L'ascesa incontrastata di Bautista a inizio campionato ha subito una battuta di arresto con cinque cadute consecutive che hanno riaperto la gara per il titolo Mondiale. Simbolo che la crisi, più che alla Ducati, debba essere attribuita allo spagnolo che sembra pagare psicologicamente il passaggio dalla MotoGP
Lo dimostra il numero di vittorie: 15 per Ducati, 9 per Kawasaki e il fatto che la rossa sia al debutto su ogni pista, dimostra la grandezza di questo progetto e la capacità tecnica del box di esaltare i suoi punti di forza. La moto dunque c’è, funziona e ha raggiunto una buona base anche sulle piste dove non ha mai girato, come Laguna, mettendo in luce la crescita progressiva dal venerdì alla domenica. Qualcosa, piuttosto, non sta funzionando in Bautista, la cui velocità non si discute e, sia chiaro: resta tutt’oggi il pilota più concreto a cui affidarsi anche in futuro per vincere il mondiale. Cinque cadute in gara, in successione, non sono però una cosa normale e la sfortuna ha solo una piccola percentuale di responsabilità. La prima piccola crepa nelle sue certezze si è forse aperta a Imola, cioè dal momento in cui ha smesso di vincere. Lì ha conosciuto un’altra Superbike, un altro valore del campionato: ha conosciuto il bagnato come nemico e si è scontrato con una mente granitica come quella di Rea.
Mettiamoci però nella sua testa: quest’anno avrebbe voluto correre in MotoGP, arrivava da un finale di stagione 2018 che resterà una piccola perla della sua carriera, dopo aver guidato temporaneamente la moto ufficiale e raccolto consensi anche dall’ingegner Dall’Igna. Invece è approdato di qui per una seconda scelta, all’interno di un palcoscenico piccolo e silenzioso, in un paddock molto più simile a quello dei campionati d’esordio di Alvaro, dove la semplicità può essere interpretata come mediocrità, senza considerare che il rapporto degli stipendi è di uno a cinque nella migliore delle ipotesi. Sotto sotto non ha aiutato nemmeno a vincere quelle 11 gare di fila, poiché immagino abbia ridimensionato all’eccesso il valore degli altri piloti: moto nuova, squadra nuova, campionato nuovo, e li ammazza tutti così? Se dovesse essersi sentito un fenomeno in mezzo a piloti "normali", potremmo anche comprenderlo, ma il problema nasce da qui: se sottovaluti i tuoi avversari, finisci per abbassare il livello di guardia e nel momento in cui sono davanti a te, rifiuti di accettarlo. E' una questione di orgoglio sportivo, perché sei il pilota della MotoGP che vuole tornare a correre in MotoGP; è un fattore di credibilità verso il tuo box che ti osanna come un re, perché un fenomeno così, in Superbike, non l'avevano da anni, mentre adesso è arrivato anche Davies...
Nel momento in cui Bautista si convincerà di essere un pilota della Superbike che vuole correre in Superbike, potrebbe ritrovare quella serenità per ripartire da dove ci aveva lasciati a bottino pieno. Restano ancora 12 gare da correre e 268 punti da assegnare: è quasi un piccolo campionato da disputare e dare il mondiale per perso è il primo atteggiamento mentale da correggere in un pilota. Intanto che si riprenda fisicamente e mentalmente in questa lunga pausa e poi… in bocca al lupo!