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NBA, su Westbrook e OKC finalmente parla Durant

NBA

Come stanno le cose con Russell Westbrook, gli screzi (di un tipo) con Andre Robertson e quelli (di tutt'altro tipo) con Enes Kanter: Kevin Durant dice finalmente la sua su quanto successo a OKC al suo primo ritorno da avversario. Con un'ammissione: "Le reazioni dei tifosi? Avrei fatto come loro"

Sono passate tre settimane dal tanto atteso ritorno a Oklahoma City, e ora che la gara è in archivio (vittoria Warriors e 34 punti all’attivo per lui) e in archivio finalmente anche tutte le polemiche generate dalla sua presunta rivalità con Russell Westbrook, Kevin Durant ha finalmente deciso di far sentire la sua voce, per raccontare al mondo come davvero sono andate le cose (almeno dal suo punto di vista). L’occasione è arrvata con la partecipazione danospite al podcast di Bill Simmons, con il quale l’ala di Golden State ha spaziato per più di un’ora su tanti argomenti diversi, dal Draft 2017 alla corsa al premio di MVP, fino al suo recente infortunio (“Ho sentito un crac e mi sono subito spaventato. Poi la prima diagnosi: frattura alla tibia, ovvero 3-4 mesi fuori, stagione finita. Sono scoppiato a piangere. Poi fortunatamente – sarà passata mezz’ora, forse un’ora – mi è arrivato il responso corretto: avreste dovuto vedere la mia reazione. Roba da film”). Nella lunga chiacchierata con il giornalista di Boston, però, a incuriosire sono soprattutto le parole del n°35 di Golden State sulla prima gara disputata da avversario – o forse sarebbe più accurato dire nemico – nella città che per otto anni ha chiamato casa, contro avversari fino a ieri chiamati amici e compagni. Parole che sono parse oneste e sincere, dettate dalla volontà di voler raccontare il proprio punto di vista, per mettere magari finalmente a tacere strumentalizzazioni e polemiche inutili. A partire da una prima ammissione: “Se dovessi mettermi nei panni dei tifosi dei Thunder mi sarei comportato esattamente come loro: il tifo è così, li capisco perfettamente”, la dichiarazione di KD sul trattamento (non certo morbido) ricevuto dai fan di OKC. 

No more nice guy – Un astio che alla superstar degli Warriors ha fatto in un certo senso piacere: “Penso che a un certo punto della tua carriera, se vuoi davvero essere considerato tra i migliori, devi essere amato ma devi essere anche odiato – e a OKC ho ricevuto proprio questo trattamento. Era quello che desideravo, lo volevo, per capire anche come avrei reagito. Penso bene, a dire il vero”, la sua chiosa in merito. Un concetto su cui Durant ha voluto soffermarsi, prendendo a prestito un verso di JAY Z: “Ogni figura che ho ammirato da ragazzino e a cui mi sono ispirato ha sempre avuto questa doppia anima: amata ma anche odiata. È proprio come canta JAY Z: First they love me / then they hate me / then they love me again” [“prima mi amano, poi mi odiano, poi tornano ad amarmi di nuovo”, ndr] e da quando ho preso la decisione di diventare un Warrior quella strofa è sempre nella mia testa”. No more nice guy, hanno detto in molti, sentimento condiviso dal diretto interessato: “Li ho sentiti tutti i giudizi: ‘Sei un traditore, non hai dimostrato nessun lealtà, sei uno che non ha coraggio e si accontenta di essere il secondo violino’ e a ogni attacco che ricevevo io mi dicevo: ‘Finalmente, ci siamo’. Perché abbracciare questo tipo di difficoltà, per me è stato come abbracciare una nuova sfida, quella di non essere più amato e coccolato da tutti, di non essere più il giocatore adorato da mamme e bambini”.

Ci sono scontri e scontri – Durant è tornato anche sugli screzi avuti in campo (e fuori) con un paio di ex compagni, Andre Robertson e Enes Kanter. Facendo una netta distinzione tra i due: “Sì, con Andre a un certo punto abbiamo avuto da ridire, ma Andre per me è come un fratello. Davvero. Qualsiasi screzio con uno come lui fa solo parte del gioco, non è niente più di questo e resta sul campo”. Totalmente diversa, invece, la polemica con l’ala turca. “Enes io non lo conosco così bene, ci ho giocato assieme un anno solo e in quell’anno tra l’altro ho fatto di tutto per aiutarlo, mi sono davvero speso per lui. Visto che io lo so e lui lo sa, non capisco il suo bisogno di dire certe cose e comportarsi in un certo modo. Ma ora lui è nel Team Westbrook, e passa la palla solo a Russell...”, la frecciata polemica. 

E di Westbrook dice che… Una volta nominato l’elefante nella stanza, KD non ha potuto sottrarsi a un paio di domande sul suo attuale rapporto con l'ex compagno (e amico?) Russell Westbrook: “Il giorno della gara a OKC non abbiamo parlato, più che altro perché credo che in fondo non ce ne fosse bisogno. So benissimo come si sente Russ, o come si sentono i suoi compagni a OKC: ai loro occhi io li ho lasciati per unirmi proprio ai nemici. Allo stesso tempo però credo che Russell non abbia nulla in contrario alla mia decisione, e se ha dimostrato dell’insofferenza è perché dall’inizio dell’anno i media non hanno fatto altro che chiedergli di me ogni singolo giorno. Mi sarei seccato pure io, l’avessero fatto con me. E così, quando si è stufato di tutte le domande e lo ha fatto vedere, ecco che hanno cercato immediatamente di montare la nostra rivalità, il nostro odio reciproco”. Che odio assolutamente non è, dice Durant, il tutto riconducibile al massimo a qualche piccola baruffa tra due giocatori e due persone orgogliose. “Io lo sono, tutti lo siamo. E se qualcuno mi ignora cosa faccio? Lo ignoro pure io, ovvio”, l’ammissione della superstar di Golden State, chiamato a spiegare l’apparente indifferenza dimostrata dai due al momento del loro incontro a New Orleans, in occasione dell’All-Star Weekend. “È successo semplicemente questo, lo so che a vederlo da fuori sembra strano – anzi, è strano, anche per me. Ma ho solo cercato di non rendere l’intera situazione ancora più assurda, sia per me che per lui. Mi sarebbe piaciuto fermarlo e potergli chiedere come si sente, come vanno davvero lo cose per lui oggi, ma con tutte quelle telecamere attorno e con tutta quell’attenzione non avrei fatto altro che alimentare questo assurdo circo”.