NBA, i Milwaukee Bucks dovrebbero licenziare Jason Kidd?
NBALa squadra ha un record vincente, eppure non convince neanche i propri tifosi: hanno ragione a lamentarsi dell'operato del loro allenatore?
Jason Kidd è un competente allenatore NBA con un record positivo che ha contribuito a far diventare Giannis Antetokounmpo uno dei migliori dieci giocatori al mondo. Ciò nonostante, i Milwaukee Bucks dovrebbero seriamente pensare di licenziare Jason Kidd il prima possibile.
Per quanto le due frasi possano sembrare forzate e antitetiche, entrambe sono corrette. Siamo ormai fin troppo abituati a un’economia sportiva in cui l’allenatore è l’anello debole tra dirigenza e squadra, la testa da far rotolare per far funzionare le cose come dovrebbero; ma nonostante ciò, nelle rare volte in cui si arriva a una situazione come quella attuale dei Bucks in cui alcuni indicatori classici come il record di vittorie sembrano dare esiti accettabili, pare molto strano dire che la società dovrebbe pensare a cambiare guida tecnica.
Prima di addentrarmi nell’argomento ritengo fondamentale premettere due cose. La prima: sono uno dei meno scettici per quanto riguarda la carriera da allenatore di Jason Kidd e, sebbene non mi avesse particolarmente fatto impazzire nella sua stagione di esordio a Brooklyn o con la sua mossa di potere che lo ha portato ai Bucks, ritengo che non sia un allenatore scarso. La seconda: la mia linea di pensiero mi spinge sempre a pensare che in generale cambiare un allenatore dovrebbe sempre essere l’ultimissima soluzione tra quelle percorribili.
Detto questo, il rapporto tra Kidd e i Milwaukee Bucks è sicuramente una delle sottotrame della stagione NBA che più sono interessanti da capire. I Bucks sono stabilmente in zona playoff e la squadra non sembra dover subire un crollo inaspettato da un momento all’altro che la porti fuori dalle prime otto a Est, eppure i tifosi di Milwaukee stanno creando petizioni su Change.org o aprono interi thread su Reddit per richiedere a gran voce il licenziamento del loro head coach. I motivi, per quanto possano sembrare assurdi per un allenatore col record vincente, sono molteplici.
Kidd ha sempre avuto una personalità debordante sul parquet: lo era da giocatore e lo stesso fa da allenatore. Una costante che si nota in entrambi i ruoli della sua carriera è quella di essere un individuo eccellente nel far rendere a dovere i migliori attorno a lui pur non rinunciando mai alle luci della ribalta. Quando Kidd conduceva l’attacco di una squadra NBA con la palla in mano la sua presenza era ingombrante, totalizzante e permeava completamente la squadra, e paradossalmente sono le stesse caratteristiche che si ritrovano nei suoi Bucks.
Eppure ci sono tre caratteristiche nel suo lavoro che non possono essere nascoste da qualunque record positivo: la difesa dei Bucks è soggetta a crolli verticali; la sua voce fuori dal campo porta più danni a Milwaukee che benefici; e i Bucks non stanno rendendo minimamente all’altezza del loro talento individuale e collettivo.
Blitz, blitz, blitz
Quando allenava i Brooklyn Nets, un infortunio a stagione in corso di Brook Lopez costrinse Kidd a rivisitare la strategia difensiva di squadra. Costretto a utilizzare un quintetto piccolo con Kevin Garnett da 5 e Paul Pierce da 4, Kidd applicò quella che è diventata la sua difesa marchio di fabbrica, un sistema ultra-aggressivo con uscite altissime sui pick and roll e recuperi furiosi. E funzionava a meraviglia. Quando durante l’estate del 2014 è passato ai Bucks ha riportato la stessa strategia nel Wisconsin ed è andata pure meglio: i Bucks l’anno prima avevano vinto 15 partite totali (attualmente le peggiori squadre NBA di quest’anno sono già a quota 12) e Vegas li proiettava a 24 vittorie, ma nonostante l’infortunio alla loro seconda scelta assoluta Jabari Parker, i Bucks sfoggiarono per tutta la stagione la quarta miglior difesa della lega, raggiungendo i playoff con un record di 41 vittorie e altrettante sconfitte. La difesa di Kidd si era adattata a meraviglia a quei Bucks che scavavano il solco con la loro second unit guidata da veterani come Jared Dudley e Jerryd Bayless.
Da allora però le cose si sono improvvisamente fermate e i Bucks non hanno mai mostrato una difesa migliore della 20^ posizione. Anche quest’anno la loro difesa si piazza tra le ultime dieci della lega nonostante possano vantare un potenziale candidato difensore dell’anno in Giannis Antetokounmpo. La difesa di Milwaukee è terribile, e solo un lampo di ripresa nelle prime settimane dall’acquisizione di Eric Bledsoe gli ha permesso non essere del tutto terrificante; al momento, però, è comunque molto più vicina da quella dei Phoenix Suns (ultimi a 1.8 punti per 100 possessi subiti in più) rispetto a quella dei Boston Celtics (primi, a quasi 11 punti per 100 possessi subiti in meno).
La difesa dei Bucks si basa su un concetto fondante ed applicato all’estremismo: il “blitz” sul portatore di palla. Non appena gli avversari provano a ad accennare un pick and roll, il marcatore del bloccante si stacca e tenta un raddoppio feroce e altissimo. Questo non è solo il modo in cui i Bucks difendono, ma è l’unico modo in cui lo fanno. È uno stile di gioco estremamente probante dal punto di vista fisico e mentale, e richiede un grande impegno e una grossa cura ai dettagli per essere eseguito bene. I Bucks tutto sommato eseguono bene i loro schemi difensivi e di questo occorre dare merito a Kidd - perché, ricordo, non è un allenatore incapace.
Quando la strategia difensiva funziona e gli ingranaggi si muovono all’unisono risulta essere uno stile di gioco frustrante per chi lo affronta: gli avversari sono costretti a scaricare la palla indietro e nel tempo che serve per riportarla nuovamente in una zona pericolosa la difesa dei Bucks ha già ruotato e ha portato un nuovo raddoppio. I Bucks forzano una marea di palle perse, in modo da scatenare il più devastante giocatore del mondo in transizione: perdere palla contro Milwaukee significa rischiare di vedere Giannis Antetokounmpo partire come un runningback di 2.13, fermare il palleggio in un punto non troppo precisato oltre la metà campo e srotolare le sue leve lunghissime per arrivare al ferro prima di chiunque altro.
Nell’azione Giannis si stacca da Markieff Morris per effettuare il blitz su Beal che arresta il palleggio ed è costretto a scaricare su Morris in una zona in cui è inoffensivo. Approfittando della scarsa reattività dell’ala di Washington, Eric Bledsoe ruotando piomba su di lui come un falco e ruba una palla che porta a due liberi.
Oltre a questo stile difensivo, i Bucks adottano la tattica di negare completamente i passaggi in post: le ricezioni vengono ostacolate dal marcatore diretto o da quello più vicino, rendendo la media distanza contro di loro un terreno di caccia praticamente inesplorato.
Per tutta l’azione Thon Maker si disinteressa di tagliare fuori il centro avversario quanto di posizionarsi sempre tra lui e la palla per impedire un passaggio nella sua direzione. Wall non riesce a servire il compagno solo sotto canestro a un passo da lui e viene costretto a scaricare in angolo, facendo viaggiare la palla in una linea di passaggio molto rischiosa: turnover.
Non è tanto lo stile di gioco il problema - molte squadre hanno difese aggressive - ma è la frequenza con cui Kidd fa difendere con questo stile a porli totalmente su un altro pianeta rispetto al resto della lega. Per essere molto chiari: la difesa a blitz continui di Kidd è più frequente e ripetitivamente cercata delle triple dagli Houston Rockets.
Il problema è che questo stile di gioco rende ogni errore commesso il primo passo per un meccanismo a cascata che porta tutto il castello a crollare rovinosamente nel modo più fragoroso possibile. Uno schema non dipende solo da cosa succede quando viene eseguito perfettamente, ma anche da quanto sia facile che ciò avvenga davvero.
Quando un blitz non funziona per gli avversari si aprono due voragini gigantesche, e Milwaukee può solo sceglierne una per provare a mettere una microscopica pezza sperando azione dopo azione di aver fatto la scelta giusta. Il problema è che queste voragini sono le triple dall’angolo e i tiri al ferro: nessuna squadra NBA concede così tante soluzioni per 100 possessi come i Bucks in tutti gli anni in cui Kidd è stato allenatore, ed è lo stesso tipo di soluzione che la stragrande maggioranza delle squadre NBA cercano con insistenza poiché estremamente efficienti e remunerative. Raramente far perdere molti palloni è un sinonimo di buona difesa in NBA: di tutte le squadre finite in top-5 difensiva da quando Kidd allena Milwaukee, solo una è stata anche tra le migliori 5 per palle perse forzate - e quella squadra sono proprio i Bucks di Kidd. Al contrario, le altre squadre con una difesa top-5 sono le migliori per minor percentuale di tiri concessi al ferro e dagli angoli - esattamente le voci statistiche in cui i Bucks sono tra le ultime 5 della lega da quando Jason Kidd è al comando. Concedere sistematicamente tiri al ferro e dalle corner 3s nel 2018 non è un caso di fare zag quando tutti fanno zig, ma di fare zag per permettere agli altri di fare zig quando vogliono.
Quando il primo blitz fallisce, basta un piccolo errore per aprire uno squarcio irreparabile nella difesa: qui Sterling Brown si perde a metà provando a coprire il ferro (quando dovrebbe stare parallelo alla linea laterale dietro Dellavedova) e in angolo si apre uno spazio talmente ampio per tirare che persino un tiratore scarso come Justise Winslow può riuscire a segnare senza fretta.
Sarebbe sbagliato criticare uno stile di gioco a prescindere: la difesa aggressiva e a tutto campo, dopotutto, porta buoni risultati a livelli più bassi. In NCAA sono numerose le squadre che pressano nella metà campo avversaria, e lo stesso succede a cascata fino a scendere nelle leghe amatoriali, ma nella NBA - dove il talento distribuito è il più alto al mondo e dove è molto raro trovare un giocatore che non sappia né tirare né passare la palla né spezzare un raddoppio - significa auto-condannarsi a una vita misera. Al suo primo anno a Milwaukee, quando le altre squadre non erano abituate a cosa li aspettava, l’effetto sorpresa ha funzionato - in particolare con le second unit. Ma quando le avversarie hanno capito che il meccanismo non sarebbe cambiato, ci hanno messo molto poco ad adattarsi. La NBA è una lega che non perdona niente.
L’aggravante ulteriore è che Milwaukee, se difendesse con uno stile più conservativo, avrebbe tutte le carte in tavola per apparire costantemente tra le migliori difese stagione dopo stagione. Dieci anni fa in NBA qualunque giocatore alto più di 2 metri e 10 sarebbe stato ritenuto interessante; oggi lo stesso discorso lo si può fare sull’apertura di braccia dei giocatori, la cosiddetta wingspan. Avere giocatori dalle braccia sterminate può portare una copertura sui blocchi costante anche dopo aver preso un vantaggio, ma soprattutto può fornire una protezione del ferro senza eguali. Tra Eric Bledsoe, Khris Middleton, Giannis Antetokounmpo, John Henson e Thon Maker, i Bucks potrebbero tranquillamente circondare mezzo palazzetto semplicemente tenendosi per mano. Ma con la difesa a blitz costanti, la resistenza fisica e le letture difensive diventano molto più importanti delle mere capacità fisico-atletiche.
Costringere la squadra a giocare secondo le conoscenze dell’allenatore e non secondo le proprie forze è la macchia più grave che si può attribuire a Jason Kidd, come se i suoi interessi venissero prima di quelli della sua franchigia. E purtroppo tale atteggiamento non si limita alla sola fase difensiva.
Una pessima immagine pubblica
A fine del suo unico anno da allenatore dei Nets Kidd aveva provato un “colpo di stato” per prendere le redini della franchigia sostituendo l’allora GM Billy King (una mossa che tutto sommato non poteva risultare sbagliata, vista l’abilità di Billy King di regalare tonnellate di scelte per giocatori in geriatria. Un caloroso saluto a Jason Terry, Paul Pierce, Kevin Garnett, Gerald Wallace e tutti gli altri). Fallito il colpo, Kidd si è affidato alle proprie amicizie personali per forzare il suo contratto fuori da Brooklyn - una piazza senza prospettive e con il GM consapevole che aveva appena provato a rubargli il posto - per andare a Milwaukee, un team con una ricostruzione bene avviata e un rimpasto di proprietà in corso.
A meno che la dirigenza dei Bucks non abbia preso residenza sotto a una roccia rifiutandosi di osservare cosa sia accaduto in NBA negli ultimi anni, tutti conoscono perfettamente il comportamento di Kidd come allenatore e la sua tendenza di porre la sua carriera e reputazione al di sopra di quelle della squadra. Ma questa tendenza conservativa la si nota in altri atteggiamenti anche tralasciando il colpo di stato fallito a Brooklyn.
Quando un giocatore evita di parlare dei suoi difetti viene criticato; quando riconosce i suoi limiti e suoi errori viene esaltato. Lo stesso succede agli allenatori: quest’anno la resurrezione di LaMarcus Aldridge a San Antonio è nata da un’ammissione di colpa di Gregg Popovich per aver peccato di overcoaching e averlo snaturato eccessivamente. Kidd, in questo, è l’opposto di Popovich: mette sempre il suo operato su un piedistallo lontano dalle critiche.
Ad esempio nella notte di Santo Stefano, dopo una serie di cinque sconfitte in sette partite di cui quattro contro squadre fuori dalla lotta ai playoff, e di cui due in casa contro i Bulls - ripeto: due sconfitte, in casa, contro i Chicago Bulls - Kidd si è presentato davanti ai microfoni decisamente sulla difensiva, facendo notare la carta d’identità del suo roster nonostante i Bucks abbiano l’undicesima età media più alta della lega (se invece si fa una media pesata sui minuti giocati, si scende solo all’ottavo posto per giovinezza, nonostante i tantissimi minuti giocati da Antetokounmpo). I reporter e gli inviati non se la sono bevuta e hanno chiesto quando arriverà il momento in cui i Bucks potranno smettere di affidarsi a quella scusa.
La risposta di Kidd: “Non ci stiamo affidando a quella scusa, è la verità. Voi giornalisti potete scrivere che siamo un superteam, che siamo forti e che abbiamo una nostra versione dei Big 3. Ma siamo una squadra giovane che sta imparando a giocare con aspettative un po’ troppo alte.” E ancora: “Occorre capire che nessuno in quello spogliatoio ha mai vinto niente, così dobbiamo imparare a vincere come una squadra. Ci saranno serate come questa in cui dovremmo fare un maggior sforzo in difesa [yay, ancora più blitz! ndr] e stasera non lo abbiamo fatto”.
Sempre a proposito di aspettative messe troppo in alto dai giornalisti (secondo Kidd), metto qui in modo completamente casuale il suo intervento al Media Day in cui annunciava che, se Giannis avesse avuto una stagione super (cosa che sta attualmente facendo), i Bucks avrebbero dovuto ritrovarsi a quota 50 vittorie.
Per quanto riguarda l’effort difensivo, ci si può fidare del giudizio degli addetti ai lavori, anche se sembra piuttosto bizzarro che tutti gli eccellenti giocatori difensivi a roster dei Bucks si ritrovino improvvisamente senza stimoli difensivi. Ricordate tale Matthew Dellavedova cui i Cavaliers avevano affidato la marcatura in solitario di un MVP in carica in una serie di finale? In ogni caso pare che il problema delle energie sia davvero probante nel Wisconsin, tanto che ad ogni sconfitta pare essere una scusa valida sia che si giochi contro i Bulls (allora ultimi in classifica), sia che accada contro i Celtics primi della classe. Verrebbe quasi da chiedersi come possa una squadra così giovane (sic) che dimostra così tante mancanza di energie (ri-sic) debba giocare per forza con uno stile difensivo così impegnativo.
Un altro caso eclatante è quello del 23 dicembre contro gli Hornets: dopo essere andati a riposo con un punto di vantaggio e aver iniziato il terzo periodo con un parziale di 19-2, gli Hornets cominciano a rosicchiare punti fino a trovare un possesso di vantaggio nell’ultimo minuto di gioco. Kidd chiama un timeout per disegnare questo schema da rimessa.
Ricordo che questo è uno schema "ATO", After TimeOut, una rimessa ideata e spiegata in 60 secondi a fine di una partita punto a punto.
Ma in quel caso non furono le energie ad aver tradito i Bucks: con uno slancio di razionalità e autocritica, Kidd incolpò… i troppi falli commessi dai suoi giocatori.
L’ultimo caso in ordine cronologico risale a martedì notte quando dopo una sconfitta con i Miami Heat - in cui Tony Snell ha straccato le retine nel primo tempo con 4/5 da 3 punti per poi non avere nemmeno uno schema chiamato per lui nella ripresa - il nostro non ha mancato di tirare la squadra sotto il bus per salvare la sua pelle: “Nel quarto periodo siamo stati egoisti e nessuno ha fatto una cosa giusta e non esiste intervento di un allenatore in grado di cambiare una cosa del genere [...]. Stiamo parlando di ragazzini, che pensano solo a mettere la palla nel canestro… non esiste allenatore, non esiste nulla che si può fare se non fare esperienza e imparare”.
La pazienza dei tifosi è ormai scaduta da tempo - come quella di alcuni giocatori, come Middleton che è stanco di usare la gioventù come scusa -, e il fatto che la squadra sotto Kidd non sembri migliorare col passare del tempo mentre l’allenatore fa di tutto per difendere la sua posizione non sembra un buon segnale per tutti gli altri. Jon Horst, il GM dei Bucks, sembra comunque soddisfatto dei risultati della sua squadra e difende l’operato del suo allenatore ponendo l’accento su quanto sia un buon maestro tanto per giocatori come Giannis quanto per Thon Maker, sebbene Antetokounmpo nelle ultime due settimane sia in netta regressione e Maker al momento faccia fatica a stare in campo.
Nel mentre Kidd continua a prendere decisioni a bordocampo che risultano enigmatiche: un mese fa nel finale di gara con i Bucks sopra di 3 contro i Cavs ha ordinato a Middleton di sbagliare l’ultimo libero in quanto aveva paura di un potenziale gioco da 4 punti. Prego?
“Gli ho detto di sbagliare il secondo tiro libero. Sono pronto a prendermi il rischio di un loro tiro dall’altra parte del campo, ma se noi segniamo il tiro libero e loro effettuano la rimessa e noi facciamo fallo sul tiratore da 3 punti quello è un gioco da 4 punti. Preferisco vedergli prendere un tiro a tutto campo”.
Kidd, per la verità, non ha mai brillato nelle dichiarazioni davanti ai microfoni: nella notte in cui venne draftato dai Dallas Mavericks annunciò infatti che avrebbe rivoltato la squadra di 360 gradi - quindi riposizionandola esattamente dove era? -, ma a distanza di quasi 25 anni ci si augura che oggi possa almeno fare delle dichiarazioni che non causino imbarazzo a chi gli siede a fianco. Altri casi di “demenza senile improvvisa” sono arrivati quando una sera ha fatto giocare Jason Terry 22 minuti dopo che nelle precedenti 18 partite aveva giocato per 36 minuti complessivi: “Ho sempre creduto nel fatto che i tuoi veterani inizino a giocare a dicembre. Questo per noi è dicembre quindi da adesso inizierà a giocare”. (Ndr: Questa dichiarazione è stata rilasciata il 28 novembre. Ndr2: Nelle successive 23 partite Jason Terry ha giocato a malapena 5 volte andando solo una volta oltre i 10 minuti di impiego).
La sera prima di quella stessa partita la sua dubbia gestione delle rotazioni era già salita alla ribalta, dato che un infortunio a Middleton aveva dato la possibilità di scegliere se far giocare in quintetto Tony Snell (41% da 3 in entrambe le sue stagioni a Milwaukee) o Gary Payton II (14% da 3 in carriera). I dubbi sulle scarse capacità di spaziare il campo dei suoi erano stati fatti notare dai giornalisti: “Non si può perdere una partita nei primi 3 o 4 minuti, e mentre passa il tempo si inizia a capire chi sta andando bene. Snell ad esempio stava facendo bene nel primo tempo contro Utah e quindi è partito in quintetto nel secondo tempo” (Ndr. Dopo sei imbarazzanti apparizioni da titolare, la dirigenza ha dovuto tagliare Gary Payton II per impedire a Kidd di farlo giocare al posto di Malcolm Brogdon).
Oppure, la mia preferita: quando gli hanno chiesto perché avesse deciso di mandare intenzionalmente Reggie Jackson in lunetta (86% ai liberi in carriera) con i Bucks sopra di 4 punti a 10 secondi dalla fine: “Stavano cercando di giocare dei possessi rapidi da due punti per risparmiare i loro timeout, quindi ho deciso di giocare io al gioco dei tiri liberi con loro. Credo che i miei ragazzi segneranno i tiri liberi, basta che loro ne sbaglino uno e funziona. Comunque vada è un gioco di tiri liberi, ma vogliamo essere noi a mandarli in lunetta”.
Quindi per evitare di far segnare i Pistons velocemente li ha mandati in lunetta per farli segnare ancora più velocemente a cronometro fermo, convinto che loro non ruberanno palla sulla rimessa, faranno fallo e i suoi giocatori segneranno tutti i loro liberi invece di, non saprei, difendere un’azione e far consumare cronometro agli avversari?
Non all’altezza delle aspettative
Giannis Antetokounmpo sta avendo una stagione sbalorditiva, compiendo l’ennesimo balzo in avanti della sua ancora acerba carriera. Le sue scorrazzate offensive sono accompagnate da un gioco difensivo che potenzialmente ha pochi eguali al mondo, capace com’è di contenere anche le ali più esplosive e volare sopra ai lunghi più atletici per proteggere il ferro. Sta viaggiando a medie da 28 punti, 10 rimbalzi, 5 assist, e 3 tra stoppate e rubate, con un’efficienza dal campo stellare - ma la sua candidatura a MVP cadrà di nuovo nel nulla a causa di una squadra non all’altezza di competere.
Se hai un giocatore del genere, accompagnato da altri due giocatori nel loro prime e altri veterani, non puoi sperare che le aspettative siano ferme a un record vagamente positivo e a una comparsata di uno-massimo-due turni ai playoff. I Bucks devono mostrare dei tangibili miglioramenti da un anno rispetto all’altro, ma per ora faticano anche ad avere continuità di rendimento.
Le rotazioni di Kidd sono enigmatiche, e spesso costringono la dirigenza a forzare le cose. Come già scritto del caso Gary Payton II così è successo per DeAndre Liggins, fresco di taglio, che si è ritrovato troppi minuti rispetto a quelli che meritava sul serio. A volte Giannis gioca i primi 18 minuti della ripresa e riposa in 3 degli ultimi 5; è già a quota 1.600 minuti giocati in stagione - a gennaio!- e a volte invece riposa per interi quarti. Jason Terry entra ed esce dalle rotazioni con una casualità unica. Quando Greg Monroe era ancora in squadra, Milwaukee utilizzava una rotazione a tre centri, quando nel resto della lega si cerca di avere rotazioni ad un centro solo. Malcolm Brogdon, il rookie dell’anno in carica, si è visto passare davanti nelle rotazioni a turno Sterling Brown, Rashad Vaughn, Matthew Dellavedova, Sean Kilpatrick, Jason Terry e Gary Payton II, tutte situazioni estemporanee, durate una o due gare al massimo e poi tornate nel dimenticatoio.
Con tutte le possibilità che avrebbero di giocare piccoli, i Bucks potrebbero sbloccare le potenzialità di Giannis come centro da small ball definitivo, in grado di guidare egli stesso la transizione affiancato da tiratori e difensori atletici. Ma dei suoi 1.600 minuti in campo solo 33 (circa il 2%) sono stati giocati senza uno tra John Henson, Thon Maker o Greg Monroe al fianco. Ha passato più tempo in campo con gente destinata alla G-League piuttosto che nell’unico vero ruolo in cui la convivenza con Jabari Parker sembra possibile, quando l’ex Duke rientrerà dall’infortunio. Non è facile trovare equilibrio con cambiamenti repentini ed improvvisi, e la facilità con cui i giocatori entrano ed escono dai cinque titolari è sicuramente un deterrente all’amalgama della squadra. E ancor di più se le spiegazioni date dal coach sembrano meno sensate di Wynona Ryder che racconta di come le luci di Natale gli abbiano detto che il proprio figlio si trova in un’altra dimensione.
Ogni giorno che passa le scuse valide per aspettare che una tanto sperata maturazione di Milwaukee arrivi si fanno sempre più deboli: i Bucks hanno le carte in regola per essere una delle migliori difese della lega e una delle migliori squadre ad Est, ma al di là dei propri demeriti e della forza altrui, hanno bisogno più che mai di un allenatore che ne esalti le caratteristiche. Il roster non migliorerà magicamente da un giorno all’altro, ci sono ancora troppi contratti ingombranti difficili da smuovere (Teletovic e Dellavedova su tutti) e alcune scelte sono già state sacrificate per assicurarsi il nucleo attuale.
Se un miglioramento può essere fatto, deve sicuramente arrivare dallo spogliatoio, ma sembra difficile che possa arrivare da una persona più interessata alla sua reputazione che ai miglioramenti della propria squadra. Credere che i Bucks siano troppo giovani per vincere qualche partita in più va solo contro di loro: prima di tutto perché non è un concetto corretto, come già visto; e in secondo luogo perché non si può sperare che una finestra del genere resti aperta all’infinito. La costruzione di una franchigia NBA è un processo molto delicato e basta un infortunio, una litigata, qualsiasi battito d’ali di farfalla per mandare tutto all’aria e rovinare prospettive pluriennali.
Jason Kidd ha un futuro come allenatore NBA e anche lui può migliorare e crescere professionalmente, ma non è palesemente in grado di guidare Milwaukee verso quel salto in avanti che ci si spetta loro, e per il bene di entrambe le parti il loro rapporto dovrebbe finire il prima possibile.