Dopo il fermo in Romania, la Turchia ha emanato un mandato d’arresto nei confronti del giocatore dei Thunder: “Fa parte di un gruppo terroristico”
Enes Kanter non trova pace in una off-season in cui i problemi dei Thunder relativi alla ricostruzione della squadra durante la prossima sessione di mercato sembrano essere davvero l’ultimo dei suoi pensieri. Dopo la notizia del fermo all’aeroporto di Bucarest per alcune ore della scorsa settimana, i riflettori si sono accessi su di lui e sulla sua storia fatta di fughe notturne, indagini da parte dell’intelligence e mandati d’arresto diramati in giro per il mondo. Non un film d’azione o un best seller in vendita nelle migliori librerie, ma vita (e paura) reale. “Sono stati i tre giorni più assurdi della mia vita”, racconta in un raro momento di scoramento durante una delle decine di interviste rilasciate dopo essere rientrato negli USA, “in quella che adesso considero a tutti gli effetti casa mia”. Le ultime notizie arrivate dalla Turchia non fanno altro che aumentare le preoccupazioni del numero 11: secondo quanto scritto da “The Daily Sabah”, un giornale filo-governativo, è stata emanato un mandato d’arresto contro di lui perché accusato di essere membro di un non meglio specificato “gruppo terroristico”, chiedendo all’Interpol di diffondere le notizie su di lui e far scattare l’arresto dovunque si trovi. L’ultimo atto di una escalation di attenzioni da parte delle autorità che tuttavia non sembrano aver turbato lo stesso Kanter, ironico e rilassato anche di fronte al dramma che sta vivendo (nel tweet in turco riportato sotto, scherza sulle notizie che lo ritraggono come un vero e proprio delinquente).
ByLock, l’app che è costata cara
L’accusa mossa dal governo turco contro di lui è arrivata a seguito delle indagini fatte sul suo conto da parte dell’intelligence, le quali hanno portato alla scoperta sul suo cellulare della presenza dell’applicazione ByLock, servizio di messaggistica non in vendita su Play Store (rintracciabile attraverso un download via internet), utilizzato secondo le autorità di Ankara come canale di comunicazione attraverso cui i golpisti si scambiano informazioni ormai da anni. Un tassello grazie al quale la polizia di Erdogan è riuscita a "scovare" oltre 40.000 seguaci di Fethullah Gülen, colpevoli di aver scaricato l’app e rintracciati vista la scarsa protezione di cui il parente povero di WhatsApp dispone. Di notifiche e messaggi riguardanti il golpe dello scorso 15 luglio però, neanche l’ombra: quel tipo di ordini sembrano essere circolati (sempre secondo le ricostruzioni ufficiali), attraverso canali di messaggistica ben più diffusi, ma diventa difficile mettere in manette tutti quelli che sul proprio dispositivo mobile presentano la nuvoletta verde con la cornetta bianca in bella evidenza. Al momento secondo i dati diffusi dal ministero della difesa turco, sono 48.636 le persone già finite in manette negli ultimi dieci mesi e 149.833 mila quelle indagate. Nessuna però dispone del curriculum e della fama di Kanter; circostanza che gli ha permesso di potersi ritenere molto fortunato, come lui stesso tiene a sottolineare. “Sto bene, ma allo stesso tempo non mi sento a posto: capite cosa intendo? Io sono fortunato; la mia è una storia a lieto fine. Nella maggior parte dei casi invece, le cose non vanno così”.
La fuga dall’Indonesia
Tutti infatti hanno scritto e raccontato di quanto successo in Romania una settimana fa, ma come lo stesso Kanter ha sottolineato in più di un’intervista e nel meraviglioso pezzo scritto su The Players’ Tribune, la storia (con annesso inseguimento) partono qualche ora prima dall’Indonesia, dove il lungo di OKC si trovava per fare promozione alla sua fondazione benefica. “Alle 2.30 di notte ho sentito bussare alla porta della mia camera: era il mio agente che voleva avvertirmi. “La polizia indonesiana ha chiesto informazioni su di te, dopo aver ricevuto segnalazione da quella turca che ti ha definito un ‘uomo pericoloso’. Domani vogliono fare una chiacchierata con te’. Chi nasce e cresce in Turchia sa molto bene che la polizia in realtà quando vuole “fare quattro chiacchiere” ha ben altre intenzioni”. L’allerta a quel punto è massima: le valigie fatte al volo, la corsa all’aeroporto, il decollo verso l’Europa. Destinazione Romania; non tanto per scelta, quanto per necessità, la prima capitata a portata di mano e di aereo. E poi il fermo, la querelle legata al passaporto cancellato e alla fine l’approdo nel porto sicuro rappresentato dagli USA: “La cosa che mi ha reso davvero felice e che mi ha rincuorato sono stati i messaggi di solidarietà che ho ricevuto appena ho twittato la notizia di essere arrivato negli USA. In tantissimi mi hanno scritto: “Benvenuto a casa”, una frase che per me significa molto, soprattutto se arriva da persone che non mi conosco. Non ho idea di chi siano, ma mi danno un supporto enorme, condividendo con me quella che è la loro casa e dicendomi: “Tranquillo, da adesso è anche la tua. Non preoccuparti, ci prenderemo cura di te”. Questo è il perché sono rassicurato dall’idea di essere qui”.