I quarantasei del 46

Anche oggi ‘Quarantasei’ non è un’età, ma un simbolo ed è molto più di un brand con cui ancora oggi si vende un sacco di merce ambitissima. Si puó dire che il quarantasei abbia preso vita, staccandosi dal mondo dei numeri per entrare in quello dei simboli destinati a continuare a dire qualcosa di forte perché rimandano a un’intelligenza, a un carisma e a un talento planetari. E viceversa: quell’intelligenza, quel carisma, quel talento che hanno cambiato il motociclismo ti portano dritte a quel numero. Quarantasei. Un numero vissuto e legato indissolubilmente a date, luoghi, gesti, parole. Valentino Rossi ha legato sè stesso ad un’idea della velocità che marcia di pari passo con il divertimento, generando nel pubblico che lo ha amato e continua ad amarlo un’idea nuova del motociclismo così tradizionalmente legato ai superduri, alla paura e ai dolori. Il giallo fluo non a caso fu scelto per sdrammatizzare. Quando Graziano Rossi, il papà di Valentino, tra gli anni settanta e gli anni ottanta, correva con il 46 sulla carena, i capelli lunghi da hippie sulla testa, una bel talento nel polso destro, la follia e il coraggio nel cuore, probabilmente non immaginava che, un paio di decenni dopo, quel numero sarebbe diventato il codice da Vinci della velocità. Il 46 è finito sulla moto di Valentino e ha preso vita, proprio come ogni altra cosa che abbia toccato. Si chiama Valentino, che curiosamente è proprio il contrario di Va Lentino, per onorare la memoria di un caro amico di Graziano scomparso in mare. Da un fatto triste riparte una storia che è stata segnata dall’allegria, fatta salva qualche fisiologica incazzatura, qualche infortunio e un dolore enorme per la scomparsa di Marco Simoncelli. A Valentino sarebbe disonesto togliere il merito di averci fatti divertire per venticinque anni, ma sarebbe disonesto anche far finta di dimenticare che la sua formazione di uomo, oggi quarantaseienne, è passata anche per una tragedia che inevitabilmente da qualche parte di segni ne ha lasciati. Torniamo indietro, a quel modo di essere che nel 1994, quando il motomondiale faceva tappa In Giappone, fece conoscere al mondo e al quindicenne Valntino Rossi, il pilota Norifumi Abe. Un giapponese pazzo che fece una gara fuori da ogni logica nella classe 500. Norifumi cadde dopo essere andato in testa, ma Valentino aveva già deciso che per ribatezzarsi goliardicamente si sarebbe chiamato ”Rossifumi”. Perché Valentino non si limita a essere un pilota, lui è uno sceneggiatore istintivo della sua storia, uno che di getto scrive il proprio personaggio come si fa nei libri o nei film. Fu Rossifumi, ma poi anche il Dottore e mille altre cose ancora. Cambiavano i soprannomi, le acconciature, le moto, gli avversari, ma non cambiava mai il numero. Il Quarantasei è rimasto sempre al suo posto, un po’ dappertutto, anche quando Rossi, per ben nove volte avrebbe potuto presentarsi al via con l’uno che storicamente indica il migliore di tutti. Macchè: il quarantasei ha cominciato a valere di più. E come il quarantasei anche Valentino non ha mai smesso di essere Valentino. Ha solo cambiato forma. I kart, le minimoto, le moto, le macchine, gli amici, il ranch e infine il motocross, poi le corse automobilistiche, poi l’Academy, poi la famiglia. Sempre gas a martello, ma con lo stesso metodo, la stessa freschezza e quella scintilla negli occhi che è il marchio di fabbrica dei campioni veri. 46: la matematica della leggenda Quanti sono 46 anni nella vita di una persona? Dipende dalla persona. Per Valentino, sono un’intera carriera da pilota e un’altra che è appena cominciata. Se vogliamo metterla in numeri, facciamolo come si deve… Quanti sono 9 titoli mondiali nella carriera di un pilota? Un’enormità che ha davanti solo Giacomo Agostini a quota quindici. E quante sono 115 vittorie di Gran Premio? Beh, qui bisogna fare attenzione, perché i numeri vanno letti con rispetto. 115 vittorie in MotoGP sono qualcosa che va oltre il talento e oltre l’eccezionalità di tanti fenomeni che lo hanno preceduto e seguito. 115 è costanza, metodo, fame. È la capacità di cambiare e di maturare in ventisei anni di carriera, ritoccando in base alle esigenze di maturazione personale e dell’evoluzione tecnica, ma mantenendo la spinta a vivere con leggerezza, perché per vivere, senti che massima valentiniana, divertirsi ed essere felici è meglio che piangere. Programmare è meglio che subire. È così che Valentino Rossi è passato attraverso un ritiro che non lo è stato veramenre e non ha lasciato strascichi da uomo irrisolto e incapace di andare avanti senza moto. Ha aggiunto due ruote ed è passato alle auto, senza perdere in metodo e freschezza e costruendo attorno a sè una nuova dimensione con la compagna Francesca e le figlie Giulietta e Gabriella. Ma solo quando ha sentito che era il momento buono. Le cose lui le sente. Ha rifiutato il ritiro quando era all’apice della carriera come vorrebbero tutti i manuali, perchè anche in assenza di risultati continuava a divertirsi, a star bene lì, finchè ce n’era. Quanti sono 235 podi? Un numero imbarazzante che ha dentro anche le generazioni degli avversari, che a lui hanno dato qualità e che da lui ne hanno presa a mani basse Duecentotrentacinque. Provate a pensarci: significa che per più della metà delle volte che è sceso in pista in MotoGP, è arrivato tra i primi tre. Quante sono 65 pole position? Un numero abbastanza grande che ci racconta di un pilota più concentrato sull’essenziale della domenica che sulla qualifica del sabato, come un modo litirgico di badare sempre al sodo. Se si trovava costretto a rimontare, rimontava e poi ti raccontava ogni sorpasso con l’entusiasmo di una bella festa come quella che celebra stavolta. Più di una generazione è cresciuta con il mito del 46. Quella attuale che passa per l’Academy ancor più di ogni altra. Da Bagnaia a Morbidelli, da Bezzecchi a Marini. Valentino non si è limitato a impattare come un modello di vincente da imitare: ha creato un movimento. E poi c’è l’aspetto che i numeri non raccontano. Il carisma. La capacità di trasformare ogni vittoria in un evento, ogni sconfitta in una storia epica. Quanti piloti possono dire di aver lasciato un segno così profondo nel loro sport? Quanti sportivi? Alcuni sì, ma davvero pochi. Pochi con quell’intensità. E se oggi pensate a una torta con sopra un numero è sbagliato. Mai come in questo caso si tratta di un numero con sotto una torta. Felice compleanno 46!

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