Tutti i retroscena della trattativa estiva tra i Golden State Warriors e Andre Iguodala, uno dei giocatori più corteggiati sul mercato e alla fine convinto (a suon di milioni) a restare alla corte dei campioni NBA
Con le conferme multimilionarie di Steph Curry e Kevin Durant ritenute una pura formalità da ufficializzare durante l’estate, il nodo cruciale della off-season dei Golden State Warriors era il contratto in scadenza di Andre Iguodala; pedina fondamentale anche nell’ultima rincorsa al titolo e pronto a 33 anni ad andare a caccia dell’ultimo accordo importante (soprattutto a livello monetario) della sua carriera. Per Iggy la strada è stata da subito in salita sin da febbraio, quando il suo agente storico Rob Pelinka è stato ingaggiato dai Los Angeles Lakers, lasciandolo così con il cerino in mano dopo 13 anni di consulenza. Iguodala infatti era consapevole del fatto che diverse franchigie NBA potessero avanzare delle richieste per lui; mossa per squadre come San Antonio Spurs e Houston Rockets dal doppio significato: un upgrade difensivo e in uscita dalla panchina unico da una parte e allo stesso tempo una pedina fondamentale sottratta allo scacchiere degli Warriors. Un doppio colpo per cui valeva la pena fare anche i salti mortali. La meravigliosa ricostruzione delle prime settimane di luglio fatta su ESPN da Chris Haynes è per tutte queste ragioni una storia che merita di essere raccontata.
“Offerta troppo bassa”: Iguodala sul mercato
La caccia a un contratto da parte di Iguodala non poteva quindi che partire da San Francisco, con l’MVP delle Finals 2015 non più disposto a lasciare un singolo centesimo sul piatto, dopo aver fatto già in passato notevoli sacrifici a livello economico per permettere a Golden State di mettere insieme un roster unico a livello di concentrazione di talento. L’offerta arrivata però non era quella giusta: la prima proposta avanzata dal GM Bob Myers, un triennale da 36 milioni di euro (con l’ultimo anno soltanto parzialmente garantito), è stata ritenuta una sorta di offesa da un giocatore che poteva legittimamente puntare a incassarne 50 “sicuri” da un’altra parte. Sacrificare soldi per la squadra non era più un’opzione e per quello il numero 9 degli Warriors aveva deciso di dichiararsi ufficialmente disponibile sul mercato. La fila fuori dalla porta è diventata in un attimo molto lunga. I primi a bussare sono stati i Lakers, convinti di persuaderlo grazie al rapporto di amicizia non solo con Pelinka (passato paradossalmente dall’altra parte della barricata dopo anni fianco a fianco con Iguodala), ma soprattutto con coach Luke Walton, amico fraterno prima ancora che suo allenatore durante gli anni trascorsi insieme a Oakland. Il contratto di un anno da 20 milioni di dollari però non dava le garanzie sperate, soprattutto a fronte di un più che probabile rebuilding nella prossima estate. Il rischio di restare senza squadra o doversi accontentare nel 2018 era troppo alto.
Spurs e Kings, treni veloci ed elicotteri non bastano
A quel punto è toccato ai San Antonio Spurs provare a persuadere Iguodala, avendo a disposizione rispetto a tutti gli altri una reputazione che può fare la differenza nella Lega. Secondo il dettagliato racconto di ESPN, l’ex giocatore dei Sixers non ha fatto tante domande durante il colloquio, affascinato dall’opportunità di inserirsi in un contesto che nel breve avrebbe potuto garantirgli continuità di successi e ulteriori margini di miglioramento. A San Antonio la cultura del lavoro e quella difensiva sono da sempre le fondamenta su cui si basa una storia ventennale di vittorie. E il treno ad alta velocità che collegherà a breve la città texana alla capitale Austin (soli 15 minuti di viaggio) sembrava poter essere un ulteriore stimolo per un giocatore che avrebbe preferito di certo vivere in una città moderna e al passo con i tempi (sì, durante le trattative si parla anche di questo). Il vero problema però, erano anche in questo caso i soldi: gli Spurs infatti non sarebbero andati oltre gli 8.4 milioni di dollari all’anno della Midlevel Excepion. Molti meno di quelli messi sul piatto dai Kings (triennale da 43 milioni tutti garantiti), a cui però faceva difetto sia l’appeal che la capacità di garantire continuità a un progetto che troppo spesso è stato costretto a ripartire da zero. La dirigenza di Sacramento aveva anche sottolineato che “in soli 20 minuti di elicottero sarebbe potuto tornare a casa sua a San Francisco”: un bel vantaggio non doversi trasferire, ma non quello di cui Iggy andava alla ricerca.
I Rockets e la telefonata di Harden: Houston è la prossima destinazione?
Sì, una vera e propria asta al rialzo, a cui anche gli Warriors sono dunque tornati a partecipare, mettendo sul piatto questa volta 42 milioni parzialmente garantiti: cifra ancora lontana dai 16 all’anno di cui Iguodala andava a caccia. A quel punto restavano i Rockets (al netto dei Sixers e di tante altre franchigie che lo avevano contatto in precedenza): l’appuntamento di Houston poteva essere quello decisivo e il comitato d’accoglienza organizzato per lui sembrava poter fare l’effetto sperato. Coach Mike D’Antoni a tenere banco con le sue indicazioni tecniche su “come battere gli Warriors in sette gare”; Chris Paul appena sbarcato e già pronto a fare da sponsor alla franchigia e Daryl Morey pronto a mettere sul piatto un piano finanziario molto più convincente dei soli 32 milioni in quattro anni messi sul tavolo. “Il miglior incontro a cui abbia mai partecipato”, è stato il commento del diretto interessato, secondo quanto raccontato dalle fonti vicine al giocatore, nonostante un’interruzione inattesa: una telefonata di James Harden a Morey, evidentemente non informato del fatto che l’incontro fosse in corso. “Tranquillo James, per te ci sono sempre”, è stata la frase pronunciata al telefono dal GM, prima di porre il cellulare a Iguodala e dare a Harden la possibilità di scusarsi per l’inconveniente. Nessun tentativo di persuasione da parte del Barba; per quello erano già bastati gli altri.
L’ultimo tira e molla con gli Warriors
Un’offerta convincente a livello economico (grazie alle future sign-and-trade prospettate da Morey), tecnico e ambientale quella dei Rockets; l’ideale per decidere di cambiare aria dopo anni di successi. Mancava solo l’ultimo incontro con gli Warriors, quello che avrebbe potuto cambiare le carte in tavola. L’offerta a quel punto sale ancora: triennale da 45 milioni di dollari, sempre con l’ultimo anno garantito soltanto in parte. Ancora troppo poco per un giocatore che non riesce a capacitarsi del fatto che Golden State non fosse disposta ad accontentarlo. Un incontro concluso con un tacito addio a fare da sottofondo, mentre gli assistenti di Iguodala si preparavano a fare le telefonate di rito a Lakers, Kings e Spurs per comunicare la scelta del giocatore di andare a Houston. Prima però Iguodala decide di contattare ancora gli Warriors, di chiedere al suo amico Myers: “Davvero non volete accontentarci? Le nostre pretese economiche non cambiano Bob”. “Aspetta qualche minuto che parlo per l’ultima volta il presidente Lacob”. Venti minuti dopo, finalmente, arriva la risposta tanto attesa: “Sì, avrete i vostri 48 milioni di dollari”. Una trattativa lunga, estenuante, conclusa nel migliore dei modi per entrambe le parti e sulla quale ha messo la chiusa ideale coach Steve Kerr durante un incontro pubblico, a cui ha partecipato anche Iguodala lo scorso 27 luglio: “Andre potrà tranquillamente fare l’agente appena terminerà di giocare: è già pronto”.