Il lungo percorso di riabilitazione del giocatore dei Celtics è ormai alle spalle, pronto a ripartire da dove aveva lasciato: la prima palla a due della stagione toccherà ancora a Boston, con Hayward sul parquet in cerca di un nuovo inizio in bianco-verde
HAYWARD: "HO RECUPERATO AL 100%, SARO' PRONTO SIN DALL'INIZIO"
Cinque del mattino, la macchina ferma sul vialetto di casa. Un appuntamento come al solito anticipato di una ventina di minuti per avere il tempo di passare da Starbucks, bere un the verde bello pieno di zucchero e poi ritrovarsi per ore in palestra a fare esercizi di riabilitazione. “Credo abbiamo guidato in tutto tre volte – sorride Jason Smeathers, il trainer che proprio come il segretario particolare del signor Burns dei Simpson (i cognomi sono più che assonanti) ha accompagnato Gordon Hayward nel suo percorso di recupero lungo un anno intero. Allenatore, fisioterapista, motivatore, autista, amico. “Nei primi mesi con la gamba immobilizzata si sedeva dietro per stare più largo: ero a tutti gli effetti il suo autista”. Alzarsi e andare in palestra però è stata una conquista che per Hayward è arrivata dopo settimane di completo immobilismo, trascorse a casa con la paura di non poter più recuperare. “La prima precauzione è stata quella di tenerlo lontano dai social network: per dieci persone che ti danno forza infatti, ne basta una per buttarti di nuovo giù di morale”. E riempire le giornate vuote a volte è stata un’impresa titanica, come ben raccontato nella serie “The Return” che ben descrive la monotonia di un lavoro di recupero che passa dalla ripetizione e dalla routine, senza mai abbassare il livello di sforzo e concentrazione. In momenti del genere, giocare ai videogame sembrava una salutare via d’uscita: “Io avevo la X-Box, ma non il computer. Per questo ho chiamato alcuni amici che lavorano al M.I.T. e mi hanno messo a disposizione un PC ultramoderno. La prima volta che Gordon lo ha visto è impazzito: ‘È più veloce e potente del mio’, sembrava un bambino. Questo è il vantaggio di poter essere amici prima ancora che colleghi di lavoro: avere realmente qualcuno che sappia capire il tuo stato d’animo”.
Il ruolo della moglie Robyn e della sua famiglia
“È stato un percorso molto lungo e arduo da percorrere – prosegue Smeathers - per nulla divertente, non solo per lui, ma anche per chi gli è stato vicino. Ma avere attorno qualcuno con cui poter essere onesto, una persona che crede in te e può accompagnarti giorno dopo giorno. Tutti abbiamo lavorato insieme e l’obiettivo per un anno è stato quello di metterlo a suo agio, in qualsiasi step del suo percorso. Robyn e le sue bambine sono state il collante che ha tenuto in piedi Gordon: nessuno riuscirà mai a rendere il giusto merito al loro lavoro in questo doloroso recupero, un enorme sacrificio anche per loro. In pochi conosco il numero delle volte che la sveglia è suonata alle 4.30: tutto per essere in palestra entro le cinque per lavorare e avere poi lasciare del tempo da dedicare alla famiglia. Una pratica non molto divertente, soprattutto quando si parla di riabilitazione, ma l’idea di dover poi restare con la sua famiglia gli dava una carica in più”. Restare immobile davanti la TV a osservare gli altri però è sempre stato qualcosa difficile da digerire, un momento in cui approfittare della carica nervosa e continuare a fare esercizi. Quello preferito da Hayward mentre i Celtics correvano da una parte all’altra sul parquet consisteva nel prendere diversi fogli di giornale, aprirli e ammucchiarli uno sopra l’altro, per poi mettere una mano al centro e provare ad accartocciarli rendendoli una palla che si adatta al palmo della mano. Un’operazione facile soltanto all’apparenza: “Sentivo la mano che mi andava in fiamme”, ma era uno dei tanti modi per evitare di continuare a pensare al basket.
La lontananza dal campo: “Volevo che si sentisse la mia assenza”
Gare di nuoto tra gli allenatori (con testimonianze anche via Twitter), sfide sul parquet in uno contro uno o anche semplici corse contro 41enni sovrappeso come Scott Morrison – assistente dei Celtics in visita in palestra poche settimane dopo che Hayward aveva ripreso a correre. Una competizione più dura del previsto, ma dopo sei mesi un test in cui si viene messi alla dura prova: “È stata la mia prima vera corsa dopo tempo immemore, non potevo perderla”. E alla fine anche quel traguardo è stato raggiunto, mentre sul parquet Boston continuava la sua cavalcata anche senza di lui: “Quando sei a casa, senti egoisticamente il bisogno del fatto che gli altri sentano la tua mancanza. E io ero effettivamente uno che mancava. Ma quando li vedi in campo vincere 16 partite in fila, tutti i pensieri negativi che ti porti dentro vengono fuori. È stato complicato restare ai margini a guardare lo spettacolo”. Adesso invece toccherà dimenticare tutto e ritrovare quella continuità sul parquet che ancora manca, come sottolineato da coach Stevens: “Sin dal primo giorno in cui è tornato in palestra, era chiaro che avesse recuperato alla grande fisicamente. Quello che c’era da ricostruire erano le abitudini, come ricordarsi il giusto momento in cui tagliare in attacco o come muoversi per marcare in uno contro uno un avversario. Sono dei gesti ai quali non pensi mentre corri o quando provi di continuo per mesi gli uno contro uno. Movimenti che vengono fuori quando ti ritrovi di nuovo su un parquet con altri nove giocatori, quella è la confidenza con il gioco che deve acquistare di nuovo. Fisicamente è ok”. Il 17 ottobre 2017 contro Cleveland è iniziato un calvario che terminerà contro Philadelphia il 16 ottobre prossimo. Un anno esatto, il vero inizio con i Boston Celtics.