Un incidente d'auto ha costretto il lungo di Minnesota a fermarsi per due partite, arrestando a 303 la striscia di partite consecutive disputate nella NBA. Rientrato in campo alla grande contro Sacramento (con 34 punti e 21 rimbalzi) rivela: "Avevo il 5% di chance di uscire vivo da un incidente del genere"
INCIDENTE D'AUTO PER TOWNS: INTERROTTA LA STRISCIA RECORD
KARL-ANTHONY TOWNS OSPITA A SKY: "VOGLIO ESSERE IL MIGLIORE"
L’incidente non ci voleva. Non a sentire Karl-Anthony Towns. Che da quando è sbarcato nella NBA, nell’autunno 2015, era sceso in campo in 303 partite NBA consecutive. Poi, in auto con Kurt Joseph, uno dei trainer dei Minnesota Timberwolves, al volante di una Hyunday Sante Fe con cui i due stavano cercando di raggiungere l’aeroporto per affrontare la trasferta verso New York, l’incidente stradale. Joseph vede davanti a sé delle auto ferme e per evitare l’impatto inchioda. Istintivamente guarda nello specchietto retrovisore, e si accorge che il camion alle loro spalle non sta facendo nulla per rallentare e fermarsi. “Non mi stavo preoccupando ma ho sentito lui dire: ‘Il truck dietro di noi non sta rallentando’. Ha pronunciato queste parole senza cambiare espressione, solo guardando nello specchietto retrovisore. Non capivo cosa stesse dicendo, io guardavo le auto ferme davanti a noi – racconta il lungo dei Timberwolves – e invece improvvisamente ecco il colpo”. Il tamponamento è violento – Towns stima che la velocità del camion (uno di quei TIR a 18 ruote) fosse attorno ai 60-70 km/h. “Sinceramente? Sono felice di essere vivo”, ammette oggi l’ex giocatore di Kentucky. “Sono felice di essere qui a parlare con voi”, dice alla stampa di Minneapolis. Perché dopo aver reagito di istinto – la prima cosa che ha fatto dopo l’incidente è stato chiamare i Timberwolves per capire come avrebbe potuto raggiungere New York con un volo commerciale (e non con il charter della squadra, ormai perso), per essere in campo contro i Knicks – ora Towns realizza meglio la drammaticità di quel momento, e il pericolo fortunatamente scampato. “Sarebbe potuta finire molto peggio”, riflette. “Se dovessi fare un numero, direi che non c’era più del 5% di chance di sopravvivere a un incidente del genere, un 4% di restare seriamente ferito e un 1% di riportare soltanto qualche botta. Alla fine sono ricaduto dentro questo 1% di possibilità”, afferma, aggiungendo poi: “Se non avessi avuto la cintura allacciata sarei stato scaraventato sul parabrezza”.
Due gare fuori, ma poi un ritorno leggendario
Dopo aver rifiutato l’intervento di un’ambulanza sulla scena dell’incidente, preoccupato soltanto di poter essere in campo contro i Knicks, la seconda telefonata di Towns è stata per la sorella: “Che la prima volta mi ha messo giù in faccia, non credeva a quello che le stavo dicendo”. Poi quando l’ho richiamata la prima cosa che mi ha chiesto è stata: “Pensi di farcela a giocare?”. Il lungo di Minnesota spiega: “Mi conosce bene, sa quanto ci tengo, non è che non si stesse preoccupando per me”. Towns chiede alla sorella di avvisare i genitori, perché ha paura di spaventarli troppo: la madre infatti quasi sviene, mentre il padre si preoccupa che il figlio possa farsi vedere dallo staff medico della squadra senza affrettare un inutile ritorno in campo. A risolvere la questione ci pensa direttamente la NBA, che per chi subisce un trauma cranico impone un protocollo medico da superare prima del rientro in campo. Alle prese con il protocollo Town è quindi costretto a saltare due gare, quella contro New York e poi anche contro Milwuakee. È tornato però in campo nella notte e a giudicare dalla sua prestazione il lungo di coach Ryan Saunders sta benissimo: in 31 minuti in campo contro i Kings ha chiuso con 34 punti e 21 rimbalzi, sbagliando solo cinque tiri (13/18 dal campo) in tutta la partita, aggiungendo anche 5 assist e 2 stoppate. Una delle sue migliori gare stagionali, forse anche dettata da un nuovo piacere nel poter scendere in campo con i suoi compagni, un privilegio a volte dato per scontato ma ora apprezzato ancora di più.