I suoi 20 punti e 18 rimbalzi hanno sorpreso soltanto in parte, mentre il rendimento difensivo è stato una delle chiavi del successo Blazers in gara-1. Un giocatore che tre mesi non avrebbe mai immaginato di recitare da protagonista ai playoff
Le immagini catturate per caso dalle telecamere due anni fa ai playoff lasciarono pochi dubbi. Billy Donovan, all’epoca già allenatore dei Thunder, che scuoteva il capo dopo l’ennesimo errore difensivo in gara-1 commesso da Enes Kanter contro Houston. E poi il labiale, letto da chiunque: “Non possiamo giocare con Kanter”. Una sentenza, scolpita nella testa di molti (in alcuni casi già prima di quella disastrosa serie). Troppe le limitazioni difensive di un giocatore che sembrava in grado di poter arrivare solo fino a un certo punto, e mai oltre. Questa notte, nella prima da ex ai playoff contro la sua OKC, il turco senza passaporto si è preso una bella rivincita. Una rondine benaugurante, che non fa primavera, ma che al momento basta a tappare l’enorme buco sotto canestro lasciato dall’infortunio di Jusuf Nurkic; alle prese con la rottura scomposta di tibia e perone e fuori dai giochi per un anno. Una prova da 20 punti e 18 rimbalzi – nuovo massimo in carriera – a testimonianza che la produzione e la resa offensiva non sono mai stati un problema. Certo, dopo le settimane trascorse a marcire in panchina con i Knicks, in pochi avrebbero immaginato un Kanter dominante ai playoff a Ovest meno di tre mesi dopo. “Anche io non ho la reputazione del grande difensore, anzi – prova a difendere il suo compagno Damian Lillard – ma penso che nel momento in cui mostri il tuo sforzo, la tua concentrazione e il fatto che sei realmente preoccupato della resa a protezione del ferro della squadra, puoi sempre fare qualcosa di utile per la squadra. Kanter lo ha mostrato da quando è arrivato, quella contro OKC è soltanto l’ennesima conferma”.
Kanter: "A New York non giocavo perché dicevano che ero troppo vecchio"
Due anni fa coach Donovan spiegò come la sua frase fosse riferita a un particolare accoppiamento difensivo che non funzionava, ma in questa gara-1 evidentemente non è riuscito a replicarlo in attacco. Una prestazione che segnò la permanenza del turco a OKC, rimasto a lungo in panchina in quella serie con Houston – soltanto 29 minuti a gara in corso complessivi nelle quattro gare seguenti – per poi essere spedito in estate ai Knicks (anche a causa di un contrattone bello pesante sulle sue spalle). “Ho fatto parte a lungo della peggior squadra della NBA e loro continuavano a ripetere che non dovevo giocare perché pensavano fossi troppo vecchio per stare in campo”, sottolinea a fine partita, togliendosi un bel sassolino dalla scarpa in pieno stile Kanter. “La situazione a New York era frustrante perché tutto quello che volevo fare era giocare e vincere. Un paio di giorni fa, mi sono guardato allo specchio e mi sono detto: ‘Devi sentirti fortunato, sei in una franchigia e in un gruppo pazzesco adesso, circondato da compagni che credono in te’. È una sensazione che non provavo da tanto tempo, una vera e propria benedizione”. Dopo l’infortunio di Nurkic, il record dei Blazers con Kanter titolare è stato di 6-2; figlio anche di incroci con squadre che avevano ben poco da chiedere alla regular season. Contro OKC invece il primo vero banco di prova: un innesto che ha funzionato, come mostrato anche dai dati segnalati da ESPN secondo cui l’attacco dei Thunder ha prodotto 0.81 punti per possesso nelle 27 azioni di pick&roll che hanno coinvolto il lungo turco (un decimo di punto in meno di quanto prodotto mediamente in stagione da OKC). “Credo sia anche sfortuna: spesso l’idea che abbiamo di un giocatore è dettata soltanto da alcuni episodi e non da una valutazione complessiva – sottolinea Terry Stotts – penso che Enes sia un ottimo difensore, ci sta dando una grande mano”.
Una super partita davanti ai suoi ex compagni e amici
“Ha funzionato, questo è l’aspetto più importante di tutta la faccenda”, sottolinea CJ McCollum. “Ha messo tutto quello che aveva in difesa, non si è risparmiato, ha continuato a comunicare e a muovere i piedi. Ovviamente Westbrook ha attaccato il ferro, George e Schroder hanno fatto lo stesso, sono dei giocatori complicati da contenere per qualsiasi lungo della Lega, ma credo che abbia protetto al meglio il ferro”. Soprattutto, ha vinto la battaglia contro il suo amico, prima che collega, Steven Adams. “La sua versatilità ha fatto la differenza. Il lavoro che serviva alla squadra, un acquisto chiave soprattutto dopo che Nurkic è stato costretto a fermarsi. Abbiamo bisogno del fatto che mantenga la sua produzione ad alto livello”. Bastava avere fiducia in lui, quindi? “La comunicazione è tutto in difesa. Sul pick&roll ho continuato a seguire le indicazioni del mio compagno, a urlare ogni volta quale fosse la mia scelta in copertura. Ogni volta che il mio avversario mi ha battuto, c’era sempre qualcuno pronto a coprirmi le spalle. E io ho cercato di fare lo stesso: questa squadra crede in me”. Ogni riferimento agli Oklahoma City Thunder non è puramente casuale.