L’allenatore di Golden State è tornato sei settimane dopo la gara-2 vinta contro Portland. Da lì in poi, solo successi per i suoi Warriors: “Non vedevo l’ora di fare ciò che amo”
Sono passate già sei settimane da quando aveva smesso di sedersi in panchina al fianco dei suoi ragazzi, ma coach Steve Kerr sembrava non essersene andato mai, visto il lavoro che nonostante i problemi alla schiena ha continuato a fare assieme alla squadra. “È stato grandioso”, commenta appena ritornato sul podio delle interviste post-partita, riferendosi sia all’accoglienza che la squadra gli ha riservato, sia a quella del pubblico della Oracle Arena, che gli tributato una standing ovation prima della palla a due. “Questa è una di quelle cose che ti fanno sentire bene. Le Finals ti danno una spinta e un’energia unica: per questo è davvero un piacere essere tornato a bordo”. Una scelta oculata, attenta, fatta solo dopo valutazioni accurate: “Le ultime due settimane sono state positive in termini di presenza agli allenamenti, alle sessioni video e alle riunioni con il resto dello staff. Volevo fortemente riuscire a passare consecutivamente dei giorni in cui non provare più dolore alla schiena, un periodo che mi facesse pensare poi di poter tornare stabilmente in panchina senza paura. Adesso spero tanto di poterci restare fino al termine della serie”. Una decisione secondo alcuni critici voluta a tutti i costi pur di mettere il proprio volto sui successi degli Warriors: “Non ho forzato perché volevo partecipare a tutti i costi a una gara di finale. Mi sono preso il mio tempo e sono tornato perché credo di poter reggere nuovamente allo sforzo fisico che questo ruolo richiede. Per me è una grande gioia potermi accomodare in panchina: è quello che amo fare. Adoro trascorrere del tempo con i giocatori e i tifosi, per quello non posso che essere felice”.
“Come se non fosse mai andato via”
Una scelta comunicata a meno di due ore dalla palla a due, in maniera inaspettata e soltanto dopo essersi presentato tra lo stupore generale alle domande del pre-gara. “Ciao a tutti. Ci sono domande, oppure no?”. Il sorriso beffardo sulle labbra di chi voleva tanto che questo momento arrivasse presto e che invece ha dovuto pazientare, sperando e lavorando affinché tutte le cose andassero per il verso giusto. Una sorpresa non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per i giocatori che a due ore dall’inizio del match non ne sapevano nulla: “Probabilmente adesso l’hanno già scoperto perché passano di continuo il tempo a guardare i cellulari”, prosegue il coach, non andando molto lontano dal vero con le sue previsioni, visto quanto raccontato da Draymond Green: “Avevo finito la mia sessione di tiro prima del match, ho preso il cellullare e l’ho scoperto”, racconta il numero 23 di Golden State. “È ovviamente una grande gioia riaverlo con noi, ma nulla cambia per quel che riguarda il nostro lavoro. Kerr è sempre stato molto bravo a preparare tutto lo staff, quindi gli schemi, le chiamate durante i timeout e le mansioni da compiere sul parquet non sono mai realmente cambiate in sua assenza”. Anche Klay Thompson non nasconde la sua felicità: “È una notizia meravigliosa. Sono così eccitato all’idea di riaverlo con noi. Ovviamente anche coach Brown ha fatto un gran lavoro”, chiosa prima di risultare scortese nei confronti dell’assistente allenatore. “La cosa interessante è come lui è riuscito a starci vicino nelle ultime due settimane, nonostante i suoi problemi – racconta invece Steph Curry -. Per quello per noi questa sera è stato tutto come prima: la stessa routine, le stesse indicazioni, con l’unica differenza che sapevamo di averlo a nostro fianco anche a bordo campo”.
“Kerr è un allenatore su cui scommetterei sempre”
Un cambio di programma che alcuni avrebbero potuto interpretare come un rischio, quello di intaccare un meccanismo che così bene aveva funzionato nelle undici partite in cui Kerr non era stato presente a bordo campo: “Sì, quel Mike che mi ha sostituito devo dire che ha fatto un lavoro discreto”, commenta ironico, rivolgendo poi per l’ennesima volta i doverosi ringraziamenti a un allenatore che avrebbe tutte le carte in regola per fare il titolare da un’altra parte, ma che come i vari Andre Iguodala e Shaun Livingston ha invece deciso di fare da riserva, di fare un passo indietro per il bene di una squadra così forte soltanto grazie al sacrificio di tutti. Che quel posto in panchina però spettasse a coach Kerr non l’aveva davvero mai messo in dubbio nessuno: “Credo che sia una questione di fiducia, di capacità di lavorare assieme e di conoscere l’un l’altro. Di conoscere le possibilità di riuscita di ognuno – racconta il GM Bob Myers -. Se lavori in maniera isolata e ti ritrovi a dover prendere delle decisioni, diventa tutto molto più difficile. Non è soltanto una questione legata all’ambito sportivo: alla fine ti ritrovi a dover credere nelle persone con le quali sei a contatto. Devi scommettere sui tuoi colleghi e io su Steve Kerr lo farei da oggi fino all’eternità”. Un investimento che in questo triennio ha ripagato la squadra a suon di record (da ultimo quello delle 14 vittorie consecutive ai playoff - mai nessuno c’era riuscito) e che sembra con il trascorrere del tempo sempre più redditizio. Agli Warriors in realtà coach Kerr è mancato molto più di quanto i risultati e le parole di queste ultime ore lascino intendere: purtroppo per Cleveland ormai, non è rimasta neanche questa chance.