rinunciare al 40% del proprio pubblico. È la fascia femminile certificata. C’è una domanda di storie nuove. La serie Netflix costruita sull’Academy va in questa direzione, come va in questa direzione l’ingresso di sponsor diversi – Charlotte Tilbury in testa – attenti al valore culturale, non solo commerciale, della rappresentanza femminile nel paddock. Nella Gen Z la percentuale di donne che segue l’Academy è del 37%. Dentro questa spinta c’è Doriane Pin, non un simbolo, non ancora. "Il mio obiettivo è la F1. Ci credo - ha detto in questi giorni dopo il titolo - e quando ci credi puoi sollevare montagne". Probabilmente è attesa da qualche passaggio intermedio. Il suo titolo ha portato una borsa economica che le permette di scegliere, per la prima volta, dove andare. Sarà un bivio da non sbagliare. Resta in sospeso una domanda: può una donna arrivare in F1? Per anni la risposta è stata un no travestito da un forse. Oggi la risposta è: sì, ma serve tempo. Serve un sistema, non un gesto isolato. Servono ragazze quindicenni che hanno cominciato a 7 anni, come Lisa Billard; serve che non siano più un’eccezione da raccontare ma una strada da percorrere. Pin è la prima campionessa di un’epoca che pretende il cambiamento. Non sarà la scorciatoia che riapre la F1 alle donne. Ma potrebbe essere l’inizio di un sentiero. E forse non dovrà camminare da sola.

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Angelo Carotenuto