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E poi Luka Doncic decise di battere gli Warriors (e farsi conoscere dalla NBA)

NBA

Il rookie dei Mavericks è il protagonista nel finale contro gli Warriors, decisivo con i suoi canestri nel successo dei texani: "Mi sono sempre piaciuti i tiri pesanti, ma qui è diverso. Questa è la NBA". Il risultato però non sembra essere cambiato

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Senza Steph Curry e Draymond Green certamente è stato più facile, ma battere gli Warriors per i Mavericks degli ultimi anni non è certo un’impresa che riesce tutti i giorni. Così come fino a 15 partite fa non potevano disporre di Luka Doncic, che in un mese ha scelto il modo migliore per presentarsi definitivamente al grande pubblico: giocare da protagonista e vincere in un finale punto a punto contro i bi-campioni NBA. Più volte si è magnificata la freddezza e la maturità del rookie sloveno, ma vederlo all’opera negli ultimi minuti di partita contro gli Warriors è stata la sua consacrazione più importante di questo primo mese nella Lega. Kevin Durant e Klay Thompson hanno provato a fare del loro meglio (e poi avere due All-Star in campo resta comunque un lusso di cui Dallas è riuscita a disporre soltanto una volta nelle ultime sei stagioni combinate). Adesso però c’è Doncic, uno che Suns, Kings e gli stessi Hawks che lo hanno scambiato potrebbero rimpiangere a lungo: “Siamo fortunati ad avere un campione del genere in campo”, sottolinea coach Carlisle, consapevole di quanto pesante sia stato il canestro realizzato da Doncic a 70 secondi dalla sirena. Quello del sorpasso, quello che prendono (prima ancora di segnare) soltanto i giocatori di talento. “Lo avevo già fatto più volte quando giocavo a Madrid negli anni scorsi, adoro i tiri presi nell’ultimo minuto. Quelli pesanti, in cui tutta la pressione è su di te. Certo, questo è diverso: adesso sono in NBA, la miglior lega di pallacanestro del mondo”. All’apparenza però, nulla sembra avergli fatto cambiare la sicurezza nell’approccio, anche quando si è trattato di andare a sfidare Durant con le braccia protese il possesso successivo. Doncic ci ha provato, nonostante il tiro poi non abbia trovato il fondo della retina. Ma in alcune situazioni attaccare è funzionale per la propria squadra tanto quanto riuscire ad andare a segno: averlo fatto ha spostato di un altro centimetro la partita in favore di Dallas.

Doncic, quel canestro su Livingston e i suoi 24 punti

C’è un passaggio nella partita della point guard slovena che racconta bene il suo livello di maturità, di comprensione e conoscenza del gioco. Sul finire del terzo quarto, con Dallas sotto di cinque punti e in piena corsa nel provare a vincere la partita, Doncic porta spalle a canestro Shaun Livingston in post basso. Un avversario insospettabilmente lungo e complicato da superare, al quale però far pagare dazio con quella che per anni è stata la sua arma letale: il jumper sulla testa di un avversario più piccolo a qualche metro di distanza dal canestro. Doncic non è più alto di Livingston, ma tira cadendo in parte all’indietro, dopo un avvitamento e appoggiandosi al tabellone. Risultato? Due punti di una difficoltà incredibile, lucrati riservando al giocatore di Golden State il trattamento a cui lui così spesso ha sottoposto mezza NBA per anni. Un minuto dopo tocca a Quinn Cook: a quel punto però non è la tecnica a venire fuori, ma lo strapotere fisico. I due giocatori sulla carta hanno lo stesso ruolo, ma mai dimostrazione fu più plastica della fine della catalogazione dei giocatori sul parquet in base a quello che in teoria dovrebbero essere in grado di fare. Doncic ha un tonnellaggio diverso rispetto alla riserva di Curry e lo spazza via senza pietà: palleggia stando spalle a canestro , senza neanche percepire la pressione che Cook prova a mettergli da dietro. Risultato? Di nuovo due punti, in una gara da 24 totali dal peso specifico enorme (+18 di plus/minus, per dirne una). Alla fine la regia indugia sulla sua prodezza finale al replay, prima di passare con le telecamere su un piccolo tifoso Warriors in lacrime; disperato per la sconfitta di Golden State. Un giovane appassionato NBA texano che magari avrà pensato di essere responsabile del ko: “Vincono sempre, vengono a Dallas e perdono perché ci sono io sugli spalti”. No, lo fanno perché adesso c’è Doncic sul parquet.