Tre ko con almeno 30 punti di scarto in una sola settimana: sotto accusa la difesa degli Spurs, da sempre il tratto distintivo delle squadre di coach Popovich. E Patty Mills non risparmia parole dure: "Imbarazzanti"
SAN ANTONIO, UN'ALTRA BATOSTA: I JAZZ SPAZZANO VIA GLI SPURS
I punteggi sono lì, impietosi da leggere, uno dopo l’altro: andando a ritroso, da oggi al 25 di novembre, i San Antonio Spurs nelle ultime sei gare disputate hanno incassato 139 punti da Utah, 131 da Portland, 136 da Houston, 128 da Minnesota, “solo” 107 da Chicago e poi ancora 135 da Milwaukee. In pratica in cinque delle sei ultime uscite i texani hanno sempre permesso alla squadra avversaria di segnare almeno 128 punti (sono arrivate quattro sconfitte e un solo successo). Nel periodo di tempo che abbraccia le ultime sei partite, la media punti subita dagli Spurs è di 127.2, di gran lunga la peggiore di tutta la lega (i Sacramento Kings che corrono tanto ne incassano 118 a sera, oltre 9 in meno). Gli uomini di coach Popovich concedono quasi il 53% dal campo agli avversari, il 43.9% dall’arco (Portland però riesce a far peggio, anche se di poco) e i dati di (in)efficienza difensiva sono ancora peggiori: gli avversari infliggono 126.3 punti per 100 possessi agli Spurs, e il net rating negativo dei nero-argento è vicino ai 16 punti (-15.9), anche in questo caso due dati che piazzano la squadra di Marco Belinelli all’ultimo posto nella lega, con distacco sulla penultima. Se il ko contro Minnesota (-39) seguito da quello contro Houston la gara successiva (-31) ha segnato la prima volta in cui gli Spurs allenati da Popovich hanno incassato 30 o più punti di scarto in due partite consecutive, la terza umiliazione (altro scarto superiore ai 30) subita nel giro di una sola settimana dai nero-argento contro Utah fa degli Spurs solo la quinta squadra nella storia della lega ad andare incontro a un filotto così negativo di risultati (gli ultimi i Portland Trail Blazers nel 2005-06). Per la società che ha fatto dell’eccellenza ad altissimi livelli il proprio tratto distintivo negli ultimi due decenni – lo testimoniano i cinque titoli NBA vinti e le 21 partecipazioni consecutive ai playoff – si tratta di un momento davvero difficilissimo, che riflette una transizione storica dall’era dei “Big Three” (Tim Duncan ritiratosi al termine dell’annata 2015-16, Manu Ginobili quest’estate e Tony Parker in maglia Charlotte Hornets a partire da ottobre) a una nuova identità (senza più anche Kawhi Leonard, rimpiazzato da DeMar DeRozan). Identità, a questo punto, ancora tutta da trovare. “È come se in attacco fossimo tutti scombossulati – l’analisi tra il sorpreso e l’amareggiato di coach Gregg Popovich – per cui la responsabilità è in primo luogo mia. Difensivamente invece dobbiamo aumentare il nostro sforzo, dobbiamo essere più intelligenti su quel lato del campo. Insomma, abbiamo davvero tanto lavoro da fare”.
Patty Mills il più duro: “Prestazioni imbarazzanti”
Il più duro di tutti nel giudicare la recente striscia di clamorose sconfitte degli Spurs è la point guard dei texani, non a caso proprio il giocatore indicato da coach Popovich come leader spirituale del gruppo: “Siamo i primi a essere imbarazzati dalle nostre prestazioni, ed è giusto che sia così”, dice. “Dobbiamo sempre tenere ben presente il quadro generale delle cose, chi e cosa rappresentiamo quando scendiamo in campo con queste maglie addosso. È qualcosa di più grande di tutti noi, dobbiamo capire che il nostro tempo qui sarà solo una parentesi all’interno della storia di un’organizzazione che continuerà a esistere per anni e anni dopo il ritiro di ciascuno di noi. Dobbiamo essere orgogliosi di rappresentare i San Antonio Spurs”. “Inizia tutto dalla difesa, è sempre la difesa la chiave di tutto”, aggiunge DeMar DeRozan, che però non molla. “Le sconfitte – soprattutto se arrivano in questa maniera – portano tanta frustrazione, ma non pensate neppure lontanamente che tutto questo finirà per spezzarci”. Sotto accusa è finito soprattutto il gruppo di guardie agli ordini di coach Pop: DeRozan, Bryn Forbes, Marco Belinelli e Patty Mills non vengono considerati in grado di marcare individualmente il proprio uomo, permettendo così agli attaccanti avversari di entrare con troppa facilità nel cuore della difesa di San Antonio per facili layup o per scarichi sui tiratori aperti sul perimetro. Nelle ultime sei gare, nessun lineup a 4 giocatori in tutta la NBA fa peggio difensivamente della combinazione Forbes, DeRozan, Rudy Gay e LaMarcus Aldridge (137.6 punti per 100 possessi concessi agli avversari) ma nelle ultime quattro posizioni ci sono altre due combinazioni di casa Spurs (con Dante Cunningham al posto di Gay il primo, che concede 131.7 punti su 100 possessi, con Derrick White al posto di Forbes il secondo, con un’efficienza difensiva di 131.6). In generale il defensive rating di San Antonio piazza oggi i texani al penultimo posto in tutta la lega (fanno peggio solo i Cavs), dopo anni di continua eccellenza in questo aspetto del gioco: quarti lo scorso anno, primi sia nel 2016-17 che la stagione precedente. Dopo la pessima figuraccia incassata contro Utah (26^ sia per produzione offensiva che per percentuale al tiro da tre, eppure capace di rifilare 139 punti con un pazzesco 20/33 dall’arco), San Antonio è attesa ora al test LeBron James sul parquet dello Staples Center di Los Angeles. Il primo incontro stagionale tra le due squadre era finito con la vittoria dei texani, ma con un rotondo 143-142 in overtime: Popovich, Messina e il coaching staff di San Antonio gradirebbe una prestazione diversa. A partire dal rendimento difensivo della propria squadra.