Il talento dimenticato di Giancarlo Baghetti, pilota amato da Enzo Ferrari

La prima stagione del Mondiale di Formula 1 FIA si disputò nel 1950, ebbe inizio il 13 di maggio e terminò il 3 di settembre, articolata su sette gare, delle quali sei furono disputate in Europa e una negli Stati Uniti - la 500 miglia di Indianapolis - e corsa con i regolamenti americani AAA e USAC. Il titolo piloti venne vinto dall’italiano Nino Farina su una gloriosa Alfa Romeo color rosso sangue di bue. Inutile sottolineare che tutti i piloti che vinsero almeno una gara di fatto stabilirono per forza di cose il conseguente ‘record’ di passare per primi sulla linea del traguardo nella loro stagione di esordio nel massimo campionato motoristico. Fu Fangio, piuttosto, ad alzare subito la prima asticella, chiudendo il suo primo campionato con 4 vittorie, che però non gli valsero il titolo mondiale, vinto invece proprio dal torinese Farina. Da lì in avanti - e fino ad oggi - per tutte le edizioni del Mondiale disputate , del club dei vincitori di un evento iridato alla stagione d’esordio in F1 fanno parte solo undici piloti: i tre di cui sopra , Bruce Mc Laren , Jackie Stewart , Clay Regazzoni ed Emerson Fittipaldi , Jacques Villeneuve , Juan Pablo Montoya , Lewis Hamilton e un altro italiano, Giancarlo Baghetti, pilota della Ferrari, riuscito nell’impresa di conquistare al debutto non solo il suo primo Gran Premio, ma anche l’ultimo della carriera. E accadde in Francia, sul circuito di Reims-Gueux il 2 luglio del 1961, davanti a Dan Gurney su Porsche e Jim Clark su Lotus. Un successo all’esordio assoluto nella categoria regina, dopo una partenza da dodicesimo. In quella corsa avvenne di tutto. Dopo una qualifica dominata dalle tre Ferrari di Phil Hill, Wolfgang von Trips e Richie Ginter, al via fu Hill a scattare in testa alla gara, mentre a Baghetti non rimase che agitarsi tra la settima e la dodicesima piazza. Al 18° giro saltò Von Trips tradito dal motore mentre Hill finì in testacoda spegnendolo. Al 41° giro Ginther si ritrovò a dover fare i conti con la pressione dell’olio e a dover rallentare. Seguirono i ritiri delle Lotus e alla fine davanti si ritrovarono in lotta la Porsche di Gurney e proprio Baghetti con la sua Ferrari. E sotto la bandiera a scacchi il milanese tirò il collo alla sua macchina in volata vincendo allo sprint il duello con il rivale. Baghetti sfilò davanti a Gurney e Clark, ma la sua gioia fu incontenibile quando capì di essersi lasciato alle spalle anche piloti del calibro di Bruce McLaren, Graham Hill, Jo Bonnier, Stirling Moss, John Surtees. In definitiva si può dire che Giancarlo Baghetti sarebbe rimasto un anonimo debuttante se in quel magico e indimenticabile giorno di luglio tutto non fosse andato per il verso giusto, proprio come in un magico allineamento di pianeti. O se quel Gran Premio, per sventura, non ci fosse mai stato: in quel caso neppure ce ne ricorderemmo più. Comunque Baghetti era un appassionato benestante, figlio di Italo, imprenditore dell’industria siderurgica milanese, e fu fin da giovanissimo innamorato dell’automobilismo Turismo e GT. Dal 1956 frequentatore di cronoscalate affrontate con successo su Alfa Romeo, frenato solo da un ritiro nella Mille Miglia dello stesso anno, coraggiosamente passato alla Formula Junior nel 1959 su una Dagrada-Lancia a motore anteriore, nella quale riuscì a vincere la Coppa Fisa davanti ai migliori italiani dell’epoca, fra i quali anche Lorenzo Bandini. E fu proprio la Fisa a mettergli a disposizione una vettura per il debutto in F1 in due gare extra-campionato, il GP di Siracusa, nel quale stupì gli addetti ai lavori qualificandosi al secondo posto e vincendo la gara, davanti a piloti più esperti, come Dan Gurney e Jack Brabham e tre settimane dopo ritornando a vincere al Gran Premio di Napoli. Un doppio trionfo che però gli valse il volante della Ferrari 156 della Scuderia Sant Ambroeus di Eugenio Dragoni che gli lasciò il belga Olivier Gendebien, sempre più desideroso di impegnarsi a Le Mans e mentalmente già in fuga dalla Ferrari. In quella stagione Baghetti corse anche i GP di Gran Bretagna e quello d’Italia. In entrambe le occasioni fu costretto al ritiro, ma nel 1962 diventò pilota ufficiale di Maranello. La carriera in F1 di Baghetti non riservò altri momenti d’oro. Il miglior risultato nel 1962 fu un secondo posto al Gran Premio del Mediterraneo, gara non valida per il campionato. A fine anno decise poi di seguire alla ATS Phil Hill ed altri ferraristi, tra cui l’ingegner Carlo Chiti, dopo che questi avevano lasciato la scuderia del cavallino. Fino al 1967, infine, salterà da un sedile all’altro: scuderia Centro Sud, Brabham, Reg Parnell Racing, Lotus prima di dire basta dopo 21 Gran Premi, una vittoria, un podio, un giro veloce e 14 punti totali. Ma dall’automobile Baghetti non scese mai, continuando a divertirsi, a collezionare piccoli record - come le corse estreme e raid, fra le quali la ‘pazza idea’ di affrontare insieme all’ingegner Tommaso Carletti nel 1977 una massacrante maratona Londra-Sydney di 34mila chilometri, su una Fiat 131 Diesel Abarth. Va ricordato che, in pochissimi anni, in diversi incidenti mortali erano scomparsi piloti come Alberto Ascari, Alfonso De Portago, Peter Collins, Luigi Musso ed Eugenio Castellotti - questi ultimi entrambi compagni di squadra in Ferrari negli anni ’50 - ed Enzo Ferrari aveva cominciato a rifuggire dall’idea di mettere sotto contratto soprattutto italiani. Il ‘Drake’ per gli appassionati era diventato un ‘Saturno’, una divinità che divorava i suoi piloti più amati. Ma davanti a Baghetti aveva ceduto ancora alla tentazione e l’aveva assecondata in modo diplomatico grazie alla FISA e alla monoposto messale a disposizione. Baghetti era veloce e impressionava, non era stato facile resistere all’idea. Il suo talento era innegabile, la sua rivalità giovane con Bandini aveva dato vita a un dualismo che aveva spaccato i tifosi. I due erano diventati 'i B.B. del volante'. Quella vittoria di Reims-Gueux, ottenuta su una Ferrari 156 non proprio dell’ultima generazione, trasformò l’occasione per prendere confidenza con il campionato del mondo per il ventisettenne milanese in evento unico e leggendario. Dopo 52 giri un italiano ripassò per primo sul traguardo della corsa francese e non accadeva da ventinove anni, dall’ultimo successo di Tazio Nuvolari nel 1932. Ma rimarrà un exploit senza seguito, da Guinnes dei Primati e monco di un radioso futuro. Una volta appesi i guanti da pilota al chiodo, Baghetti continuò a raccontare di motori. Lo fece da giornalista, ‘direttore di periodici’, poi come apprezzato tester e anche come fotoreporter. Per tutti rimanendo uno dei grandi talenti inespressi dell'automobilismo italiano, mai andato oltre quel nono posto ottenuto nella classifica piloti del Mondiale 1961. Qualche altra piccola grande soddisfazione di certo se la tolse nei campionati a ruote coperte, vincendo il Campionato europeo turismo nella categoria Divisione 1 nel 1966. E giungendo ottimo secondo nell'edizione 1962 della Targa Florio. Ma quella F1 sognata all’ombra della tettoia degli Stabilimenti Metallurgici Accorsi & Baghetti rimase dolce e amara al tempo stesso. Forse ebbe poca fortuna, forse fece qualche scelta sbagliata, ma la delusione rimase a lungo. Anche se tenuta signorilmente sopìta. Oggi Giancarlo Baghetti non c’è più. Un tumore se l’è portato via molto presto, il 27 novembre del 1995. Aveva quasi sessantuno anni. Il suo nome è tornato d’attualità dopo il secondo podio stagionale, ma soprattutto dopo il secondo posto ottenuto in Brasile da Kimi Antonelli su Mercedes. Due podi all’esordio, come Castellotti nel 1955. La speranza dei tifosi italiani è che dopo Farina e Baghetti, anche Antonelli entri nel club dei piloti vincenti nella stagione del debutto in Formula 1. Per adesso è solo un desiderio. Antonelli deve riuscirci, a Farina successe di default, Baghetti quel ‘record’ se lo conquistò e per questo meritava di essere celebrato e ricordato meglio. A sessantaquattro anni dalla copertina che gli dedicò il settimanale ‘La Domenica del Corriere’, trasformando in un amen il pilota milanese in un idolo delle folle. Coraggioso, educato, naturale nella guida, cordiale, gentiluomo, Baghetti era tutto l’opposto di Bandini, così popolare, di origini modeste, figlio di un meccanico di officina. Ma i due furono molto amici fino alla tragica morte di Lorenzo nel GP di Monaco del 1967. Anche lui era alla guida di una Ferrari. Un motivo in più per sentirsi parte di un unico destino. Giancarlo Baghetti era nato nel giorno di Natale del 1934. Di lui, quando vinse, il ‘Corriere della Sera’ scrisse come se finalmente fosse giunta l’ora di scartare quel pacco regalo custodito così gelosamente e così a lungo dal motorsport nazionale: “L’automobilismo italiano ha un nuovo campione, ora non ci sono più dubbi”. Purtroppo andò diversamente. Nel raro libro ‘Piloti che gente’, Enzo Ferrari scrive di lui: “…quando lo conobbi lo giudicai un giovane a sangue freddo misurato, compassato. In macchina invece si rivelava, o forse era la macchina che lo rivelava L’inizio della carriera fu immediato, ottenne subito grandi successi. Fu esaltato dalla stampa come il Varzi redivivo. Non so dire se questo fu determinante, ma certo non gli giovò e la sua stella andò rapidamente tramontando…”.

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Lucio Rizzica