Dopo la "schiacciata" di Jaylen Brown in testa a Embiid i due non si risparmiano i commenti. Ma il centro di Philadelphia ammette: "Per considerarla una rivalità dobbiamo iniziare a batterli"
All’inizio degli anni ’80 si sono incontrati tre volte in fila in finale di conference: nel 1980, nel 1981 e nel 1983 la squadra regina a Est è sempre uscita dallo scontro Philadelphia contro Boston. Lo stesso è successo ancora nel 1985, sempre in finale, certificando una rivalità nel frattempo diventata storica: due squadre – e due città – che non si amavano, ma che trovavano anche un terreno comune nel disprezzo perfino maggiore per gli avversari della West Coast, quasi sempre i Los Angeles Lakers (da qui la nascita del coro “Beat L.A.”, con cui i tifosi di Boston (sconfitti) finivano per augurare a quelli di Philadelphia (vittoriosi) di prendersi cura in finale degli odiati rivali gialloviola. Sixers e Celtics si sono ritrovati avversari poi ancora nel 2002 e nel 2012, ma l’anno scorso lo scontro si è rinnovato al secondo turno dei playoff, e quest’anno le due formazioni guidate da Brett Brown e Brad Stevens sembrano tra le più accreditate per arrivare fino in fondo a Est. Per questo motivo, da più parti, si è rispolverata la parolina magica: rivalità. Un singolo momento, una singola giocata nella gara d’esordio stagionale di Philadelphia e Boston è sembrata riassumere al meglio il feeling particolare che divide (più che unire) le due squadre. Jaylen Brown lanciato in contropiede vede tra sé e il canestro l’ingombrante e minacciosa presenza di Joel Embiid. “Sapevo che si sarebbe messo sulla mia strada. Ma io avevo cattive intenzioni. Pessime”. Lo si capisce da come stacca, con decisione, quasi violenza, per andare dritto a schiacciare sulla testa del centro dei Sixers. “È quasi riuscito a stopparmi, ma il movimento era troppo potente, e così ho segnato”. “Sì, ma non è una schiacciata. È una stoppata. Gliel’ho presa con due mani, ma ha avuto fortuna e la palla è finita per entrare lo stesso. Tecnicamente quella è una stoppata. Voglio che sappia che di sicuro non è una schiacciata”. Parole di sfida, quasi irrispettose provenendo nello specifico da un avversario vinto (in quello specifico duello personale) e sconfitto (nella sfida di squadra). Un tono che ha fatto pensare a tanti che lo scontro dialettico Brown-Embiid potesse davvero essere la scintilla pronta a far divampare nuovamente un fuoco solo sopito in tutti questi anni. Ma così non è stato. E proprio Embiid ha spiegato il perché: “JJ [Redick] me l’ha fatto notare poco fa: ci hanno battuto 10 delle ultime 12 volte che ci siamo incontrati, o qualcosa del genere. Magari qualcuno può considerarla lo stesso una rivalità ma noi no, se non troviamo un modo di batterli più spesso. Quest’anno sono ancora più forti, dobbiamo salire al loro livello prima di poter parlare di rivalità”.
Jaylen Brown: “Philadelphia? Per noi sono una squadra come altre”
A suo modo anche Jaylen Brown sembra respingere l’idea di rivalità, forse con qualche malizia in più: “Forse più per i tifosi, per noi i Sixers sono una squadra come un’altra”. Un’affermazione che a qualcuno è sembrata un po’ un colpo basso alle rinnovate ambizioni degli avversari: “Hanno molto talento – ha allora specificato il n°7 biancoverde – ma assieme al talento hanno attorno a loro anche tante aspettative. A Est ci sono parecchie squadre buone, forse qualcuna perfino più forte di loro”. Il nuovo general manager di Philadelphia, Elton Brand, la vede un po’ diversamente (“Il livello di talento tra noi e loro non è così diverso”) e così alla fine Jaylen Brown è quasi costretto a tornare a parlare di una rivalità che non vuole riconoscere: “Lo scopriremo vivendo: ci sono ancora tante partite da giocare”. E quelle contro Philadelphia, forse, saranno sempre un po’ speciali.