Il secondo anno degli Hornets scopre al momento di entrare sul parquet di non aver indossato la sua canotta n°1 sotto la sopramaglia. E così, invece di scendere in campo, è costretto a tornare di corsa in spogliatoio
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Malik Monk è speciale. Può esserlo in campo – ed è quello che si aspettano da lui il nuovo allenatore degli Hornets James Borrego, il gm Mitch Kupchak fino al leggendario proprietario, Michael Jordan – ma sicuramente lo è lontano dal parquet. Il talento passato da Kentucky University – quasi 20 di media nel suo unico anno al college, prima di essere scelto all’undicesima chiamata assoluta al Draft 2017 – non ha ancora trovato lo spazio necessario per mettersi in mostra nella NBA (solo 13.6 minuti di media da rookie, 6.7 punti di media, nessuna partenza in quintetto) ma ha invece già trovato il modo di farsi notare per altri motivi. Ad esempio attribuendo al suo nuovo mastino napoletano meriti importanti per i suoi miglioramenti in campo: “Mi ha reso più responsabile, è come avere un figlio – dice del suo cane, ribattezzato “Bear”, “Orso” – e questo penso mi abbia migliorato anche come giocatore di basket. Ora sono più puntuale, ad esempio – e l’ho imparato grazie a lui, perché se non arrivo a casa in tempo ha già fatto pipì ovunque”. Che Monk sia fatto tutto a modo suo a Charlotte ne hanno avuto diverse conferme anche durante questo inizio di stagione: durante il training camp, ad esempio, la scelta di coach Borrego di impostare sui 12 secondi (invece che sui normali 24) il cronometro offensivo, ha lasciato molti sorpresi e/o perplessi. Molti ma di certo non Monk: “Mi piace giocare a ritmo alto, per me davvero nessun problema”. Anche perché solitamente la sua azione nasce e muore con una ricezione-e-tiro, da sempre tutt’altro che timido quando c’è da andare alla conclusione. Per fermarlo, nella prima uscita di preseason, contro Boston, ci ha dovuto pensare un infortunio anche questo abbastanza “particolare”, “una contusione alla zona pelvica” che in spogliatoio ha lasciato spazio a sorrisini e illazioni. Ma Monk, tornato in campo già dalla gara successiva, si è poi superato nella sfida vinta contro Miami: all’ordine di coach Borrego di entrare in campo (assieme al n°7 Dwayne Bacon) verso la fine del primo quarto, l’ex stellina di Kentucky si è accorto di non aver indossato la canotta degli Hornets sopra la sua sopramaglia ed è dovuto precipitosamente rientrare in spogliatoio per recuperare la sua n°1. Una figuraccia non degna di un giocatore professionista, ma che a Charlotte, da uno come Monk, quasi sono arrivati ad aspettarsi.