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NBA, a Ovest è sfida tra D’Antoni e Kerr: due menti che Steve Nash conosce molto bene

NBA

Il due volte MVP NBA ha giocato per anni al servizio di coach Mike D'Antoni nella Phoenix del "seven seconds or less" (con Steve Kerr gm nel 2007-08) e da tre anni è consulente dei Golden State Warriors. Chi meglio di lui per presentare la finale della Western Conference?

Sulla panchina delle due squadre che da lunedì notte si contenderanno il titolo della Western Conference e un posto in finale NBA ci sono quelle che Steve Nash – due volte MVP NBA – considera “due grandi menti e due persone fantastiche”: Mike D’Antoni a capo degli Houston Rockets, Steve Kerr alla guida dei Golden State Warriors. Nash li conosce benissimo entrambi: per il primo ci ha giocato a lungo, con la maglia dei Phoenix Suns, dal 2004 al 2008, proprio gli anni culminati con il doppio titolo di MVP NBA, tante vittorie ma nessun successo. L’ultima stagione di D’Antoni nell’Arizona è anche stata la prima con Steve Kerr come general manager, ma la conoscenza tra Nash e l’attuale allenatore degli Warriors si è poi approfondita nell’ultimo triennio, quando il canadese è stato assunto come consulente speciale proprio da Golden State. Se Nash, in campo, è stato per anni la scintilla capace di innescare uno degli attacchi più prolifici e più spettacolari che la NBA moderna ricordi, oggi la finale di conference a Ovest viene presentata proprio così, come il duello tra due grandi attacchi (Warriors e Rockets primi e secondi nella lega per efficienza offensiva durante la stagione regolare, 112.3 contro 112.2 punti per 100 possessi) – e due diversi sistemi offensivi. “Ci sono delle differenze, certo – dice Nash – perché l’attacco di Houston gioca molti più isolamenti mentre quello di Golden State contempla set offensivi presi dall’attacco Triangolo e molte più situazioni che si sviluppano in post medio o al gomito, con spaziature diverse e più tagli”. Gli isolamenti che oggi D’Antoni concede a Chris Paul e James Harden non facevano parte dello stile di gioco neppure dei suoi Suns, “innanzitutto perché CP3 è una delle migliori point guard del mondo in quei frangenti” e poi perché “fisicamente Harden rispetto a me è molto più forte e può gestire meglio quel tipo di situazioni”. Un’altra cosa diversa, tra il passato di Nash e il presente NBA, è anche nel semaforo verde dato alle point guard nella lega attuale: se Steph Curry tira quasi 17 volte a sera e James Harden va oltre i 20 tentativi, Nash – uno capace di chiudere più annate NBA sopra il 50% dal campo, il 40% da tre punti e il 90% ai liberi, testimonianza ultima di eccellenti doti balistiche – non è andato sopra i 12.37 tiri a sera con D’Antoni in panchina ai Suns: “Con il senno di poi possiamo dire che forse avrei dovuto tirare di più [glielo ripeteva spesso già Don Nelson a Dallas, ndr] ma la lega e la pallacanestro in generale a quel tempo non erano pronte per quel tipo di attacco: la convinzione era che non si potesse vincere tirando così tanto da tre punti. Oggi invece si realizza che non abbiamo tirato abbastanza”.

L’influenza dei Phoenix Suns di D’Antoni e Nash

Oggi Nash quindi guarda da spettatore interessato la sfida tra Rockets e Warriors, due squadre che devono molto alla sua Phoenix dei “seven seconds or less”, un sistema offensivo che predicava ritmo alto e tanti canestri. “Fa piacere, certo, perché di sicuro abbiamo lasciato un’impronta sullo stile offensivo della lega ma allo stesso tempo i titoli che ci sono sfuggiti non ritornano certo indietro”, commenta amareggiato Nash, riferendosi al triennio dal 2005 al 2007 in cui i Suns sono sembrati vicinissimi a poter vincere quell’anello poi invece sempre sfuggito. Da molti considerati avanti sui tempi, incarnazione di una pallacanestro futuristica che il mondo non era ancora pronto ad accettare e comprendere, quei Suns secondo Nash non vivevano quella realtà nello stesso modo: “Non pensavamo di essere il futuro del gioco. Semplicemente giocavamo con lo stile che poteva permetterci le più alte possibilità di successo visto le caratteristiche del nostro roster: con una point guard creativa [Nash] e nessun centro tradizionale, ingaggiare un match di wrestling con i nostri avversari non avrebbe avuto molto senso”. “Questa – conclude Nash – è forse la caratteristica migliore di Mike, la sua intuizione più brillante: è capace di adattare e aggiustare il proprio stile di gioco alle caratteristiche dei suoi giocatori e a tirare fuori il meglio dal gruppo che allena”. Gli Houston Rockets 2017-18, la versione più vincente di sempre nella storia della franchigia texana, sono lì a dimostrarlo per l’ennesima volta. Ma tutto passa attraverso le vittorie nei playoff e i Golden State Warriors di Steve Kerr e del consulente Steve Nash. Il destino, a volte, è davvero beffardo.