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NBA, vincitori e perdenti sul mercato dei free agent

NBA

Dario Ronzulli

Marcus Smart, Jusuf Nurkic, Nikola Jokic e Devin Booker (foto Getty)

Chi ha strappato il contratto migliore sul mercato NBA? Chi si è dovuto accontentare di un accordo al ribasso per evitare guai peggiori? E chi è rimasto ancora nel limbo? Tracciamo un bilancio dei migliori e dei peggiori affari per i free agent 2018

TUTTI GLI AFFARI CONCLUSI - I FREE AGENT ANCORA SENZA CONTRATTO

L'estate 2018 è già entrata nella storia del mercato NBA. La firma di LeBron James ai Los Angeles Lakers ha ovviamente monopolizzato tutte le attenzioni di tifosi, appassionati e addetti ai lavori e ha finito per inghiottire mediaticamente tutto il resto. Ma se il rinnovo di Paul George con i Thunder, quello di Chris Paul con i Rockets e la firma di DeMarcus Cousins con gli Warriors hanno comunque trovato il loro spazio, per altri non è stato così.

Facciamo “giustizia” allora, analizzando i movimenti degli altri free agent alla ricerca dei vincitori e degli sconfitti, di chi ci ha guadagnato e di chi ha perso o semplicemente è rimasto per ora al palo. Fermo restando che, come sempre, solo il campo è giudice supremo e senza dimenticare soprattutto che la maggior parte degli accordi è di durata annuale. Contratti del genere sono stati convenienti sia per le dirigenze che per i giocatori, dal momento che nel 2019 il salary cap si innalzerà e ci saranno più soldi da gestire e più squadre che si presenteranno sul mercato dei free agent con spazio da gestire.

And the Winners are...

DeAndre Jordan, annuale con i Dallas Mavericks a 25 milioni

Se non esce vincente lui da questa free agency… In un colpo solo il texano molla dopo dieci anni i Clippers, con i quali evidentemente non aveva più granché da spartire, prende gli stessi soldi che L.A. gli avrebbe garantito (e non era scontato che qualcun altro glieli desse, anzi) e ha comunque la possibilità il prossimo giugno di guardarsi intorno. Il tutto con un matrimonio sempre in Texas, ma non nella natia Houston bensì a Dallas: quella Dallas che nel 2015 l’aveva praticamente preso prima che Jordan cambiasse idea spinto dai compagni di allora Paul e Griffin. Ora i Mavs hanno due giovani molto più che rampanti come Smith Jr. e Doncic e un rim protector di assoluto livello: per un coach di grande intelligenza cestistica come Rick Carlisle c’è da sfregarsi le mani.

Devin Booker, quinquennale con i Phoenix Suns a 158 milioni

A 22 anni il prodotto di Kentucky è reduce dalla sua miglior stagione (26 punti, 4.7 rimbalzi e 4.9 assist su 36 minuti) pur avendo giocato meno partite per motivi di infortuni e di tanking, ed è già un punto fermo della franchigia tanto da aver avuto il massimo dell’offerta possibile dopo che il suo contratto da rookie è scaduto. Non solo: i Suns hanno aperto il portafoglio anche per spegnere qualsiasi malumore dovuto alla rinuncia di Tyler Ulis, amicone di Booker. Un contratto migliore per il nativo di Grand Rapids era pressoché impossibile da ottenere: ora dovrà mostrare sul campo di meritare la fiducia incondizionata di Phoenix (che avrebbe potuto rinnovarlo tra un anno mantenendo lo spazio salariale per un max contract) e, insieme al numero 1 del Draft Deandre Ayton, prendere i Suns e portarli quanto prima su vette luminose.

Nikola Jokic, quinquennale con i Denver Nuggets a 148 milioni

Non importa sforare il tetto, non importa dilagare oltre il limite della luxury tax. Tenere il serbo - e anche Will Barton, altro per il quale Denver non ha badato a spese - era la priorità assoluta per i Nuggets, tanto da proporgli il rinnovo anche prima della canonica mezzanotte dell’1 luglio. D’altronde non è proprio semplicissimo trovare un centro 23enne che è nella top 15 sia nei rimbalzi che negli assist. Per Jokic, che da quando ha messo piede sui parquet NBA ha avuto una crescita spaventosamente costante, questo contratto rappresenta il meglio sia per il conto in banca che per l’aspetto tecnico, anche se ora è atteso uno step mentale ulteriore.

Aaron Gordon, quadriennale con gli Orlando Magic a 84 milioni

Voleva il massimo salariale e non ci è andato lontano. La 2017-18 è stata decisamente la miglior stagione in carriera del nativo di San Josè, nonostante una seconda parte in calo: ha tirato di più e meglio, ha segnato di più, pur giocando più lontano da canestro non ha calato il suo rendimento a rimbalzo, ha servito di più i compagni, ha migliorato le letture difensive. E giustamente ha provato a passare all’incasso. Ha rinunciato ad una quindicina di milioni pur di proseguire il suo rapporto con Orlando. E ai Magic, ovviamente, va benissimo così.

Lance Stephenson, annuale con i Los Angeles Lakers a 4.5 milioni

Quasi un miracolato, parliamoci chiaro. Una vita a fare il casinista, a far passare nella tua testa che sei l’anti LeBron e poi eccoti qui, a giocarci con LeBron. La “rivalità” con il Prescelto ha toccato il punto più alto nel 2014 con la soffiata all’orecchio, per nostra fortuna arrivata già nell’era dei meme. È stato anche il punto più alto della carriera di Lance che poi ha girovagato per l’NBA cambiando 6 squadre in 4 stagioni, vittima degli infortuni e del suo caratterino. Adesso la chiamata alla corte del Re, voluto - o quantomeno sopportato - dal Re: cosa poteva esserci di meglio per “Born Ready”?

Kentavius Caldwell-Pope, annuale con i Los Angeles Lakers a 12 milioni

Strettamente collegato all’accordo con Stephenson c’è il rinnovo con l’ex Pistons: perché KCP - giocatore stabilmente in doppia cifra ma ancora non un tiratore affidabile, specialmente dall’arco: basti pensare che il 38% dell’ultima annata è il suo miglior dato - ha lasciato ai Lakers quasi 6 milioni rispetto al precedente contratto, utili per prendere appunto Lance. Possiamo parlare di uno scambio di favori tra la franchigia gialloviola e uno dei giocatori della scuderia di Rich Paul, agente di LeBron. Chi ne beneficia in toto è Caldwell-Pope, che mette nel curriculum un anno giocato con James e potrà passare all’incasso l’anno prossimo se i Lakers volessero confermarlo.

Dante Exum, triennale con gli Utah Jazz da 33 milioni

Nel resoconto di fine stagione degli Utah Jazz ci chiedevamo cosa la franchigia avrebbe fatto con Derrick Favors e Dante Exum. Se il rinnovo del primo - biennale a 36 milioni - ci può stare a patto di lavorare per diventare molto più produttivo accanto a Gobert, l’accordo a queste cifre con l’australiano lascia perplessi. Perché se è vero che i playoff 2018 di Exum sono stati molto positivi per atteggiamento prima ancora che per numeri (5.1 punti con il 48.8% dal campo in 11.4 minuti di media di utilizzo), la sua condizione fisica resta un grande punto interrogativo. Per Utah una scommessa ponderata o almeno è da credere sia così, per Exum aver convinto la franchigia di Salt Lake City a puntare su di lui una vittoria senza se e senza ma.

Zach LaVine, quadriennale con i Chicago Bulls a 78 milioni

Probabilmente la dirigenza Bulls sa cose che noi non sappiamo. Tipo che l’ex Minnesota quest’estate rimetterà su un efficace tiro dall’arco (34.1% l’ultimo anno, dopo due ottime stagioni ai T’Wolves) o che diventi un difensore vagamente accettabile (114.8 l’ultimo defensive rating, in carriera sempre sopra il 109.5). Diventa altrimenti piuttosto inspiegabile un accordo del genere per un giocatore reduce da due stagioni da 47 e 24 partite. Facile ipotizzare che l’offerta dei Kings - sì, dei Kings… - a LaVine abbia mandato nel panico Chicago e fatto prevalere l’idea che il classe ‘95 possa essere un asset su cui costruire per i prossimi anni. I dubbi sono tanti, dalla condizione fisica dopo l’infortunio al crociato alle doti di leadership. Ma tant’è: LaVine porta a casa un contrattone che gli dà tante responsabilità.

Jabari Parker, biennale con i Chicago Bulls a 40 milioni

Non contenti di aver preso un rischio con il contratto a LaVine, i Bulls hanno raddoppiato firmando Jabari Parker. Talento spaventoso e fragile, Parker torna a casa portandosi dietro due dubbi non da poco: la condizione fisica dopo due interventi al crociato anteriore del ginocchio sinistro e il ruolo. Parker infatti non ha mostrato grande feeling con lo spot di ala piccola trovandosi decisamente più a suo agio da 4, che però nei Bulls è proprietà di Lauri Markannen. Buon lavoro a coach Hoiberg, dunque. Va però spezzata una lancia a favore della dirigenza di Chicago: l’accordo prevede alla fine della prossima stagione una team option, quindi se Parker funziona quest’anno Chicago continuerà a puntarci altrimenti ciao Jabari. Che intanto potrà tornare a respirare l’aria dell’Illinois e con il suo talento provare a prendersi la squadra, magari sull’onda lunga dei buoni playoff fatti con Milwaukee.

And the losers are...

Jusuf Nurkic, quadriennale con i Portland Trail Blazers a 48 milioni

Affarone per i Blazers, che trattengono il loro free agent più importante a una cifra più bassa rispetto al reale valore del giocatore. Che Nurkic potesse ambire a più dollari pareva scontato anche alla luce del rifiuto alla prima offerta, più alta, fatta da Portland. Il bosniaco, determinante per la crescita difensiva del team, invece ha fatto male i suoi calcoli e ha deciso di non rischiare ulteriormente nella prossima estate. E tutto sommato c’è da credere che non sia così dispiaciuto: in Oregon Nurkic si è trovato bene, sia sul campo che fuori, e rinunciare a qualcosa nel conto in banca potrebbe essere ripagato dalla possibilità data alla squadra di muoversi meglio all’interno del salary cap. O, in alternativa, di sacrificarlo più facilmente in qualche trade.

Isaiah Thomas, annuale con i Denver Nuggets a 2 milioni

Da leader indiscusso dei Celtics finalisti ad Est nel 2017 - un anno fa, non una decade fa - a giocatore passato inosservato nel mercato dei free agent. In mezzo un’anca che lo ha tormentato e continua in parte a farlo, spiccioli di partite a Cleveland, qualcosina in più a Los Angeles sponda Lakers. Per Thomas qualcosa di meglio dell’accordo con Denver non c’era: il minimo salariale per un giocatore della sua esperienza in NBA in una squadra che comunque punta ai playoff e che ha in panca un allenatore, Mike Malone, che lo conosce molto bene dai tempi di Sacramento. Non è la prima volta che si ritrova costretto a ripartire dal basso, non è la prima volta che si ritrova tra i “reietti”: risalirà anche questa volta?

Marcus Smart e Clint Capela, ancora a spasso

Entrambi restricted free agent, entrambi rimasti con il cerino in mano rispetto ai loro desiderata pur partendo da situazioni diverse. Smart vorrebbe continuare a essere un Celtic ovviamente alle cifre da lui immaginate ma Boston, ovvero Danny Ainge, non ha fretta. Anche perché per il momento concorrenza vera non c’è: l’interesse di Sacramento - che prenderebbe un giocatore molto più funzionale rispetto a LaVine - pare per ora essere solo a livello di pensiero e non ancora di azione.

È un braccio di ferro che pare destinato a durare ancora, al pari di quello tra Capela e i Rockets. Qui il discorso è puramente legato ai soldi: Capela vorrebbe un contratto che riconosca il suo valore all’interno della squadra e della lega, Houston vorrebbe invece risparmiare il più possibile per motivi di luxury tax e flessibilità. Anche in questo caso il vantaggio tattico è per la franchigia: quale squadra al momento può offrire i soldi che vorrebbe Capela? L’unica rimasta Sacramento, per la quale l’esigenza di un centro non c’è. Al momento la soluzione più probabile sia per Smart che per Capela è quella di giocare la prossima stagione con la qualifying offer e poi andare sul mercato dei free agent nell’estate 2019 cercando di prendersi la rivincita nei confronti di Celtics e Rockets, o forzando la mano per farsi trattenere.