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NBA, i Cleveland Cavaliers sono più scarsi del previsto senza LeBron James

NBA

Da l'essere quattro volte campioni della Eastern Conference a squadra incapace di vincere anche soltanto una partita nelle prime due settimane: questa la triste parabola di Cleveland, che senza il suo Re fatica a trovare una nuova identità

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“Dobbiamo vincere una dannata partita. Ne basta una, penso che quello permetta di togliere un bel po’ di pressione dalle nostre spalle, garantendoci allo stesso tempo di giocare meglio”. Tyronn Lue sintetizza così il suo pensiero, a margine della sconfitta casalinga contro i Pacers; la sesta subita in altrettante gare disputate. “Penso che la cultura di una squadra non sia dettata dal numero di vittorie e sconfitte che porti a casa, ma da come la tua organizzazione dimostra di essere di primo livello. Con il presidente Dan Gilbert alla guida sappiamo bene quale strada seguire, che comportamenti mantenere come gruppo di giocatori e quale mentalità dare attraverso il lavoro dello staff. Non è il record a dire se una squadra ha una forte impronta o meno”. Tutto condivisibile, ma all’appello in Ohio mancano già un paio di successi che avrebbero reso in maniera plastica la distinzione tra un’ex nobile caduta in disgrazia e un gruppo eterogeneo di atleti che non riescono a trovare un modo logico di condividere il parquet per 48 minuti. Continuando così si punta dritti al fondo della Eastern Conference. I dati messi a referto da Cleveland in questo avvio infatti sono impietosi: mai in vantaggio a fine primo tempo, né tantomeno in un qualsiasi momento dei sei secondi tempi giocati in due settimane; sotto di almeno 16 punti contro tutti gli avversari, con le tre sconfitte casalinghe che da sole portano lo scarto combinato a 50 punti. Il 118.3 di rating difensivo (secondo soltanto agli Spurs, i peggiori a protezione del ferro dopo cinque gare) raccontano soltanto in parte lo smarrimento di un gruppo ancora stordito dopo la partenza di James e che continua a restare a metà strada tra la voglia di rifondare e il mantenere in parte intatto ciò che di buono LeBron ha lasciato alle sue spalle. Il risultato per ora è un disastro.

Le scelte (confuse) di Tyronn Lue: largo ai giovani, poi il passo indietro

Il giorno prima della batosta incassata in casa contro gli Hawks domenica scorsa, Tyronn Lue e il GM Koby Altman avevano chiamato a raccolta i tre veterani dei Cavaliers – JR Smith, Kyle Korver e Channing Frye – per renderli partecipi della decisione presa dallo staff tecnico: si punta sui giovani in maniera massiccia (dopo una settimana di regular season?), lasciando ai margini proprio loro tre, riducendone l’utilizzo in maniera considerevole e mettendoli fuori dalla rotazione. Non un messaggio di resa incondizionata, ma vista l’incapacità evidente di essere competitivi nel breve l’idea è quella di rilanciare la squadra ripartendo da Kevin Love e costruendo attorno a lui un gruppo futuribile. “Rebuilding” duro e puro, roba che a Cleveland non si vedeva da un lustro. Il problema però è che la squadra scesa in campo contro Atlanta se possibile è riuscita a fare peggio delle non ottimistiche aspettative, prendendo margine nel primo quarto per poi incassare una sconfitta pesante e ingiustificabile contro un avversario modesto e in piena fase di ricostruzione. Coach Lue a quel punto ha scelto di fare un passo indietro, ritornare sui suoi passi e rilanciare già dal giorno dopo in allenamento sia Smith che Korver, poi tornati regolarmente in campo contro Brooklyn. “L’intenzione è quella di permettere a giocatori esperti di aiutare i tanti talenti che abbiamo a crescere, insegnargli come si vince in NBA”, sottolinea Love, provando a giustificare il cambio di rotta repentino di Lue, andato in parte anche contro le indicazioni della dirigenza. “Averli con noi è fondamentale, per quello JR, Kyle e Channing hanno bisogno di giocare”. Una confusione evidente nelle scelte che, unita alla pessima gestione del gruppo, sta logorando un gruppo che ha un bisogno disperato di un leader.

L’infortunio di Love e le prospettive che mancano

Il principale indiziato a ricoprire quel ruolo veste la maglia n°0, per cinque volte è stato selezionato all’All-Star Game ed è stato uno dei protagonisti del titolo 2016 dei Cavs. Love sa bene del salto di qualità che è chiamato a fare, ma in questo avvio (anche causa infortunio) il suo impatto è stato ridotto. Assente nelle ultime due gare a causa di un problema al piede sinistro, sembrerebbe che il dolore in realtà non sia poi così invalidante. In altre situazioni avrebbe potuto tranquillamente affrettare il rientro, ma adesso è inutile correre rischi e forzare i tempi: perché mai fare uno sforzo del genere? Love ha raccontato a The Athletic – la fucina da cui trarre informazioni sulle vicissitudini in casa Cavaliers – che non era stato informato della decisione di lasciare fuori i veterani contro Atlanta la scorsa settimana; resosi conto della scelta soltanto nel quarto periodo, quando la partita era ormai compromessa. Una mancata comunicazione in contrasto con la centralità che si vuole riservare alla sua figura. Non l’unica contraddizione, visto che contro gli Hawks in tribuna accanto ai veterani sedeva in borghese anche David Nwaba, uno di quelli a cui Smith e compagni avrebbero dovuto lasciare spazio. In teoria, almeno. Altman aveva garantito a Love lo scorso luglio che la squadra non avrebbe tankato dopo l’addio di James, che non si sarebbe lasciata andare; una delle ragioni che hanno spinto l’ex T’wolves a firmare il quadriennale da 120 milioni di dollari che lo legherà ancora a lungo alla franchigia. Senza quella promessa, Cleveland avrebbe dovuto far fronte a un’altra complicata trattativa, con Love pronto ad accettare accordi a ribasso proposti da squadre con progetti ben avviati o addirittura a salutare il gruppo tra un anno come free agent, senza lasciare nulla in dote in Ohio. La realtà per il momento si sta rivelando ben diversa, complicando una situazione che difficilmente una dannata (cit.) vittoria potrebbe invertire.