Marco Melandri a Sky: "Perdere un Mondiale per un punto è una lezione di vita"

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intervista di Paolo Beltramo

©Motorsport.com

Marco Melandri ha vinto gare in tutte le categorie, conquistando anche un Mondiale 250 nel 2002 con l'Aprilia. Eppure è difficile cancellare il ricordo di alcuni titoli mancati per un soffio: "Nel 1999 ho perso un Mondiale per un punto: è stata una grandissima delusione, ma anche una lezione di vita che non ho mai più dimenticato – spiega nell’intervista a skysport.it –. In MotoGP andavo forte, ma era difficile con quegli avversari e con quelle moto, oggi è più facile guidare"

Ravennate, quarantenne (7 agosto 1982), una figlia, ha corso e vinto in tutte le categorie e per tutte intendo tutte davvero: 125, 250, MotoGP, Superbike. Di titoli ne ha sfiorati molti, vinto uno soltanto - in 250 nel 2002 - dimostrando sempre un grande talento e quel tanto di sfortuna sufficiente a non farlo entrare nelle leggende, anche se ci è andato molto vicino. Pure stavolta l'avrete capito, immagino. Sì, stiamo parlando di Marco Melandri, una ventina d'anni abbondanti di carriera con, oltre al titolo della due e mezzo e una collocazione quasi sempre tra i primissimi, 3 secondi posti mondiali: nel 2005 in MotoGP, nel 2011 in SBK e nel 1999 - quello davvero assurdo - per un solo punto (226 a 227) con 5 vittorie dietro a Emilio Alzamora, che di gare non ne aveva vinta nessuna... Cose che possono capitare se ti chiami Melandri. Parliamo comunque di una carriera durata oltre 20 anni, di un pilota poliedrico, capace, per molti versi atipico, molto tecnico. Ecco qua la sua intervista a skysport.it.

Ciao Marco, tutto bene?

"Ora direi bene, ho avuto la varicella e sono stato malissimo, ancora sono pieno di bubboni, l'ho presa da mia figlia. So che è una malattia che si deve prendere da piccoli, io l'ho presa dalla piccola... Comunque direi che è passata. Adesso sono come nuovo"

 

Allora, innanzitutto chiariamo un vecchio aspetto che ancora oggi qualcuno confonde, il tuo soprannome: Macho e Macio, si pronuncia allo stesso modo, ma si scrive diversamente

"Eh, sì, me lo porto dietro da sempre, da quando stavo nelle case popolari da bambino. Avrò avuto 5 o 6 anni quando hanno cominciato a chiamarmi così: andavo dietro a quelli più grandi ed ero piccolino, così mi hanno soprannominato Maciolino, Macio".

 

Anche se pure come "Macho" non te la sei poi cavata così male...

"No, direi di no. Non mi lamento"

Marco Melandri nella classe 125, stagione 1998: sul cupolino si nota il soprannome del pilota "Macio" - ©Ansa

Sei uno di quelli che hanno avuto una carriera lunga, addirittura molto lunga

"Da professionista 22 anni, molti, sì. Però a me sembra ieri quando ho cominciato. Come passa il tempo..."

 

Hai iniziato con le 2 ruote a 5 anni nelle BMX e le biciclette sono rimaste una tua grandissima passione anche oggi. Con le moto invece avevi ben 8 anni... Per cominciare, oltre a tuo papà, oltre all'ambiente da gara di Ravenna, a te ha dato una grossa mano anche Loris Reggiani. Vero?

"Sì, Loris mi ha aiutato molto perchè io a quei tempi non avevo le possibilità economiche per partire e lui aveva appena messo in piedi un team nella 'Sport Production' con due ragazzi di Forlì e Fabiano, suo cognato, gestiva un circuito di mini-moto dove andavo sempre a girare e i suoi amici (di Loris) gli dicevano che c'era un ragazzino piccolino che va forte. Finché un giorno mi chiese se volevo provare la moto, da lì a tre giorni. Era inverno, io avevo 12 anni e al telefono rispose mio padre e disse che lo avrebbe chiesto a me. Io ovviamente me la sentivo. Non dimenticherò mai la prima volta che ho tirato tutta una marcia: anche se era un 125 di fatto stradale, a me sembrava un aeroplano. Adesso hai le miniGP e quant'altro, allora passavi dalla mini-moto alle ruote alte, alle moto alte".

 

Adesso poi forse le mini-moto vanno anche un po' più forte

"Adesso volano, allora il salto era veramente grande"

 

Però anche allora ne uscivano di piloti forti. Tu, per restare agli italiani, hai corso con gente come Borsoi, Locatelli, Poggiali, Cecchinello, Sabbatani, Scalvini...

"Alcuni di loro sono arrivati un po' prima, ancora non c'erano le mini-moto, i primi siamo stati io, Rossi, Poggiali, Dovizioso, Simoncelli, Pasini..."

 

Ok. Sei stato campione italiano di mini-moto, e poi della 125 nel 1997, dove eri collaudatore Honda e hai esordito nel Mondiale a Brno per un infortunio di Giansanti (31 agosto). Hai disputato gare nell'Europeo, ma il tuo vero inizio è stato nel 1998, un gran bell'inizio con il record di più giovane vincitore di una gara nella storia (15 anni e 325 giorni) e poi il 1999 con quel titolo perso per un punto...

"Nel 1998 sono arrivato terzo a 27 punti dal primo (Sakata), ma in Germania sono caduto all'ultimo giro, quando ero in testa. Nel 1999 ho perso vincendo cinque gare con Alzamora, che non ne aveva vinta neppure una. È stata una grandissima delusione, ma anche una lezione di vita che non ho mai più dimenticato. Quell'anno mi ha girato tutto contro: un po' di sfiga, cappelle, errori nel momento e nel posto sbagliato. E con Gelete Nieto che lo ha fatto passare fermandosi in rettilineo, cosa che non credo sia regolare. Ma poi in 250 diciamo che mi sono rifatto con gli interessi, battendo un altro Nieto, Fonsi, ma quell'anno là alla prima gara ho rotto l'ammortizzatore di sterzo all'ultimo giro, poi sono tornato e mi stese Sabbatani all'ultimo giro. A Valencia sono caduto sull'acqua e volevo ripartire, ma i commissari che erano ovviamente spagnoli mi hanno fatto sparire la moto. Insomma un punto avrei potuto farlo molte volte. Era destino che non dovessi vincerlo"

Marco Melandri al Sachsenring nella categoria 125 (stagione 1998) - ©Ansa

La 125 era un bella categoria, secondo te più o meno della Moto3?

"Mi viene da dire più bella, perché ci correvo io ed erano i miei tempi, ma era diverso. Credo ci fossero meno moto buone di quante che ne siano ora in Moto3, quindi un po' più di selezione tecnica. Erano moto difficilissime, quindi imparavi moltissimo. Allora poi c'erano un sacco di specialisti gente che ha gareggiato sempre con quelle moto lì"

 

Ecco questo è uno degli aspetti che differenzia molto le corse di allora e quelle di adesso. Ora le categorie inferiori sono soltanto un passaggio per arrivare in MotoGP, allora correvi, lottavi contro i campioni della categoria.

"Trovo che fosse giusto che uno potesse correre nella categoria che preferiva anche per più di 10 anni e ingiusto che adesso ci sia un limite di età"

 

Passiamo alla 250, una categoria che io amo particolarmente perchè si disputava su una moto da corsa praticamente perfetta: velocissima, ma ancora umana direi...

"Era meravigliosa, con una velocità di percorrenza in curva spaziale e poi 100 cavalli per 100 chili: un equilibrio esagerato. C'erano piste come il Sachsenring, Donington e poche altre che sembravano disegnate per la 250, dove non serviva di più".

 

Ecco, proprio al Sachsenring nel 2002 sei stato autore di una vittoria tra le più belle e curiose che abbia mai visto in oltre 40 anni di gare, quando hai vinto la gara pensando di averla persa...

"Si era messo a piovere e sono caduto nella stessa curva dove ero scivolato anche con la 125 mentre ero davanti a lottare per vincere. Sono arrivato al box incazzato nero, ma lì ho scoperto che la gara era stata sospesa con la bandiera rossa per pioggia e quindi che sarebbe stata valida la classifica al giro precedente e che quindi avevo vinto. È stato un turbinio di emozioni incredibile".

14 giugno 1998, classe 125. Marco Melandri sul podio del GP Madrid (2° posto) insieme al vincitore Lucio Cecchinello e a Hiroyuki Kikuchi (3° posto) - ©Ansa

Anche in 250 hai lottato con piloti molto forti, gente come Kato, Ukawa, Porto, Battaini, Harada McWilliams, Rolfo, West...

"Anche lì c'erano tanti piloti che guidavano la 250 da molti anni, per esempio Kato guidava quella moto da anni. Era fortissimo, sembrava fatto per quella moto, non era appariscente, pensavi che andasse comodo... E invece.... Un po' come Harada, anche se erano molto diversi. In Aprilia io guardavo i suoi dati al computer ed è stata una scuola importantissima. Mi ha insegnato soprattutto a gestire il gas. L'idea è che prima lo dai, più velocemente lo dai, più forte vai. Invece - anche per le caratteristiche della moto che era un po' sgarbata - bisognava darlo in modo rotondo, senza parzializzare mai che altrimenti diventava ancora più scorbutica. Ho imparato da lui che era meglio magari aspettare un metro in più, ma che quando lo aprivi lo dovevi fare in modo regolare e progressivo fino al 100%".

 

Hai vinto il Mondiale 250 nel 2002, il primo anno della MotoGP

"In quella stagione era ancora una categoria mista, correvano le MotoGP e le 500 insieme, diciamo che il primo anno di solo MotoGP è stato anche il mio primo in quella categoria, il 2003. Mi sarebbe piaciuto provare una 500, la categoria con la quale ero cresciuto fin da bambino, ma ero anche contento di entrare in una nuova epoca, perché era ancora tutto un po' grezzo e ci sarebbe stato margine per imparare e migliorare"

 

Anche in MotoGP hai mostrato grandissime doti, ma forse hai ottenuto qualcosa di meno rispetto a ciò che avresti meritato

"All'epoca era difficile perché la moto magari aveva 200 cavalli, però aveva 200 cavalli sempre, anche in prima all'uscita di una curva. Adesso magari ne hanno 300, ma dispongono di controlli anti impennamento, di trazione... Adesso se servono 100 cv, la moto te ne dà 100. Diciamo che forse è 'più facile' ora. Allora non potevi sbagliare che eri per terra. Poi quando la guidavo io la Yamaha era a carburatori, una moto incazzata come una vipera..."

 

Forse allora in Yamaha avevano un po' sottovalutato il salto dalla 500 alla MotoGP...

"Secondo me già all'inizio del 2003 in Yamaha sapevano che sarebbe arrivato Valentino Rossi. Il loro sviluppo era tutto puntato sull'anno successivo, sul motore che sarebbe stato 'big-bang'".

 

Anche in MotoGP di avversari forti non te ne sei fatti mancare. Hai corso contro Rossi, Bayliss, Capirossi, Checa, Edwards, Gibernau, Abe, Tamada, Barros, Biaggi...

"Nonostante fosse difficile, spesso riuscivo a stare con i primi, con i migliori. A Suzuka mi sono fatto male che ero stato anche in testa e poi in Francia al rientro ho fatto subito una prima fila. Andavo forte, ma era difficile".

Nel 2002 Melandri vince il Mondiale 250 con l'Aprilia, questa è la livrea speciale da "Uomo Ragno" mostrata in occasione del GP Mugello - ©Ansa

Quando però sei passato alla Honda hai dimostrato di avere delle chance per poter anche vincere. Per esempio nel 2005 sei finito al secondo posto dietro a Rossi, vincendo una gara in Turchia, dove hai guidato semplicemente da dio

"Anche nel 2004 sono andato forte, però con la Honda ho trovato il mio equilibrio con moto e squadra, quella di Gresini. E sì, in Turchia non so perché, ma mi veniva tutto bene e facile. Riuscivo a raccordare. E nel curvone mettevo la sesta appena incominciavo a piegare... Era un circuito bellissimo, una di quelle piste dove la MotoGP la usi da MotoGP. Anche Laguna Seca è una pista bellissima, ma a palla piena ci starai 3 secondi... Un'altra pista bellissima è Phillip Island, anche se prendi una giornata col vento bastardo, te la raccomando. Se non ci giri non ti puoi neanche immaginare come sia"

 

Hai corso con Honda e poi nel 2008 sei andato in Ducati. Che però non era più quella vincente con Stoner del 2007...

"Secondo me nel 2007, che era il primo anno della MotoGP con i motori a 800 cc, avevano un po' tutti sottovalutato il cambiamento tranne Ducati. Ad inizio stagione Honda e Yamaha andavano indietro e poi Bridgestone aveva una bella superiorità. Poi nel 2008 tutti hanno fatto un gran passo in avanti e Ducati rimase al palo. Diciamo che Stoner non faceva vedere i limiti della moto, che era una moto veramente complicata. Dopo il primo giorno di test dissi all'ingegner Filippo Preziosi di pagare Stoner tutto quello che avrebbe voluto, perché sarebbe costato sempre meno di rifare la moto per far andare forte tutti. Anche quella volta ho avuto ragione".

 

Che poi è quello che in Ducati hanno fatto negli ultimi anni. Adesso sono in molti ad andarci forte.

"Beh sì, a rotazione vanno forte tutti. Guarda anche Alex Marquez, che l'anno scorso sembrava molto diverso da quello di quest'anno. Se non hai una moto che ti mette a tuo agio ti taglia anche i lati positivi, i punti forti"

 

Sembra un periodo difficile per i giapponesi: Ducati, Aprilia e KTM sono competitive e vincenti, mentre Suzuki ha smesso e Yamaha e soprattutto Honda sono in difficoltà.

"Solitamente i giapponesi sono conservativi, vanno avanti a piccoli passi, ma adesso l'idea stessa di moto è stata talmente rivoluzionata che bisogna proprio concepire il progetto in modo diverso e nuovo. Fino a 5 anni fa era impensabile mettere tante energie fisiche, mentali ed economiche sull'aerodinamica della moto, invece adesso è una componente quasi più importante del telaio".

 

Ti piace questo nuovo modo di fare le moto da corsa?

"No, non mi piace. Primo perché non sembrano più moto da vedere e perché non è qualcosa che si potrà portare sulle moto di serie per aumentare le prestazioni o la sicurezza. È soltanto un questione estetica e secondo me ad esasperare questi aspetti della moto si perderà sempre più spettacolo, perché sarà sempre più difficile sorpassare, perché seguire un pilota con l'aria sporca hai una moto che si comporta in modo diverso. Mi sembra che si stia seguendo una direzione che invece la Formula 1 sta abbandonando".

 

Vero che l'aerodinamica sembra essere un po' troppa adesso, ma non si può neppure pensare che lo spettacolo sia tutto.

"No, lo spettacolo non è tutto, ma siamo a un bivio. Oppure nel giro di qualche anno si corre tutti con Ducati e magari Honda, Yamaha e pure KTM se non vince, se ne vanno. Con quello che costa se non vinci o almeno fai dei risultati buoni, smetti".

Nella stagione 2005 Melandri vinse due gare in MotoGP con la Honda: il GP Turchia e il GP Valencia, ultimi due eventi del campionato - ©Ansa

Torniamo a te. Nel 2009 hai corso con una Kawasaki nera...

"Purtroppo anche lì è successo che spendevano un sacco di soldi senza portare a casa risultati e quindi decisero di chiudere. Peccato, perché la moto era nata molto bene. A me arrivò la moto nuova, il problema è che loro il 31 marzo chiudevano e la prima gara era ai primi di aprile. Così ci hanno dato tutto il materiale e le moto, ma senza il minimo sviluppo che invece sarebbe servito, almeno sulle piccole cose come il link dell'ammortizzatore, le piastre di sterzo... Fu un peccato".

 

E pensare che con un pilota puntiglioso, tecnico, sensibile e rompipalle (nel senso buono) come te sarebbe andata probabilmente bene.

"Sì, se vai a guardare le prime gare a Motegi ho fatto sesto superando addirittura Stoner, a Jerez quinto, a Le Mans podio, al Mugello ero in testa, a fine anno a Sepang pioveva e mi son detto che avrei vinto e invece mi si è inceppato il comando del gas che era vecchio... Sembra una barzelletta. Peccato perché se avessero fatto come Suzuki che si è ritirata, ma per tutta la stagione ha comunque fatto gli sviluppi programmati, avremmo potuto toglierci delle soddisfazioni".

 

Poi il 2010 l'ultimo anno in MotoGP per te, ma col ritorno nel Team Gresini e a fianco di Marco Simoncelli.

"Io ero un 'cliente' a tutti gli effetti e quando ho visto che non ci sarebbe stato nessun tipo di aiuto tecnico per me ho capito che purtroppo il mio tempo in MotoGP era finito. Correndo per un team satellite non credo si possa vincere il titolo, perché se paghi la moto a chi la fa e uno sponsor di un team ufficiale paga molto di più, non ti lasceranno mai vincere. Tu puoi avere tutta la passione che vuoi, ma la MotoGP è anche un business. Per un team ufficiale è controproducente che vinca una squadra esterna il titolo. Qualche gara sì, ma il Mondiale no"

 

Da lì hai iniziato un'altra carriera in Superbike, che è durata altri 10 anni: hai corso con Yamaha, BMW, Aprilia, Ducati forse non te l'aspettavi neppure tu...

"Anche lì sono stato nel posto giusto al momento sbagliato e mentalmente è dura. A chi diceva che ero io che portavo sfiga dico che ci sta, ma la Suzuki si è ritirata e io non c'entro...".

 

È bello che tu ci rida sopra

"Beh, se però parli con chi ha lavorato con me, ti dirà che avevo ragione... Nel senso che quello che funzionava per me, andava bene anche per gli altri".

 

L'ultima gara l'hai disputata nel 2020...

"Si era fatto male un pilota e ho preso il suo posto, ma ho immediatamente capito che non avevo più voglia, che ero un po' fuori posto. La conferma che avevo finito la mia era"

 

Molti altri piloti al tuo posto sono rimasti nel mondo dei GP come team manager, proprietari di squadre, coach... come mai tu no?

"Andare ancora in giro per il mondo nei circuiti senza correre non mi attirava, ho preferito scoprire altre cose. La passione per le moto non può scomparire, neppure diminuire, ma non ho voglia di andare in giro e stare nel paddock, preferisco andare ogni tanto e vedere gli amici. Poi guardo tutto in TV, ogni turno di prove. Quando ho smesso ho capito quanto sia stato sotto pressione nella mia vita da pilota. Adesso mi sono appassionato alle mountain bike elettriche, faccio ancora gare, ma vivo in un modo che non con conoscevo avendo cominciato a fare il pilota a 15 anni. Mi tengo tempo per fare sport e cose per me".

 

Anche per fare qualche cosa di strano come l'Isola dei Famosi...

"Anche lì mi è capitata l'occasione e ci sono andato, ma ho capito che non era roba per me. Ho fatto tutto quello che serviva per andare a casa prima. Era successo che a febbraio non c'erano gare e mi hanno chiamato loro per caso e ho detto 'vabbè, facciamo l'esperienza' ed è stata una bella esperienza, ma devi essere di quel mondo lì, conoscere comportamenti e malizie per andare avanti e non mi interessava granché".

 

Adesso vivi in Svizzera e ti occupi di tua figlia.

"Sono andato via dall'Italia proprio per lei, per salvaguardarla da un modo di fare, da una serie di regole che non mi vedevano d'accordo. Ora lei fa la bambina e io sto meglio. Diciamo così".

Melandri in Portogallo alla guida della Ducati in Superbike, stagione 2020 - ©Motorsport.com