La trasferta da cinque partite ha visto i biancoverdi sconfitte in quattro di esse, vincendo solo a Phoenix al supplementare. Tra gerarchie non definite e un attacco che non decolla, i Celtics sono sesti a Est, a cinque partite di distanza dal primo posto di Toronto
Prima dell’inizio della stagione, era opinione abbastanza diffusa che i Boston Celtics fossero i favoriti assoluti per vincere la Eastern Conference. D’altronde, il ragionamento logico sembrava semplice: se aggiungi Kyrie Irving e Gordon Hayward a un gruppo in grado di arrivare a una vittoria dalle Finali NBA, e se togli dalla conference il principale ostacolo a tornare in finale dal 2010 in LeBron James, viene automatico pensare che siano i favoriti assoluti. Invece queste prime 13 partite di regular season, e in particolare le ultime cinque in trasferta, hanno raccontato una storia diversa: i Celtics hanno perso quattro degli ultimi cinque incontri, con l’unico successo arrivato al supplementare contro Phoenix in maniera a dir poco rocambolesca, sfruttando un mancato fallo della difesa sul +3 per pareggiare e vincere all'overtime.
Quella vittoria spinta dai 39 punti di Kyrie Irving non cambia però il fatto che in ciascuna delle ultime tre partite – contro i Suns, contro Utah e contro Portland – i Celtics sono finiti sotto di oltre 20 punti, cercando poi un’improbabile rimonta negli ultimi quarti. Una specialità della casa, certo, ma tentare di rimontare ogni volta 20 punti di scarto diventa logorante tanto a livello mentale quanto a livello fisico.
Irving: "Non siamo forti come pensiamo di essere"
Se durante la trasferta Kyrie Irving aveva cercato di calmare gli animi, professando pazienza e che tutto sarebbe andato per il meglio, dopo l’ultima sconfitta contro i Blazers il campione NBA del 2016 è stato molto meno accondiscendente. "Avevamo bisogno di un 'cazzotto' del genere. Non siamo forti come pensavamo di essere" ha detto davanti ai media. "L’eccitazione prima della stagione ormai è finita, adesso bisogna giocare a basket sul serio. Non basta più il potenziale: abbiamo sfide e barriere da dover superare sia a livello individuale che di squadra. Per essere speciali, dobbiamo riuscirci".
Poi ha aggiunto una frase che può suonare come sibillina: "In questo momento sarebbe bello avere un veterano con 14 o 15 stagioni alle spalle, per aiutarci a tenere il passo durante la regular season e a farci capire che si tratta di una lunga maratona, piuttosto che di uno sprint". Una frase piuttosto strana per una squadra che comunque ha nello spogliatoio un veterano con 12 anni di NBA alle spalle come Al Horford e altri giocatori di esperienza come Gordon Hayward (9 anni), Marcus Morris (8) e Aron Baynes (7), non proprio gente di primissimo pelo. Può essere la presenza di un Channing Frye o un James Jones (giusto per citare due dei veterani avuti da Irving ai Cleveland Cavaliers) fare davvero così tanta differenza nella gestione di una stagione, specialmente per una squadra che lo scorso anno ha fatto le finali di conference?
Tatum, Brown e Rozier: i momenti difficili dei giovani
Forse il problema è proprio questo: i rientri di Irving e Hayward, e i possessi di cui si sono fatti carico, hanno per forza di cose rimescolato le gerarchie in campo tra i biancoverdi, con i giovani che lo scorso anno erano emersi come la forza portante della squadra che si sono ritrovati “ridotti” a un ruolo minore. È il caso soprattutto di Jayson Tatum, Jaylen Brown e Terry Rozier: i primi due hanno mantenuto il proprio posto in quintetto, ma mentre il primo ha visto aumentare il suo Usage Rate rispetto alla scorsa regular season (ma non rispetto ai playoff), il secondo ha visto i possessi tra le sue mani diminuire di un punto percentuale pieno rispetto alla scorsa regular season e di quasi quattro rispetto ai playoff 2017-18. Con meno palloni tra le mani, i due giovani esterni dei Celtics sembrano giocare con più frenesia, come se dovessero sfruttare ogni palla per fare qualcosa prima che non torni più dalle loro parti. Le percentuali al tiro che stanno tenendo di sicuro non aiutano: Tatum è passato dal 54% di percentuale effettiva al 47.7%, Brown addirittura dal 54% al 41.4%, con un aumento abbastanza sensibile nelle conclusioni dalla media distanza - notoriamente quelle meno efficienti - per entrambi. Segno che i due non attaccano più tanto il ferro ma si accontentano del primo tiro a disposizione, impegnati a mantenere costante il loro numero di tiri (che effettivamente non si discosta troppo da quello dello scorso anno) piuttosto che a prendersi i tiri con maggiore efficienza.
Discorso diverso invece per Rozier, che nel corso dei playoff dello scorso anno si era affermato come un giocatore di culto per i tifosi dei Celtics (memorabile il suo duello a distanza con Eric Bledsoe con il coinvolgimento di Drew, ex giocatore dei Patriots) e che invece quest’anno sta giocando solo 23.3 minuti di media, complice il ritorno di Kyrie Irving a pieno regime. Il playmaker di riserva si è premurato di spegnere sul nascere ogni voce sul suo conto, ribadendo di comprendere quale sia il suo ruolo in questi Celtics e che il suo interesse principale è per la squadra, ma è inevitabile che dopo aver assaggiato la gloria dei playoff da titolare voglia tornare a essere protagonista: “Sono passato dall’essere titolare in post-season a uscire dalla panchina. Sono abbastanza sicuro che non sia facile per nessuno” ha detto con lodabile candore. Su di lui, che a fine anno sarà restricted free agent, potrebbero concentrarsi le attenzioni delle squadre alla ricerca di una point guard titolare quali Phoenix o Orlando – sia prima della deadline di febbraio che in estate. Considerando che Irving ha già fatto sapere di voler rimanere in città, è difficile che la permanenza di Rozier si prolunghi in città oltre questa stagione, il che rende ancora più precaria la situazione in spogliatoio.
I problemi in campo: quarto peggior attacco della lega
Tutti questi problemi individuali, a cui si aggiunge il farraginoso ritorno ai suoi livelli di Gordon Hayward, hanno avuto come risultato che i Celtics in questo momento hanno il quarto peggior rating offensivo della lega, fermandosi solo a 104.2 punti segnati su 100 possessi. La miglior difesa della NBA (102.7) permette loro di mantenersi sopra la linea di galleggiamento per quanto riguarda il differenziale su 100 possessi con +1.5, ma la vetta della lega dei Milwaukee Bucks e dei Golden State Warriors (+11.2 e +11.1) rimane molto lontana. Il quintetto base formato da Irving, Brown, Tatum, Hayward e Horford è stato ovviamente il più utilizzato da coach Brad Stevens (105 minuti, 70 in più del secondo quintetto con Morris al posto di Hayward) ma sta faticando enormemente a fare canestro, con un rating offensivo di 91.4 che si segnala come il peggiore in assoluto della lega tra i quintetti che hanno giocato almeno 100 minuti – e neanche di poco, visto che il secondo peggiore (quello dei Dallas Mavericks) segna 3.1 punti su 100 possessi più di loro.
I titolari dei Celtics sono tenuti in piedi da una difesa granitica (91.3, di gran lunga il migliore della lega), ma in questa trasferta in giro per gli Stati Uniti sono finiti "sotto" peggiorando ancora in attacco, fermandosi solo a 86.7 punti segnati su 100 possessi (terz’ultimo tra quelli con almeno 40 minuti) e concedendone 90.4. I Celtics, semplicemente, non fanno mai canestro: il loro 50% di percentuale effettiva si pone al 23° posto nella lega e Boston non riesce neanche a compensare andando in lunetta, visto che solamente gli Orlando Magic hanno tirato meno liberi di loro in tutta la NBA.
Molti di questi dati miglioreranno quando le percentuali si normalizzeranno e i Celtics potranno sfruttare la spinta del pubblico di casa (solo quattro partite su 13 sono state disputate al TD Garden), ma bisognerà invertire la situazione in fretta : con un record di 7 vittorie e 6 sconfitte i biancoverdi si trovano al sesto posto nella Eastern Conference, ma soprattutto hanno già cinque partite di distacco dal primo posto occupato dai lanciatissimi Toronto Raptors e tre dai Milwaukee Bucks. Già nella notte tra venerdì e sabato i Celtics si ritroveranno di fronte a Kawhi Leonard e soci: sarà già un primo banco di prova per capire se questa squadra è in crisi o se è ancora da considerare come una delle favorite alla vittoria della conference.