Entrato in campo per la seconda volta nelle ultime tre settimane, il n°00 dei Knicks - osannato dal pubblico - ha baciato il logo al centro del Madison Square Garden, in quella che potrebbe essere stata la sua ultima partita con la squadra di New York
In una regular season da dieci successi e 40 sconfitte, ogni storia e ogni appiglio diventa ben accetto per motivare un pubblico che non vede la propria squadra vincere in casa dal lontano 1 dicembre 2018. Dodici ko in fila per i Knicks, che nelle ultime settimane hanno messo fuori dalla rotazione Enes Kanter; in scadenza il prossimo 30 giugno, sostituito sul parquet da Luke Kornet e Mitchell Robinson, i giovani su cui coach David Fidzale vuole costruire la New York del futuro. Tutto lecito, accaduto però a cavallo della sfida londinese contro Washington che ha riportato a galla le tensioni tra il lungo turco e l’establishment politico della sua nazione, accusato da Kanter di mettere in pericolo la sua vita in caso di partenza per la capitale britannica. Già dalla settimana precedente però il n°00 dei Knicks era ben più preoccupato a livello cestistico dalla scelta tecnica fatta nei suoi confronti dallo staff newyorchese. Dopo i 16 punti e 12 rimbalzi raccolti contro Golden State lo scorso 8 gennaio infatti, Kanter è uscito dalla rotazione, entrato dalla panchina soltanto contro Oklahoma City dopo il grave infortunio alla caviglia subito da Kornet. Una situazione d’emergenza che non ha cambiato la sostanza dei fatti: anche con un lungo in meno, spazio a Lance Thomas pur di non farlo giocare. Kanter ha saltato le ultime quattro partite, diventando un vero e proprio caso all’interno dello spogliatoio newyorchese e raccogliendo al tempo stesso le simpatie del pubblico di casa. E nella sfida persa contro Dallas è andato in scena l'ultimo episodio della serie: con New York sotto ben oltre la doppia cifra nel terzo quarto – uno spettacolo a cui Spike Lee e tutti gli altri abbonati del Madison hanno fatto l’abitudine - il pubblico della Grande Mela ha iniziato a invocare il lungo turco sul parquet: “Vogliamo Enes!”, un urlo risuonato anche nelle orecchie di Fizdale che per disperazione (o quasi) ha deciso di metterlo in campo.
Il bacio al logo dei Knicks, un gesto pianificato da tempo
Un’occasione più unica che rara per Kanter, che a quel punto, spinto dal boato del pubblico mentre si avviava verso al centro del campo, appena messo piede sul parquet si è fiondato sul logo dei Knicks, baciandolo e mandando in delirio il pubblico di casa. Un gesto che come lui stesso ha raccontato è stato un modo per ringraziare i tifosi per l’affetto manifestato nei suoi confronti: “Volevo solo dimostrare a tutti il mio amore. Ovviamente la mia vita è stata molto complicata nelle ultime tre settimane, tra la questione con la Turchia e i problemi sul parquet. Il sostegno che ho ricevuto dagli spalti significa molto per me, volevo soltanto restituirne una piccola parte con quel bacio”. Non del tutto casuale, anzi. “Lo avevo pianificato già da un po’, aspettavo soltanto l’occasione giusta. Non so per quante partite ancora resterò con i Knicks. Ero così felice di tornare sul parquet e dovevo farlo capire ai miei tifosi in quella che potrebbe essere stata la mia ultima gara a New York. Chi lo sa cosa accadrà nei prossimi giorni”. Fizdale però ci tiene a ribadire che la sua scelta non è stata dettata dai cori provenienti dagli spalti, ma frutto della pessima gara disputata dai titolari: “Il pubblico può chiedere ciò che gli pare, cantare in nome di qualsiasi giocatore. Quello che mi preoccupava era il modo pessimo in cui stavamo interpretando la sfida. Per essere corretto nei confronti di Kanter, gli ho ripetuto più volte che verrà chiamato in causa ogni volta che con il suo contributo potrà dare una spinta in più alla squadra. Questa notte avevamo bisogno di lui, gli ho dato un’opportunità per questo”.
Le ipotesi di mercato: scambio con i Kings o buyout
Tutti gli occhi quindi erano puntati sul turno, che in nove minuti sul parquet ha chiuso con cinque punti, due rimbalzi e un paio di canestri, arrivati dopo alcuni tentativi che sono finiti ben lontani dal bersaglio. La pressione e il nervosismo che inevitabilmente hanno accompagnato la sua permanenza in campo si sono fatti sentire quando si è trattato di cercare i due punti per la prima volta dopo un bel po’ di tempo: un air-ball che finisce ben distante dal ferro. “C’era un bel po’ di pressione su di me e non scendevo in campo da un pezzo. Ero nervoso, mi sono fatto prendere dalla frenesia”, racconta, senza nascondere la frustrazione che questa situazione ha generato. A queste condizioni è impossibile a suo avviso terminare la stagione ai Knicks, che da parte loro preferiscono testare i giovani e non dare spazio a un giocatore che saluteranno a metà aprile. Una delle voci di mercato più ricorrenti per chiudere una trattativa prima della deadline del 7 febbraio è uno scambio alla pari con i Sacramento Kings per Zach Randolph. Entrambi contratti in scadenza, che peseranno sul cap soltanto fino al prossimo 30 giugno. Se una trade del genere non dovesse andare in porto, i Knicks hanno garantito al turco l’opportunità di raggiungere un accordo per un buyout, che poi consentirà a Kanter di scegliere in autonomia con quale squadra firmare in vista dei playoff. Il suo ultimo anno di contratto infatti è da 18.6 milioni di dollari e Kanter sa che tra qualche mese dovrà andare a caccia delle briciole rispetto a quanto incassato nelle ultime stagioni. Fosse per lui, resterebbe a New York, giocando i suoi 25/30 minuti a partita davanti a un pubblico che lo adora. Ma non sempre le cose vanno come si spera: “Se tutti si rendessero realmente conto di quanto sono innamorato di questa città e di questa squadra, i Knicks dovrebbero ritirare la mia maglia”.