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NBA, Isaiah Thomas contro tutti: "Non è colpa mia se difendiamo male"

NBA

Lo scontro con Kevin Love, le mancanze difensive, la pessima selezione di tiro: sono tante le cose che vengono imputate a Isaiah Thomas e alle quali il numero 3 ha voluto rispondere: "Mi criticano per i miei tiri? E allora perché mi hanno voluto portare a Cleveland?"

A Cleveland le cose non vanno per il meglio, anzi. Lo sceneggiatore che chiaramente sta tirando le fila della stagione dei vice-campioni NBA ha deciso di aggiungere un ulteriore colpo di scena. La vittoria contro i Pacers infatti non ha allentato le tensioni all’interno dello spogliatoio, con le ultime dichiarazioni di Isaiah Thomas utili soltanto a creare l’ennesima spaccatura. Per far chiarezza, bisogna mettere in ordine un paio di date. Il 20 gennaio i Cavaliers incassano 148 punti dai Thunder, con Kevin Love uscito dopo tre minuti causa infortunio e fuggito via dall’arena ben prima del termine della sfida. Il giorno dopo all’allenamento il numero 0 non c’è e così, al suo ritorno durante il meeting organizzato di lunedì per discutere dei problemi della squadra, viene fuori anche il suo nome. In molti dicono che a farlo sia stato Thomas, piccato per la sua assenza e mai completamente in sintonia con l’All-Star dei Cavaliers: “La verità è che io non ho detto nulla contro di lui. Gli ho chiesto soltanto come mai non fosse alla partita a supportare i compagni. Ma una volta finito, non sono tornato a puntargli il dito contro. Per questo tutti i report che hanno sottolineato la cosa in realtà sono sbagliati, non c’è stato nessuno scontro tra di noi. Volevo sapere perché non c’era, ma non volevo colpire o insinuare nulla”. Si difende così Isaiah, ma a far discutere c’è anche quanto successo nel match contro i Pacers. Love dopo aver catturato un rimbalzo difensivo, si è piegato con fare sprezzante verso Thomas porgendogli il pallone quasi a dire ‘Tieni, visto che lo desideri così tanto, prendilo pure un’altra volta’. Speculazioni, o magari semplice suggestione dovuta a quanto venuto fuori da un spogliatoio in fermento. “Nessuno però ha fatto caso al mio sorriso, a come io ridessi dopo quel passaggio? Ripeto, non c’è nulla di irrisolto tra noi due. Volevo capire la situazione, sapere perché aveva deciso di andarsene a casa e nulla più. Si stanno facendo delle insinuazioni molto più grandi rispetto alla realtà dei fatti. Vogliono disegnare una sorta di scontro tra noi a tutti i costi. Per questo bisogna mettere in chiaro che tutto quello che è stato scritto è falso”.

“La difesa non ha mai funzionato, anche quando non giocavo”

Caso chiuso? Neanche per sogno, visto che Tristan Thompson ci ha tenuto a sottolineare prima dell’ultima partita contro Indiana che a lui non interessa che tipo di rapporti ci siano nello spogliatoio: “L’importante è parlare, andare d’accordo e non creare problemi sul parquet”. Il riferimento è chiaro, nonostante quanto raccontato da Thomas durante un’intervista arrivata dopo che per due volte era sfuggito alle domande post-partita. In una settimana in uno spogliatoio come quello dei Cavaliers si accumulano un bel po’ di sassolini nelle scarpe, a partire dalle critiche ricevute riguardo il suo modo di difendere: “Siamo stati tra le peggiori squadre difensive della lega sin dall’inizio dell’anno e io sono stato fuori a lungo. Adesso che sono rientrato però, i problemi nella nostra metà campo sono diventati tutti colpa mia. La vita non è giusta nel giudicarti. Mi viene da ridere ascoltando questi discorsi perché so bene che in questo spogliatoio e nell’organizzazione tutti credono nei propri compagni. Sappiamo che l’obiettivo è riuscire a essere in campo anche a giugno: quello è il traguardo da raggiungere”. Il rating difensivo dei Cavaliers con lui in campo tocca vette preoccupanti (117.1 punti subiti su 100 possessi), ma il 109.8 di squadra resta una zavorra non dovuto soltanto alla mancata applicazione del numero 4. Fa riflettere come una polveriera come quella di Cleveland riesca nell’impresa di trasformare in meno di dieci partite il giocatore che doveva essere la speranza per il riscatto in un peso morto da scaricare, scambiare prima della deadline di febbraio o magari relegare in panchina. “Sarebbe una scelta da disprezzare”, liquida l’opzione il diretto interessato, forte anche del parere di coach Lue che evita qualsiasi ulteriore polemica con un secco no.

"Qualcuno si lamenta dei miei tiri? Non mi hanno visto giocare negli ultimi anni?"

Il meeting della settimana scorsa poi non sembra aver avuto l’effetto sperato: “I problemi che abbiamo sul parquet sono molto più grandi di quelli di cui abbiamo discusso guardandoci negli occhi. Dobbiamo capire come diventare una squadra più efficace in difesa, come evitare di diventare stagnanti in attacco nel quarto periodo. Queste sono questioni molto serie: non penso che le chiacchiere riescano in qualche modo a renderci migliori”. I risultati personali raccolti in campo non aiutano. Dopo il 13/25 al tiro nelle prime due partite, è poi arrivato il 35/98 (35.7%) nelle successive sette. Il rapporto tra assist e palle perse è il peggiore messo a referto in carriera: nonostante non sia mai stato un giocatore che ha fatto del playmaking e della distribuzione la sua opzione primaria, raramente Thomas era stato così maldisposto a passare il pallone. I maligni, e forse anche alcuni compagni, hanno già la loro teoria. Le sue scelte di tiro infatti sono certamente dovute al rinnovo che ci sarà la prossima estate, in cui Thomas andrà a caccia di un bel contratto. Tirare e fare punti per lui è dunque un interesse personale per mettersi in mostra, per far capire che è sempre quello dello scorso anno e guadagnare di conseguenza più soldi. E questa è un’altra cosa che lo spogliatoio non sembra digerire., secondo quanto confermato anche da Jason Lloyd: la sua selezione di tiro sta facendo arrabbiare i compagni di squadra, oltre che il pubblico di casa che, infastidito dai ripetuti errori nel finale contro i Pacers, ha iniziato a fischiare dopo i suoi tiri sbagliati. Critiche che il diretto interessato rispedisce con forza al mittente: “Se c’è qualcuno che è preoccupato dalla mia selezione di tiro, vuol dire che evidentemente non mi ha visto giocare negli ultimi anni. È l’unica cosa sensata che posso dire riguardo queste voci. Se qualcuno è perplesso dalle mie scelte, perché questa franchigia ha messo in piedi una trade per portarmi qui? Per non farmi tirare? Per non darmi la possibilità di entrare in ritmo? Non vogliono che io sia Isaiah Thomas? Non posso essere nessun’altro. Chiunque abbia detto una cosa simile, cosa crede che sia venuto a fare qui se non per segnare e creare gioco dopo essere rimasto per sette mesi a guardare”.

"Non sto bene, se solo recuperassi fisicamente al meglio…"

Patti chiari, amicizia lunga. Ma il problema è riuscire ad avere degli amici in uno spogliatoio dentro il quale il padrone non fa sentire la sua voce. Il silenzio di LeBron James riguardo la situazione resta l’aspetto più preoccupante. Un atteggiamento che si presta a una doppia lettura: James è disinteressato perché pensa già al suo futuro lontano da Cleveland? O resta in silenzio perché qualora aprisse bocca distruggerebbe il fragile equilibrio che si è creato? Thomas nel frattempo punta prima di tutto al pieno recupero a livello fisico, senza il quale diventa impossibile allineare tutto il resto: “Non sto bene come vorrei, non sono in forma. E devo affrontare questi problemi dopo essermi calato in una nuova realtà. Sono un giocatore che ha sempre il pallone in mano, che detta le regole del gioco e questa è una cosa che deve trovare il proprio spazio all’interno del gruppo. L’obiettivo è capire come utilizzare la forza di tutti e convogliarla in maniera positiva, per far sì che tutto funzioni. C’è bisogno di tempo, anche perché io non sono ancora tornato a essere quello della passata stagione”. Le cariche di dinamite sono già state posizionate e la miccia sta via via diventando sempre più corta, ma non è ancora il momento di mandare tutto all’aria. “Non bisogna farsi prendere dal panico. Nessuno in questo spogliatoio lo ha fatto, a differenza di quelli che stanno sulla soglia della porta ad aspettarci. Un atteggiamento condivisibile, visto che noi dobbiamo rendere conto a loro di quanto facciamo in campo. L’unica cosa che noi possiamo fare è continuare a spingere sull’acceleratore, a stringere i denti e a far sì che tutto funzioni. Alla fine di tutto a fare la differenza è la voglia e la capacità di lavorare duro”. Anche se mettere insieme i cocci adesso sembra un’impresa impossibile.