Dopo essere stato protagonista di una carriera liceale strepitosa alla Simeon HS (la stessa di Ben Wilson e Derrick Rose) l'ala ex Bucks torna nella sua Chicago firmando con i Bulls. Che credono nel suo recupero ma hanno in mano la team option sul secondo anno dell'accordo
Jabari Parker torna a casa. I Chicago Bulls hanno reso ufficiale di aver messo sotto contratto per due anni alla cifra di 40 milioni di dollari complessiva (il secondo anno l’opzione è in mano alla squadra) l’ala ex Milwaukee Bucks, che è nato e cresciuto cestisticamente nella città dell’Illinois. Da ragazzo infatti Parker si è conquistato il titolo di talento liceale n°1 di tutta America guidando per 4 anni al titolo statale Simeon High School, una scuola che a Chicago ha una ricchissima tradizione che parte da Ben Wilson (tragicamente ucciso prima che potesse portare il suo talento nella NBA) e arriva a Derrick Rose (2 titoli statali consecutivi per lui, un record complessivo di 120 vittorie e solo 12 sconfitte). L’ex giocatore dei Bucks viene quindi accolto a Chicago come una sorta di figliol prodigo di ritorno a casa, e la seconda scelta assoluta al Draft del 2014 (23 anni compiuti da poco) sembra potersi inserire alla perfezione in un quintetto che vede Kris Dunn e Zach LaVine in guardia e Lauri Markkanen e il rookie Wendell Carter Jr. a completare il lineup. Ci sono però un paio di pesanti perplessità ad accompagnare l’arrivo di Parker a Chi-town. La prima dovuta al fatto che il prodotto di Simeon HS è reduce da due operazioni al crociato anteriore del suo ginocchio sinistro, un doppio infortunio che gli ha permesso di scendere in campo in sole 183 partite nelle sue prime quattro stagioni NBA (183 presenze su 328 gare disponibili). La seconda invece è prettamente tecnica e ha a che fare con la volontà di coach Hoiberg e della dirigenza di provare a inserire Parker nello spot di ala piccola in quintetto, un ruolo dove però ha giocato fin qui poco (solo il 15% dei possessi nei quattro anni in maglia Bucks, in cui l’85% delle volte ha agito da numero 4) e con risultati disastrosi. Possibile allora che il quintetto di cui sopra possa cambiare in corsa e vedere Parker da 4 (magari con Markkanen da 5 tattico) e il rookie Carter Jr. retrocesso almeno inizialmente in panchina a guidare un interessante coppia con Bobby Portis Jr..
Il rischio infortuni, la team option per cautelarsi
Prima ancora dei dilemmi tattici, il timore più grande che circonda l’arrivo di Parker ai Bulls è dovuto però alla sua capacità di recuperare fisicamente appieno dalle due operazioni subite. Dopo aver saltato le prime 50 gare della scorsa stagione, nelle prime 21 in campo Parker ha prodotto soltanto 11 punti di media con 4.1 rimbalzi e 1.9 assist. Le cifre però sono vertiginosamente aumentate ad aprile, anche se solo su un campione ristrettissimo di sei partite: per lui 19.5 punti, più di 8 rimbalzi e due assist di media con ottime percentuali al tiro, il 49.5% dal campo e perfino il 45.8% da tre (un’arma che Parker sta cercando di aggiungere al suo repertorio, il cui dato percentuale annuale – il 38.3% - sembra riflettere costanti miglioramenti). Se Parker riuscisse a restare su questi livelli – quelli in pratica della sua miglior stagione NBA, il 2016-17, chiusa con oltre 20 punti, 6 rimbalzi e quasi 3 assist di media – Chicago potrebbe aver fatto un buon colpo limitando al massimo i rischi dell’investimento, visto che l’opzione in mano alla coppia Gar Forman-John Paxson di rinnovare o meno il secondo anno dall’accordo (e i 20 milioni del contratto) concede ai Bulls la libertà di continuare a investire sul giocatore solo se la prossima stagione avrà dato indicazioni chiare in merito alla sua possibilità di tornare a tutti gli effetti il talento che l’America ha conosciuto prima al liceo e poi nell’unica sua stagione collegiale a Duke. La possibilità di inserire la team option all’interno del nuovo contratto tra Bulls e Parker è il frutto di un gentlemen’s agreement con i Milwaukee Bucks, che ritirando la qualifying offer che avrebbero potuto offrire al giocatore lo hanno di fatto reso un unrestricted free agent, permettendo così a Chicago di inserire l’opzione a proprio favore in un accordo che altrimenti non l’avrebbe potuta contemplare. In un lungo articolo del 2016 pubblicato sul sito The Players’ Tribune, Jabari Parker aveva scritto di proprio pugno una sorta di dichiarazione d’amore alla città di Chicago, la sua città, parlando apertamente del desiderio di poterci tornare a giocare nel corso della sua carriera e impegnandosi a lavorare attivamente nelle comunità locali per provare a risolvere il cronico problema della violenza che imperversa nella città dell’Illinois.
Le reazioni in giro per la lega
Proprio da Chicago arrivano due delle tante reazioni che la firma di Parker ha scatenato nella lega: Zach LaVine, che sarà suo compagno di squadra in maglia Bulls, lo accoglie su Twitter con un classico “Bentornato a casa”, seguito da un’esortazione: “Chicago, let’s do this” (andiamo!) mentre uno che come l’ex Bucks a Chicago ci è nato, cresciuto e poi è riuscito (seppur brevemente) a tornarci da giocatore NBA con la maglia dei Bulls – Dwyane Wade – non ha mancato di far sentire il suo supporto: “Sono felice che un ragazzo di Chicago torni a casa: congratulazioni a Jabari Parker e ai Chicago Bulls per aver reso realtà questo sogno”. Che proprio due anni fa era anche il suo, anche se poi Wade – dopo una stagione con i “tori” – ha vestito altre due canotte NBA, quella dei Cavs e quella degli Heat.