In Indonesia inizia un secondo campionato

Da Motegi a Mandalika il mondiale MotoGP è un altro. Diverso, nuovo: non c’è più in palio il titolo, il che sembra un limite. Però l’ormai confermato successo di Marc Marquez può avere anche una lettura non negativa, se non proprio esaltante. Quando a cinque gare dalla fine un campionato è già deciso significa che c’è stato un dominatore assoluto, indiscusso, martellante, a tratti 'noioso', se vogliamo esagerare. Ora invece tutti liberi, senza più conti troppo importanti. Certo, chiudere secondo, anziché terzo o quarto, conta, ma non è determinante. Dietro al primo sono tutti sconfitti, anche se per esempio il 'titolo' di vicecampione per il fratellino minore Alex significherebbe innanzitutto tenere tutto in casa Marquez, oltre a finire molto bene una stagione che lo ha lanciato tra i migliori. Non per niente l’anno prossimo avrà a disposizione una moto ufficiale come Marc, Bagnaia e Di Gianantonio. Altrettanto bello sarebbe per il team Gresini chiudere in quella posizione, da squadra privata e senza moto ufficiali, con Aldeguer miglior esordiente dell’anno. Poi ci sono tutti gli altri che vogliono stare il più avanti possibile, come Marco Bezzecchi, che potrebbe essere il primo dei piloti non Ducati con la sua Aprilia. C’è la KTM, che vorebbe vincere almeno una gara. C'è la Honda, che cercherà di confermarsi o addirittura di migliorare il podio giapponese. C'è la Yamaha, che farà l’impossibile per uscire dalla crisi che sta colpendo i suoi piloti che non si chiamano Quartararo. Motivi ce ne sono sempre, insomma, ma a questo punto c’è più degli altri una ragione che potrebbe rendere queste ultime gare entusiasmanti: il fatto che contino poco per la classifica. Tutti al via così liberi di dare il massimo senza fare calcoli. Saranno cinque sprint e cinque GP al massimo, ognuno senza appello, con la possibilità di una rivincita la settimana o quindici giorni dopo, senza guardare alla classifica. Si comincia in Indonesia, poi in Australia, Malesia, Portogallo, per chiudere infine a Valencia. Cinque finali, cinque rivincite, cinque sfide. Roba da vedere assolutamente, per lo spettacolo in sé, quello bello, fatto di staccate, sportellate, sgommate e traversi al limite. Purtroppo c’è un pilota che tutto questo non potrà goderselo. È l'ormai ex campione del mondo Jorge Martin, che quest’anno ha vissuto una stagione orribile, disastrosa, impensabile. Dalla gioia di un inverno passato come pilota da battere, sognando la nuova sfida con Aprilia, al dramma della prima mattinata di test a Sepang con caduta, passando per la mazzata dell’infortunio mentre si allenava per rientrare in buona forma e conseguente scivolata al rientro in Qatar. Con annessa sofferenza, interventi e un ritorno difficile, complicato da una moto sì competitiva con il suo compagno ma sconosciuta a lui. Fino alla nuova, definitiva mazzata in Giappone: prima curva del primo giro della sprint, frattura scomposta della clavicola destra e ennesima operazione, stavolta a chiudere una stagione mai di fatto iniziata. Tanta sfortuna, tantissima. Però c’è anche un aspetto favorevole: in almeno un paio di incidenti avrebbe potuto finire molto peggio, perciò resta sì il periodo difficile di un campione del mondo ferito e scosso, ma non fino al punto del dramma. Comunque nessuno vorrebbe essere nell’animo di Jorge Martin, un campione che non ha potuto difendere il proprio titolo nemmeno per un giro, figurarsi una gara. È un peccato che non abbia potuto portare il suo numero 1 sul podio di qualche gara, estromesso dalla lotta senza neppure iniziare il primo round. In questo momento c’è sì la gioia di un Marquez in pace con sé stesso, di una Ducati confermata vincente, di un Bagnaia pare ritrovato, a tratti simile a quello dello scorso anno che contendeva il titolo proprio all'assente Jorge Martin. Un Martin da immaginare triste, ma motivato. Concentrato a pensare a come ritornare a prendere quel numero 1 che ha tanto voluto, inseguito e così poco goduto.

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In Indonesia inizia un secondo campionato

Paolo Beltramo