Decimo successo in fila per i campioni NBA in carica, capaci di travolgere qualsiasi difesa e di dominare come fatto negli ultimi tre anni. Il tutto avendo un DeMarcus Cousins in più a disposizione, da inserire all'interno di un meccanismo già letale
La crisi degli Warriors – se mai di difficoltà si possa parlare per una squadra che nel momento più complicato degli ultimi quattro anni ha perso otto partite su 13 gare giocate a inizio stagione – è finita nel dimenticatoio ormai da un pezzo. Golden State ha ritrovato gli uomini (a novembre non c’erano né Steph Curry, né Draymond Green, né DeMarcus Cousins) e soprattutto l’armonia sul parquet e nello spogliatoio, felice dopo tre mesi di regular season di potersi godere il quintetto di All-Star in tutto il suo splendore. I campioni in carica sono così riusciti a mettere in fila dieci vittorie per la sesta stagione consecutiva, eguagliando il record NBA che apparteneva agli Spurs – quando si parla di longevità e successo spesso spunta fuori San Antonio. Golden State ha ritrovato la bussola, la rotta e deve ancora inserire a pieno nel suo motore un campione come DeMarcus Cousins. Insomma, le brutte notizie per il resto della Lega non possono far altro che aumentare: “Probabilmente la cosa migliore che stiamo riuscendo a fare in questo periodo è gestire il pallone con cura, perdendone il meno possibile”, racconta Curry, serio candidato al titolo di MVP se James Harden non avesse deciso di chiudere il discorso con più di 30 gare d’anticipo rispetto al temine della regular season. “Chi gestisce l’azione fa spesso la scelta giusta, limita gli errori, permettendo ai tanti talenti in campo di prendere ritmo e venire fuori. Anche in difesa siamo migliorati: adesso dobbiamo inserire DeMarcus al meglio nella rotazione. Sappiamo bene di non essere perfetti e di dover fare altri passi in avanti. Ci confrontiamo spesso sul modo di dare continuità e intensità più a lungo al nostro gioco, anche se al momento stiamo cavalcando una striscia di vittorie. L’obiettivo è arrivare con il morale alto all’All-Star Game, per poi riprendere al massimo nella fase finale di stagione”. Insomma, gli Warriors hanno ancora margine, mentre gli altri già faticano a stare dietro a questa versione ancora imperfetta.
Il super attacco degli Warriors e il record di vittorie di Steve Kerr
Un dominio da record dato ormai per scontato, ma impressionante nelle cifre. Golden State viaggia a 128.6 punti segnati nelle ultime dieci gare vinte, il massimo mai raccolto negli ultimi 34 anni da una squadra NBA (da quando i Lakers di Magic e Kareem ne misero assieme 129.2 di media, in una striscia di successi che fu il preludio al titolo NBA vinto in finale per 4-2 contro i Celtics). E proprio a Boston è arrivata una vittoria accolta senza lasciarsi prendere la mano da grandi festeggiamenti in casa Warriors, nonostante sia stata ottenuta sul parquet di una delle migliori squadre della Eastern Conference, durante un lungo e logorante giro di trasferte. L’idea nella testa di Golden State è chiara: la sfida è più contro sé stessi che non nei confronti degli avversari: “Teniamo il livello di competitività al massimo. Abbiamo fatto tutto quello che serviva per batterli”, commenta soddisfatto Steve Kerr, diventato l’allenatore più veloce a raggiungere quota 300 vittorie in carriera in regular season (soltanto 77 sconfitte incassate). “Boston è una delle migliori squadre NBA, sono duri in difesa e molto dinamici in attacco. Sarà molto interessante capire cosa succederà a Est adesso che LeBron è andato via, così come noi dovremo fare un bel po’ di fatica per avere di nuovo la meglio a Ovest. Ci sono tante squadre competitive quest’anno, come non si vedeva da un bel po’ di tempo. I Celtics inoltre sono solidi su entrambi i lati del campo, la caratteristica che conta di più in vista della maratona ai playoff”. Golden State nel frattempo ha iniziato a prendere le misure a Boston, in una sfida vinta in volata dopo aver lasciato spazio nel primo quarto a Durant (14 dei suoi 33 punti totali sono arrivati nella frazione d'apertura) e nel secondo a Curry (17 punti e cinque triple su uno dei parquet più ostici della Lega). Il colpo di grazia invece lo ha piazzato Klay Thompson, giusto per chiudere il cerchio e far cogliere a tutti l'abbondanza di alternative a disposizione dei campioni in carica.
L’inserimento di Cousins nel quintetto da All-Star funziona già
Nel frattempo sul parquet continua la sperimentazione, con coach Kerr che finalmente è riuscito a disporre del “Death Lineup 3.0”; l’ultimo aggiornamento dopo essere passato dalla prima versione con Andre Iguodala e Harrison Barnes datata 2015 e 2016 (tenendo fisso il trio Curry-Thompson-Green), al letale sviluppo avuto nell’ultimo biennio con Durant a terrorizzare le difese al posto del giocatore spedito a Dallas. Adesso l’idea è quella di tenere fuori anche Iguodala – fondamentale in difesa, ma che ha sempre rappresentato l’anello debole in attacco – per acquisire centimetri, protezione del ferro e soprattutto alternative quando bisogna arrivare a canestro con l’ultimo All-Star aggiunto al roster. Un quintetto quello composto da Curry-Thompson-Durant-Green-Cousins rimasto in campo ben 42 minuti nelle ultime quattro partite, diventato in una sola settimana l’ottavo più utilizzato in questa regular seaason, in cui la rotazione degli uomini è stata più cospicua del previsto a causa degli infortuni. I dati messi a referto in queste quattro gare sono impressionanti: 128.3 punti prodotti su 100 possessi, soltanto 92.6 subiti, con un Net Rating di 35.7 che fa girare la testa a chi dovrà provare a porre un freno a una macchina infernale del genere. Come già sottolineato da Curry, la percentuale di palle perse degli Warriors crolla al 7.6% con quel quintetto (con Damian Jones al posto di Cousins ad esempio il dato era il 16.1%), con un rapporto di oltre sei assist per ogni palla persa. Una pallacanestro giocata a un ritmo più compassato rispetto a quella della precedente versione del Death Lineup: con Iguodala sul parquet, il quartetto viaggia a 112 possessi su 48 minuti, che diventano 106 con Cousins. Si va più piano, si distribuiscono più assist, si ragiona di più e si fa sempre canestro. Le Boston di questo mondo sono avvisate: sarà molto complicato battere gli Warriors. Molto.