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Blake Griffin a Sky Sport: "Di Michael Jordan ammiro il rifiuto assoluto della sconfitta"

NBA

Nel weekend organizzato da Brand Jordan a Parigi l'ala dei Pistons ha raccontato l'ispirazione avuta dalla carriera e dal mito di MJ: "Nessuno ha vinto nel modo in cui lo ha fatto lui". E racconta la sua grande stagione a Detroit

MICHAEL JORDAN: IL SUO BRAND E' PIU' FORTE CHE MAI

MJ A PARIGI: UN WEEKEND DA STAR

PARIGI – Se si parla di Michael Jordan vengono subito in mente le sue schiacciate. Lo stesso vale per Blake Griffin. La prima, immediata connessione tra i due campioni è questa, nella mente di tutti. Ed è forse per questo che nell’estate del 2012 (quando Griffin si era già laureato campione dello Slam Dunk Contest all’All-Star Game del 2011 a Los Angeles, saltando sopra la famosa auto posta sotto canestro) l’ala allora ai Clippers era entrato a far parte del team di atleti sponsorizzati direttamente da sua maestà MJ, con Brand Jordan. Oggi Griffin non è più (soltanto) uno schiacciatore e un impressionante atleta, ma un giocatore più completo che nel corso dell’ultima annata – la prima disputata interamente in maglia Detroit Pistons – ha riconquistato una convocazione all’All-Star Game e un posto nei quintetti All-NBA (il terzo), giustificando così appieno il rinnovo biennale concesso dallo stesso Jordan nel settembre 2018 all’ex giocatore di Oklahoma University (college che non a caso veste Brand Jordan). Oggi – insieme a un cast di altri campioni, da Russell Westbrook a Kemba Walker, da Jayson Tatum a Carmelo Anthony – proprio Griffin ha preso parte insieme a Michael Jordan a un weekend parigino che ha visto i più grossi nomi di Brand Jordan dominare la capitale francese con una serie quasi infinità di attività, da tavole rotonde a tornei di streetball (Quai54), fino alle presentazioni delle nuove collezioni o della rinnovata partneship con il Paris Saint-Germain, la squadra di Mbappe e Neymar. In occasione della sua visita parigina, ecco l’intervista esclusiva concessa dall’ala dei Pistons a Sky Sport.

Il primo ricordo di Michael Jordan?

“Quando avevo 6-7 anni, io e mio fratello avevamo 3-4 videocassette con le sue migliori azioni che guardavamo e riguardavamo fino allo sfinimento, sono sicuro che mi ricorderei ancora ogni parole di ciascun video, dall’inizio alla fine. Poi andavamo nel campetto dietro casa e cercavamo di replicare le sue schiacciate”.

Al punto poi da partecipare – e vincere – da matricola allo Slam Dunk Contest NBA, nel 2011.

“Solitamente registravamo ogni gara delle schiacciate per poi rivederle mille volte. Mi ricordo di aver visto e rivisto su Youtube quella con Michael Jordan a sfidare Dominique Wilkins, per cui sapevo che a un certo punto della mia carriera mi sarebbe piaciuto cimentarmi. È stato così, e quando ci ho partecipato è stata un’esperienza bellissima”.

Cosa rendeva Michael Jordan speciale, ai tuoi occhi?

“Il suo spirito competitivo. Il suo talento fisico era sotto gli occhi di tutti – e lui era bravissimo a prendersi cura del suo corpo – le sue abilità sul parquet anche ma a far la differenza per me era quel tipo di fuoco competitivo con cui giocava ogni partita, cercando un vantaggio sugli avversari: questo per me lo rendeva un giocatore speciale. MJ non accettava letteralmente l’idea della sconfitta, e questo è ciò che ho sempre apprezzato di più di lui”.

Come definiresti la sua grandezza?

“Ha fatto cose che nessun altro giocatore di pallacanestro è mai riuscito a fare: è arrivato in finale NBA sei volte e ha sempre vinto, senza mai neppure portare gli avversari a una gara-7; ha vinto il premio di miglior difensore NBA ma anche quello di MVP delle finali ogni singola volta che le ha disputate. Non ci sono altri giocatori che hanno centrato tutti questi obiettivi: qualcuno magari ha vinto più titoli di lui, ma nessuno lo ha fatto alla sua maniera, con la sua magnitudine”.

Un insegnamento di Jordan che hai provato a fare tuo?

“Ogni anno ho cercato di espandere il mio gioco, cercando di aggiungere qualcosa al mio arsenale e spero che questo desiderio di voler sempre migliorare non mi abbandoni mai. È così oggi, ora che sono arrivato alla mia decima stagione NBA (la prossima) e spero che sia così anche per i prossimi dieci anni. Il gioco sta cambiando, si sta allontanando sempre di più da sotto canestro, i lunghi NBA non assomigliano certo a quelli che popolavano la lega dieci anni fa, per cui credo che naturalmente la mia evoluzione seguirà questo trend e mi porterà a essere un giocatore sempre più perimetrale”.

La prima annata completa a Detroit è stata un’annata di riscatto.

“La chiave di tutto è la salute. Non ho mai pensato di dover tornare ai miei livelli – io ai miei livelli ci sono sempre stato, quando sono stato bene. Finalmente ho potuto lavorare sul mio gioco e allenarmi per tutta la scorsa estate senza intoppi, preparandomi al meglio per il via. Sono un grande sostenitore dell’idea che più lavori più ottieni – e così è stato: la mia grande stagione è la conseguenza diretta del lavoro che ho fatto in estate”.