Please select your default edition
Your default site has been set

NBA, Kyle Korver si schiera in maniera dura contro il razzismo: "Sono un privilegiato"

NBA

Il veterano degli Utah Jazz ha scritto una lettera a The Players' Tribune, uno sfogo in cui sottolinea i vantaggi di un giocatore bianco in una Lega di afroamericani: "A guardare bene, ho più cose in comune con gli spettatori che non con gli atleti sul parquet. Adesso basta" 

INSULTI RAZZISTI: WESTBROOK RISPONDE AI TIFOSI JAZZ

In una lettera toccante scritta in prima persona e pubblicata su The Players’ Tribune, Kyle Korver ha preso posizione in un dibattito sempre strisciante in NBA e più in generale negli Stati Uniti e ritornato prepotentemente d’attualità nelle ultime settimane. Un uomo bianco in una Lega per il 75% composta da giocatori di colore, spesso discriminati e vittime di una società che continua a faticare ad accettarne il ruolo. Il titolo del pezzo – “Privilegiato” – riprende le parole di coach Gregg Popovich, altra figura NBA che spesso si è battuta e ha portato all’attenzione dei media il problema. Uno sfogo che va dritto al punto, un urlo da parte di uno dei giocatori bianchi più rappresentativi e riconoscibili della Lega. “C’è un elefante nella stanza che continuiamo a far finta di non vedere, una questione alla quale ho pensato a lungo nelle ultime settimane. Il fatto è che, dal punto di vista demografico, a essere onesti, ho più cose in comune con l’uomo medio che fa parte del pubblico di una gara NBA che con i giocatori in campo”. Un riferimento che prende spunto da quanto successo a Salt Lake City qualche settimana fa: lui sul parquet con gli Utah Jazz, mentre Russell Westbrook è stato offeso e costretto a finire sotto i riflettori per la risposta piccata – e senza peli sulla lingua – data a un paio di tifosi che avevano puntato il dito contro il colore della sua pelle. La parola “privilegio” è quella che torna più spesso tra le righe del lungo sfogo, il sottofondo che accompagna le amare considerazioni del veterano: “Quello che ho capito è che non importa con quanta passione e impegno io provi a essere dalla parte dei discriminati, quanto saldo sia il mio supporto ai giocatori di colore della NBA e della WNBA… Continuo ad affrontare questo dibattito dalla prospettiva privilegiata di chi può dimenticarsene a proprio piacimento. Da parte mia potrei rinunciare a dedicarmi a esso in ogni momento. Ogni giorno posso compiere questa scelta – mi è stato concesso questo privilegio – basato solo ed esclusivamente sul colore della mia pelle”.

Il caso Sefolosha del 2015: infortunato dalla polizia durante un arresto

Nei suoi 16 anni di carriera in NBA, non è la prima volta che Korver si è ritrovato a confrontarsi con casi di razzismo che in maniera più o meno collaterale toccassero dei suoi compagni di squadra. Quello più eclatante resta quanto successo a Thabo Sefolosha ai tempi degli Atlanta Hawks, nel 2015 durante una trasferta a New York. Accusato di aver interferito con l’operato della polizia, il compagno di squadra di Korver fu brutalmente aggredito e subì un infortunio alle gambe durante l’arresto che pose fine con largo anticipo alla sua stagione. Una storia della quale Korver in parte si vergogna nel suo lungo sfogo, anche perché l’inchiesta successiva appurò come Sefolosha in realtà fosse totalmente estraneo ai fatti; pestato senza un motivo valido dagli agenti. Il primo pensiero dell’epoca dell’attuale giocatore dei Jazz fu: “Ma cosa ci faceva fuori da un club a tarda sera nel pieno di un back-to-back? Prima di conoscere tutta la storia nei dettagli, di poter parlare con lui per capire cosa fosse accaduto, sono stato il primo a dare la colpa a Thabo”. Quando le cose poi sono state definitivamente portate alla luce però, nessuno ha provato a dare un senso alla situazione, a un giocatore dalla stagione – e in parte la carriera – compromessa per nulla. Tutto è finito nel dimenticatoio, mentre Sefolosha ha continuato a giocare; tornato al fianco di Korver in questa esperienza ai Jazz.

LeBron, Wade e non solo: tutta la NBA assieme a Kyle Korver

Discorsi tornati prepotentemente d’attualità dopo l’episodio tra Westbrook e i tifosi Jazz, una cosa che “ha toccato un nervo scoperto” in spogliatoio, facendo scattare una molla non solo nella testa di Korver. “Non è la prima volta che la proprietà dei Jazz ha dovuto prendere parte a una discussione del genere sul razzismo. Una delle cose più importanti da sottolineare infatti è che un incidente di questo tipo non coinvolge soltanto le persone che prendono parte allo scontro. Non è solo una cosa che tocca Westbrook e pochi altri. Coinvolge tutti. Provare ad allontanare questa gente dalle arene NBA è la parte facile. In quei casi non c’è ambiguità, mentre il razzismo peggiore da combattere è quello strisciante, invisibile. Quello che permette a questo pregiudizio di continuare a persistere. Se voglia marcare la differenza come Lega, comunità e nazione dobbiamo fare un passo in avanti: chiamare con il loro nome questi atteggiamenti – razzismo – e poi denunciare, a qualsiasi livello esso si manifesti. La questione resta sul tavolo: cosa significa essere un uomo di colore in uno spazio occupato prevalentemente da bianchi. È un problema profondo, che parla del razzismo negli Stati Uniti. Dobbiamo imparare a essere responsabili e a preoccuparci del fatto che i comportamenti degli altri non rendano “tossico” l’ambiente con i loro comportamenti”. Parole dure, salutate con gioia da tutta la Lega, a partire da LeBron James che chiede a tutti di leggere e ascoltare le parole del suo ex compagno di squadra, e da Dwyane Wade; simboli di una mondo che non ha più voglia di combattere contro stupidità e razzismo.