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NBA: la favola di Gerald Green, con Houston nel cuore

NBA

Disoccupato fino a una settimana fa, il nuovo giocatore dei Rockets si è guadagnato la conferma del contratto fino a fine anno a suon di prestazioni assurde e percentuali irreali dall'arco. Dopo aver girovagato a lungo, forse Gerald Green ha trovato "casa" nella sua città

Non è certo la prima volta che Gerald Green si è ritrovato indesiderato, nella sua carriera. Per due anni, dal 2009 al 2011, è finito a giocare in Russia, perché nessuna squadra NBA sembrava interessata a regalare una chance a un giocatore che solo un anno prima aveva vinto la gara delle schiacciate all’All-Star Weekend di New Orleans. “Era così fino a pochi giorni fa, ancora”, dice oggi il nuovo n°14 degli Houston Rockets, dopo aver segnato 27 punti a Orlando e 29 a Golden State in serate consecutive. “Mi tenevo in forma tirando al canestro che ho a casa e giocavo uno-contro-uno con il mio Rottweiler”. Sembra incredibile, così come sembra incredibile il suo rendimento nelle quattro gare seguito al suo debutto in maglia Rockets sul parquet di Boston, chiamato in fretta e furia a scendere in campo dopo un workout improvvisato. “Grazie a Dio lo abbiamo messo sotto contratto”, dice oggi il suo nuovo allenatore, Mike D’Antoni. “Non sta soltanto giocando bene — aggiunge il leader dei Rockets James Harden — sta giocando alla grandissima”. “Non mi voleva nessuno. Nessuno”, ripete incredulo il diretto interessato. “Neppure in Europa, in giro per il mondo, neppure nella G-League. Non c’era una squadra disposta a darmi una chance: per questo l’avventura che sto vivendo coi Rockets è ancora più incredibile. Sono felicissimo di essere qui”.

Da Houston a Houston

Anche perché qui, per Gerald Green, significa casa — Houston, Texas — il posto dove è nato e cresciuto, andando al liceo in città, alla Gulf Shores Academy. Lui e i Rockets si erano già sfiorati una decina di anni fa, un decadale quando Minnesota l’aveva tagliato durante la stagione 2007-08. Una sola gara disputata, quattro miseri minuti in tutto, ma Gerald Green non aveva lasciato nulla di intentato neppure in quell’occasione: contro Washington si era preso tre tiri e li aveva mandati tutti a bersaglio. Ora però è diverso, perché i Rockets hanno già deciso di garantirgli il contratto fino a fine stagione (e pagarlo 872.000 dollari): le indicazioni che arrivano dal sempre informato Adrian Wojnarowski di ESPN dicono che a fargli posto a roster dovrebbe essere Bobby Brown, che verrebbe tagliato per permettere a Green di continuare il suo meraviglioso sogno, dopo essere stato tagliato a sua volta il primo giorno di regular season dai Milwaukee Bucks. Ora viene la parte difficile, anche perché Green dovrà dimostrare di poter far parte della rotazione anche quando tornerà Luc Richard Mbah-a-Moute, decisivo nell'ottimo inizio di Houston grazie soprattutto alle doti difensive - metà campo che invece interessa il giusto a Green. Come andranno le cose quando il tiro smetterà di entrare con queste percentuali assurde (21/35, 60% nelle quattro gare dopo il debutto coi Celtics) e verranno fuori le magagne (tecniche e caratteriali) che nella sua carriera lo hanno portato a cambiare casa tra Boston, Minneapolis, Houston, New Jersey, Indiana, Phoenix, Miami, di nuovo Boston e infine ancora Houston?

Le motivazioni extra di Green

Forse, a fare la differenza c'è proprio la possibilità di costruirsi un futuro per la squadra della propria città: "Per me vuol dire tutto [avere successo qui]", come testimoniato dalle treccine sulla sua capigliatura a forma di logo dei Rockets. "È una cosa che sogno da sempre e che ti dà ancora più energia, perché questo è dove voglio essere. Chiariamoci, sarebbe bellissimo essere in qualsiasi squadra della lega. Ma giocare per la squadra che sognavi fin da bambino è una cosa diversa, speciale" ha concluso, dopo essersi presentato al Toyota Center con la divisa throwback della leggenda Earl Campbell degli ormai defunti Houston Oilers di football. E poi c'è anche quella sensazione da "ultima spiaggia", perché dopo aver giocato da titolare sette partite di playoff con Boston il quasi 32enne era rimasto a spasso per mesi. "Sapete cosa? Mi è successo un po' di volte in carriera di trovarmi davvero in basso. Non è la prima volta che mi succede. Per me la cosa importante è stata avere fiducia in me stesso. Ovviamente quando arriva novembre o dicembre e non ricevi alcuna chiamata, o ti lasci andare o continui a lottare. Io ho scelto la seconda e Dio mi ha benedetto con questa opportunità. Ora devo solo sfruttare al meglio quello che mi è stato dato". Non avrebbe potuto sperare in un inizio migliore, ora sta a lui continuare a vivere il sogno.