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NBA: Paul George e i fischi della "sua" L.A.: "Non sono l'unico ad aver scelto altro"

NBA

Contestato per tutta la sfida, il n°13 dei Thunder si è preso la rivincita sul parquet e poi ha sottolineato a fine partita: "Non sono l'unico giocatore nato in questa zona che non gioca ai Lakers, la lista è molto lunga. Le offese del pubblico non mi condizionano"

SUPER PAUL GEORGE È DECISIVO CONTRO I LAKERS

La passata stagione il pubblico dello Staples Center le aveva provate davvero tutte per convincere Paul George a scegliere i Lakers in estate. Una partita utilizzata come vero e proprio reclutamento, cantando ed esponendo cartelli d’invito per quello che poteva diventare uno degli All-Star dei giallo-viola. Invece no, alla fine George ha deciso di restare in Oklahoma, mandando su tutte le furie i tifosi che a quel punto si sono sentiti abbandonati. E che hanno deciso di tartassarlo con i fischi per tutta la sfida: “È stato divertente, molto divertente – commenta George, riferendosi all’accoglienza ricevuta – guardo già avanti, pensando alla prossima partita in cui verrò fischiato in questa stagione. Quella la giocherò nel Midwest (riferimento alla sfida in trasferta contro i Pacers, ndr). Quando il pubblico mi contesta, dimostra di avercela con me, non riesce a condizionare il mio gioco. Non sarà qualche mugugno a farmi dimenticare di colpo come si gioca a pallacanestro”. A George infatti è toccata l’ultima parola, in una gara chiusa con 37 punti, 15/29 dal campo e tanto di schiacciata per sancire il successo di OKC. Un’inchiodata a cui è seguito un urlo liberatorio, quando lo Staples Center aveva già iniziato a bersagliare i propri giocatori; incapaci di segnare dalla lunetta e tenere il passo degli ospiti negli ultimi minuti. “Non sono l’unico ragazzo californiano, nato in questa zona che non gioca ai Lakers, la lista è molto lunga, ma non vuol dire che non porti rispetto per questa franchigia. Sono incredibili e hanno una dirigenza competente e invidiabile, come i tifosi e la città. Sono cresciuto qui, non posso che amare queste zone e questa gente, a prescindere dai fischi”. Prima della palla a due aveva detto di essere incerto riguardo l’atteggiamento che i tifosi avrebbero tenuto nei suoi confronti, ma alla fine è cambiato davvero poco o nulla: “Sono sceso sul parquet per fare il mio lavoro, ho messo tutto in una partita che abbiamo vinto e in cui mi sono molto divertito”.

La promessa non mantenuta e il mancato passaggio ai Lakers

Nato a Palmdale in California, la situazione di George è ben diversa da quella dei suoi conterranei, visto che era stato lui ad alimentare le speranze dei tifosi giallo-viola prima della trade del 2017 a OKC. L’All-Star dei Pacers a quel tempo non aveva dubbi: “Sogno di giocare ai Lakers”, ripeteva come un mantra, mentre Magic Johnson liberava spazio e preparava un piano per far entrare il suo contratto all’interno del salary cap dei losangelini. Frasi ripetute fino allo sfinimento, tanto da portare i tifosi lo scorso anno a salutarlo come un giocatore convinto di vestire la maglia giallo-viola. Un “Vogliamo Paul” trasformato in pochi mesi in “Non abbiamo bisogno di te”, come un innamorato ferito dai capricci della propria donna: “Sapevo a cosa sarei andato incontro – sottolinea George – non sono rimasto sorpreso, mi ero in qualche modo preparato a un’accoglienza del genere. È andata com’è andata, io recito la parte del cattivo ragazzo. Va bene così”. Una frattura ormai chiara tra lui e un pubblico che si è sentito preso in giro, che in pochissimo ha cambiato opinione su di lui, rendendolo nel giro di qualche settimana un ospite non gradito.