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NBA, Irving non ci sta: "Ringraziamento? Non festeggio quella m...". Poi si scusa sui social

NBA

La guardia dei Boston Celtics, che ha origini da nativo americano per parte di madre, ha risposto male all'augurio di passare una buona Festa del Ringraziamento. Nel corso del Thankgsgiving si è però scusato sui social per le sue parole. Sul suo nervosismo influisce anche il pessimo momento dei suoi, arrivati alla terza sconfitta in fila e alla settima nelle ultime dieci

BOSTON CROLLA CONTRO NEW YORK, ORA È CRISI

La NBA si è fermata per celebrare la Festa del Ringraziamento, dando a tutti i suoi membri la possibilità di riunirsi con le proprie famiglie senza le impellenze delle partite da dover preparare, giocare e seguire. C’è qualcuno, però, che non ha festeggiato con il tradizionale tacchino, ed è Kyrie Irving. La guardia dei Boston Celtics dopo la sconfitta con i New York Knicks ha risposto in malo modo quando qualcuno all’interno dello spogliatoio gli ha augurato di passare una buona Festa del Ringraziamento. "Io non festeggio quella me…a, fan…o il Thanksgiving" sono state le parole riportate da diversi membri dei media presenti durante lo scambio. Il motivo è semplice: prima dell’inizio di questa stagione Irving ha reso note al pubblico le sue origini da nativo americano per parte di madre, tanto da ricevere una cerimonia di iniziazione da parte della tribù Sioux di Standing Rock, dandogli il nome di "Little Mountain". Normale allora che Irving non abbia alcuna voglia di celebrare una festa che – per quanto nasca con intenti positivi per ricordare la cooperazione tra tribù e pellegrini – viene contestata da alcune parti della comunità di nativi americani, tra le quali fa evidentemente parte Irving.

Le scuse sui social: 

Nel corso del Thanksgiving poi Irving ha twittato le sue scuse per quanto detto "in un momento di frustrazione", secondo quanto scritto sui social: "Ho parlato per frustrazione dopo la partita di ieri sera, usando parole che non dovrebbero essere utilizzate in un ambiente professionale a prescindere da tutto. Non volevo mancare di rispetto alla Festività e a quelli che la celebrano rispettosamente. Sono grato per il tempo che noi tutti possiamo passare con le nostre famiglie. Siamo sempre UNITI".

Il motivo del suo numero: "Vesto il numero 11 per mio padre, dopo di me nessun altro"

Nella giornata di ieri Irving ha anche condiviso il suo nuovo spot della marca di abbigliamento di cui è testimonial, nel quale viene ripreso mentre gioca in uno contro uno con il padre Drederick sul campo del TD Garden di Boston. Uno spot molto emotivo, in cui Kyrie racconta di come suo padre - dopo la morte della moglie Elizabeth - abbia rinunciato al suo sogno di diventare un giocatore di pallacanestro professionista per permettere ai suoi due figli di inseguire i loro. "Vesto il numero 11 per mio padre, voglio diventare il motivo per cui nessun altro lo vestirà dopo di me" dice in chiusura, facendo intendere - una volta di più - di voler continuare la sua carriera ai Celtics, vedendo un giorno il suo numero appeso al soffitto del TD Garden come tante altre leggende del passato.

Il momento complicato dei Celtics: tre sconfitte in fila

Al di là dei sogni di grandezza, c'è un presente da considerare. Ad aumentare il nervosismo di Irving c’è anche il momento fortemente negativo vissuto dai suoi Celtics, arrivati alla terza sconfitta in fila e scivolati all’ottavo posto a Est con un record di 9 vittorie e 9 sconfitte. In generale i biancoverdi hanno vinto solo tre delle ultime dieci partite disputate e sembrano lontanissimi parenti di quelli che lo scorso anno erano andati sopra 3-2 nella serie contro i Cleveland Cavaliers in finale di conference, tanto da meritarsi anche le critiche di coach Brad Stevens. "Non dipende da uno o due giocatori, ma da tutti noi. Non stiamo giocando con la stessa personalità dello scorso anno, questo è il modo facile per descrivere la situazione. Tutti i 50.000 problemi che ci stanno dietro vanno affrontati una alla volta" ha detto dopo la partita. "Semplicemente non so se siamo davvero forti. Non può essere considerati una ‘sveglia’ se continui a essere battuto".

I dubbi sul roster nelle ultime dieci partite

Insomma, più che una pessima partenza, ora i Celtics sono passati a chiedersi se questo roster è davvero buono come sembra sulla carta, visto che molti li avevano indicati come la squadra favorita ad andare alle Finals di giugno. C’è ancora tantissima pallacanestro da dover giocare, ma fino ad ora tutte le problematiche che hanno accusato in queste prime 18 partite di stagione non sono state risolte, venendo al massimo coperte dal talento di Irving (ad esempio con i 43 punti contro Toronto al supplementare) o dalla scarsezza degli avversari (le altre due vittorie sono arrivate contro Phoenix e Chicago, non proprio due corazzate). L’attacco è il grosso problema della squadra di Stevens: il 27° posto per rating offensivo semplicemente non è accettabile per una squadra con quel talento a disposizione, e anche la difesa ha sofferto fin troppe pause rispetto a quelle che sono le possibilità (ad esempio concedendo stanotte 29 punti a Trey Burke, non esattamente Allen Iverson).

Le parole dei protagonisti: "Qualcosa deve cambiare"

La situazione ha portato Marcus Smart a parlare in maniera molto dura ai compagni nello spogliatoio, ma basta leggere le dichiarazioni rilasciate dai protagonisti per capire che qualcosa non sta funzionando. "Onestamente non possiamo più aspettare" ha detto Irving ai cronisti. "A partire da me come individuo e da noi come gruppo, non abbiamo più tempo per aspettare che i giocatori diano qualcosa in più. Cominciando da me, bisogna prendersi la responsabilità e le colpe ci ciò che sta succedendo. Per diventare una squadra speciale, bisogna guadagnarselo". Anche un altro leader dello spogliatoio come Al Horford ha espresso la sua preoccupazione: "C’è differenza tra una squadra che insegue e una che deve dimostrare qualcosa. Questo è un periodo di difficoltà che nessuno vorrebbe mai affrontare, ma è il momento di farlo. È ancora abbastanza presto per poterlo sistemare". Alla fine dei conti, bisogna ricordarsi anche di questo: siamo pur sempre a novembre. Di certo però la stagione è cominciata in tutt’altro modo rispetto a quello che ci si aspettava da questa squadra.