Niente più proteste con gli arbitri, falli tecnici e sceneggiate: il n°23 degli Warriors ha alzato ancora di più il suo livello e il rendimento in queste finali di Conference, dominate su entrambi i lati del campo assieme alla "vecchia guardia" in casa Golden State
Sette triple doppie in carriera ai playoff: meglio di tutti gli altri giocatori della storia Warriors messi assieme, fermi a quota sei. Draymond Green non bada ai numeri (altrimenti non mancherebbe occasioni in cui un paio di punti gli regalerebbero altri traguardi statistici), anche perché il suo impatto sul parquet difficilmente è stato storicamente racchiuso soltanto in un boxscore. La partita di Portland però è stata talmente completa da essere impressionante anche sotto quell’aspetto: 20 punti, 13 rimbalzi, 12 assist, quattro rubate – unico assieme a Fat Lever e Russell Westbrook ad aver messo assieme cifre del genere in una sfida di playoff. L’MVP degli Warriors è lui, nonostante Curry continui il suo filotto da gara oltre i 30 punti – è a quota otto partite con 35+ punti in finale di Conference, soltanto Kobe Bryant meglio di lui con dieci. “I miei compagni mi dicono spesso che seguono e sono condizionati dal mio linguaggio del corpo”, prosegue Green, ben consapevole di essere molto più concentrato e nella partita in queste ultime settimane. Con l’andare avanti dei playoff il suo coinvolgimento e la sua resa sono – se possibile – migliorati, grazie anche al contributo di sua madre che lo ha aiutato a capire quali fossero le priorità su cui concentrare forze ed energie. Continuare la sua battaglia personale con i direttori di gara non aveva senso, così come correre il rischio di saltare una partita a causa dei falli tecnici. “Mi sono reso conto di essere arrivato a un punto in cui passavo più tempo a piangere e lamentarmi con gli arbitri che a giocare. Sono sicuro che fosse abbastanza disgustoso da vedere anche perché ero il primo a sentirsi infastidito dal quel modo di giocare”. Una consapevolezza ritrovata che sta facendo le fortune degli Warriors nelle ultime settimane.
Kerr entusiasta di Draymond: "Distrugge tutto ciò che trova sulla sua strada"
Green è infatti apparso molto più maturo nell’approccio e nell’atteggiamento anche quando si tratta di rincuorare un compagno che ha sbagliato, come nel caso di Jordan Bell che lanciato in contropiede si divora una schiacciata già fatta. “Nessuno è perfetto”, continua a ripetergli Green – microfonato per l’occasione – senza lesinare pacche sulla spalla e gesti di conforto. Il successo nella serie passa dalla resa ad alto livello di tutti i componenti del roster, nonostante la squadra graviti inevitabilmente attorno al n°23. “Non so bene cosa dire riguardo Draymond, cosa aggiungere”, commenta con un sorrisetto Steve Kerr, che vede la quinta finale NBA consecutiva ormai a un passo. "È come una palla da demolizione: distrugge tutto ciò che incontra lungo la sua strada. Il livello di energia che riesce a generare nella squadra è straordinario, sembra che non sia mai stanco. Questa è una delle migliori partite che gli abbia mai visto giocare". Il cambiamento d’atteggiamento di Green non è di certo non passato inosservato anche agli occhi dei compagni: “Puoi sprecare tutte le energie che vuoi discutendo con gli arbitri: io non ho mai visto nella storia della NBA una decisione cambiata da parte dei direttori di gara dopo le lamentele di un giocatore”, chiosa Steph Curry, che con Green si è messo alla guida di un attacco ritornato ai fasti del biennio 2014-15 e 2015-16. L’obiettivo degli Warriors adesso è soltanto uno: non abbassare il livello di energia in gara-4, chiudere i conti con le avversarie della Western Conference e godersi dieci giorni di riposo e preparazione in vista delle finali NBA, del recupero di Kevin Durant e di un three-peat che a questo punto appare sempre più alla portata.